La Quinta Mafia
di Marco Omizzolo
31 Maggio 2019
Si chiama Quinta Mafia ed indica un modello d’organizzazione mafiosa, originaria della provincia di Latina ma in estensione in molte altre regioni italiane, in cui diversi clan appartenenti a diverse organizzazioni mafiose coordinano le loro attività legali ed illegali per mezzo di una governance unica in grado di garantiere più agevoli processi di insediamento e radicamento nella vita sociale, politica ed economica del territorio. Un coordinamento che in provincia di Latina coinvolge Casalesi, ‘ndrangheta, mafia siciliana e Camorre che agiscono in collaborazione con la criminalità locale, a cui viene insegnato il “mestiere” o con criminali stranieri che imparano come “stare al mondo”. Ciò vale, ad esempio, con riferimento al clan Ciarelli o Di Silvio, come si vedrà, imparentati coi Casamonica e da tempo braccio operativo delle organizzazioni mafiose citate, ormai divenuti anche autonomi, oppure ad alcuni soggetti criminali indiani, come da tempo denunciato dalla cooperativa In Migrazione e Eurispes, al centro di un sistema di traffico internazionale di esseri umani e di caporalato che garantisce loro lucrosi profitti.
È chiaro che il contesto socio-economico del territorio, la grande attrattiva di investimento che ancora offre la costa pontina insieme alle aree di maggiore pregio ambientale (sono da valutare con grande attenzione i progetti infrastrutturali, soprattutto portuali, proposti lungo la costa e all’interno, ad esempio, del lago di Paola) e un tessuto produttivo florido, a partire da quello agricolo e florovivaistico, con riferimento in particolare ad alcuni clan, “padroni” di aziende agricole avviate mediante l’impiego di denaro probabilmente illecito, come nel caso dei Di Girolimoni, hanno favorito un precoce radicamento delle varie mafie a partire da quelle campane, siciliane e calabresi. Aziende dove il grave sfruttamento lavorativo dei braccianti soprattutto stranieri è all’ordine del giorno, come denunciato da alcuni dossier come “Doparsi per lavorare come schiavi” ancora della cooperativa In Migrazione.
La presenza, in provincia di Latina, della criminalità campana, in particolare di persone strettamente legate al clan dei Casalesi, è sancito in via definitiva dalla sentenza emessa col procedimento istruito dalla DDA di Roma (c.d. “Anni 90” ) in cui si dà atto dell’esistenza, nel Comune di Castelforte, nel Sud Pontino, di un gruppo criminale autonomo ma collegato con il clan campano attraverso Beneduce Alberto e Michele Zagaria. Un “sistema” che è stato rilevato anche dalla Dia la quale afferma, ad esempio, la presenza, nel territorio, degli Alvaro di Sinopoli (RC) e dei reggini Bellocco e Tripodo ad Aprilia, nonchè dei vibonesi La Rosa-Garruzzo a Fondi. Con l’operazione “Acero Connection-Krupy”, conclusa nel 2015 con l’arresto di 54 persone (decreto di fermo emesso dalla DDA di Reggio Calabria ed eseguito dalla Polizia di Stato e dai Carabinieri di Latina), si è avuta conferma dell’operatività delle cosche Aquino-Colluccio di Marina di Gioiosa Ionica (RC) e Commisso di Siderno (RC). Il gruppo criminale aveva costituito una società, con sede legale a Roma e base operativa a Latina, attiva nel commercio florovivaistico con l’Olanda, funzionale ad occultare cocaina a bordo dei Tir utilizzati per il trasporto dei fiori (a marzo del 2018, il Tribunale di Latina ha confermato le accuse con condanne a carico di quasi tutti gli indagati). Nello stesso contesto investigativo, nel 2017, sono stati sequestrati beni per 30 milioni di euro. Rilievi e processi che sconfessano tutti coloro che ancora pensano che il territorio sia solo occasionalmente condizionato da mafie e dai loro interessi, volutamente dimenticando, ad esempio, l’omicidio per “incaprettamento” di Don Cesare Boschin, a borgo Montello, nel 1995, dopo aver denunciato i traffici illeciti di rifiuti gestiti da poteri industriali nel Nord del Paese e dai Casalesi, in particolare dagli Schiavone. Omicidio sul quale è calata ancora una nera coltre di silenzio.
Il litorale pontino rappresenta una zona di insediamento anche di altri sodalizi campani. Già l’operazione “Sfinge” del 2010, condotta dalla Polizia di Stato, aveva fatto luce su un’organizzazione camorristica, alleata con il clan dei Casalesi, che aveva riproposto il modello criminale tipico del casertano per il controllo del traffico di stupefacenti e delle estorsioni, nei territori di Latina e Roma (al termine dell’indagine venivano sequestrati beni per 4 milioni di euro tra cui una villa a Nettuno). Si ricorda anche la presenza, soprattutto sul litorale, dei gruppi campani dei Bardellino, Bidognetti, Giuliano, Mallardo e Licciardi (si ricorda, peraltro, l’arresto di un pericoloso latitante, reggente del clan camorristico napoletano dei Cuccaro, avvenuto nell’ottobre 2015 nella zona di Cisterna di Latina). Sintomatico del radicamento del territorio pontino è la confisca di circa 90 immobili e 5 complessi aziendali, per un valore complessivo di oltre 20 milioni di euro mentre contestualmente il Tribunale ha disposto nei confronti del relativo imprenditore l’applicazione della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza per 3 anni, eseguita il 21 febbraio 2018.
L’imprenditore, vicino al clan dei Casalesi-gruppo Bidognetti, era impegnato in molteplici attività, quali la gestione di cave di marmo, il trasporto di merci su strada, lo smaltimento di rifiuti e il commercio di autoveicoli (questo criminale era gravato da numerosi precedenti, anche di natura associativa, relativi al traffico di stupefacenti, al riciclaggio, allo smaltimento di rifiuti illeciti e all’insolvenza fraudolenta). Nel semestre di riferimento sono stati, inoltre, arrestati diversi pregiudicati campani.
Nell’ordine, il 12 gennaio 2018 è stato individuato ed arrestato a Formia (LT), dopo un conflitto a fuoco con i Carabinieri, un latitante affiliato al clan Ranucci di Sant’Antimo (NA). Il successivo il 31 gennaio 2018, è stata invece tratta in arresto, a Gaeta (LT), una donna, madre di un affiliato al clan De Micco, del quartiere napoletano di Ponticelli.
Per quanto attiene ad altri sodalizi, l’area pontina risente anche della presenza, come già accennato, delle famiglie di origine sinti come i Di Silvio e i Ciarelli, ormai stanziali sul territorio e in alleanza con importanti referenti istituzionali come l’ex deputato di Fratelli d’Italia, Pasquale Maietta. Ne è testimonianza l’operazione “Alba Pontina” della Polizia di Stato, che il 12 giugno 2018 ha arrestato 25 soggetti, appartenenti al clan Di Silvio, attivo nella zona di Campo Boario di Latina, noto anche per la parentela coi Casamonica. L’organizzazione si era specializzata nell’acquisizione, mediante intimidazioni, delle attività economiche del posto. L’operazione “Arpalo”, conclusa il 16 aprile 2018 dalla Polizia di Stato e dalla Guardia di finanza, ha invece fatto luce su un’associazione a delinquere che aveva realizzato frodi fiscali per circa 200 milioni di euro, utilizzando anche società fittizie costituite in Svizzera e a Latina, grazie al contributo di un commercialista, vicino alla famiglia dei Di Silvio. A promuovere questa associazione per delinquere, insieme all’ex deputato del partito della Meloni, quella della legalità ad ogni costo contro i profughi che scappano dall’inferno libico anche a costo di impegnare la Marina Militare, sarebbero stati anche gli imprenditori latinensi Paola Cavicchi e il figlio Fabrizio Colletti, impegnati anch’essi con il Latina Calcio ai tempi di Maietta e del campionato di serie B, tanto che per gli inquirenti lo stesso club sportivo sarebbe stato uno degli strumenti per compiere gli affari illeciti. Inchiesta avanzata per primo da Il Manifesto e che suscitò le ire del club, di Maietta e della tifoseria contro i due giornalisti che per primi denunciarono affari criminali di questa natura.
Uno di questi due giornalisti è Roberto Lessio, ora assessore all’ambiente della nuova amministrazione comunale guidata dal sindaco Coletta che sta tentando di ristabilire legalità in un territorio devastato da anni di gestione criminale. Inchiesta peraltro costellata anche da casi di presunta corruzione, con l’arresto di due finanzieri, e da suicidi, il più eclatante quello del penalista Paolo Censi, che nel 2015 si è tolto la vita nel suo studio e che curava gli interessi di Cavicchi e Colletti.
Commercialisti e avvocati che insieme a consulenti del lavoro, notai e funzionari di banca corrotti rappresentano lo strumento per consentire a queste realtà criminali di evolvere, conquistare mercati sempre maggiori, anche internazionali, nascondere modalità operative e profitti milionari alle forze dell’ordine e al fisco. Sono i “colletti sudici” delle mafie, uomini senza onore che contribuiscono, per sete di profitto o di potere, a logorare la democrazia e la civiltà del Paese.
L’interesse delle organizzazioni mafiose nel Pontino si è concentrato anche sulle attività collegate al mercato ortofrutticolo fondano (MOF) di Latina mentre non mancano investimenti negli stabilimenti balneari, nelle attività ricettive del litorale e nel settore del turismo. Sotto questo profilo si ricordano gli approfondimenti contenuti nei rapporti Agromafie di Eurispes che bene fotografano la situazione. L’analisi delle evidenze investigative sul territorio pontino, alcune delle quali trasfuse in provvedimenti giudiziari, hanno evidenziato investimenti imponenti anche nel settore delle costruzioni e nel commercio all’ingrosso nonché in quello al dettaglio, in particolare di autovetture, nell’attività di bar e ristorazione, nel settore delle onoranze funebri e nelle attività vivaistiche.
Proprio il mercato fondano presenta evidenze con riferimento alla natura della Quinta Mafia grazie all’interessamento della camorra, prima, e della ‘ndrangheta, poi, nonché i convergenti interessi di Cosa Nostra. Nella relazione sulla ‘ndrangheta approvata il 19 febbraio 2008 dalla Commissione parlamentare antimafia della XV legislatura, la situazione fondana viene portata ad esempio per la particolare connotazione in cui la ‘ndrangheta si è manifestata, registrando la sussistenza di vere e proprie joint-venture criminali, consistenti in accordi tra famiglie calabresi, di volta in volta alleate con cosche siciliane o campane. Questo è il cuore della Quinta Mafia. Allo stesso modo il procedimento cosiddetto “Damasco 2”, con sentenza definitiva il 4 settembre 2014, ha sancito il radicamento e l’operatività, fin dagli anni Novanta, ancora a Fondi, del clan mafioso Tripodo-Trani, che ha assunto “connotati di mafiosità in considerazione della sua stabile e perdurante operatività con metodi intimidatori, sin dai primi anni ‘90, in un territorio come quello di Fondi, in passato estraneo, per collocazione geografica, a vicende di criminalità organizzata e per questo più fragile ed esposto ad interventi e forzature esterne che, per il loro carattere infiltrante, hanno assunto con il tempo sempre maggiore caratura ed efficacia, con la finalità di commettere una serie indeterminata di delitti (traffico di droga, armi, usura, estorsioni) e di acquisire il controllo di interi settori di attività economiche anche grazie all’appoggio di fiancheggiatori esterni”.
Nel 2009, sono note le vicende relative allo scioglimento del Comune di Fondi, poi evitato a seguito delle intervenute dimissioni del sindaco e della giunta comunale in carica. In questo caso, all’esito delle conclusioni rassegnate dalla commissione di acceso disposto dal prefetto di Latina, Frattasi, che aveva concluso per lo scioglimento del Comune di Fondi, era sta avanzata una richiesta in tal senso al Ministro dell’Interno di allora, Maroni, che aveva disposto un supplemento di indagine, a cui aveva fatto seguito una nuova relazione del prefetto conclusasi con una nuova richiesta di scioglimento. Scioglimento evitato grazie alle dimissioni del sindaco e della giunta. Una trovata che ha condannato il territorio e la popolazione locale dentro un cono d’ombra grave che invece poteva essere evitata e sulla quale tutti i referenti politici locali di centrodestra, a partire dal Senatore Claudio Fazzone di Forza Italia, deus ex machina del partito di Berlusconi nel Sud Pontino, non hanno mai proferito parola se non nel senso di negare o sminuire il fenomeno. Un comportamento politicamente non condivisibile che ha lasciato ombre di ambiguità in un territorio che invece doveva essere liberato da ogni compromissione.
A gennaio 2017, nel corso dell’indagine “Tiberio”, è stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare – poi riformata – nei confronti di 10 indagati, tra cui Armando Cusani, attuale sindaco di Sperlonga ed ex presidente della provincia di Latina, per i reati di associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta in relazione ad alcuni appalti pubblici. Per alcuni degli indagati è stato contestato anche il reato di corruzione. Lo stesso sindaco Cusani che definì i membri della Commissione d’acceso del Comune di Fondi dei “pezzi deviato dello Stato” e che ha recentemente minacciato giornalisti e redazioni di denuncia qualora scrivano di mafie, corruzione, compromissione del territorio.
Il sud pontino appare, dunque, sempre più l’avamposto di una sorta di grande camera di compensazione dei sistemi criminali. Tra Formia e Sperlonga investiva il re delle ecomafie, l’avvocato Cipriano Chianese ritenuto dalla DDA di Napoli la mente dei grandi traffici di rifiuti del cartello dei casalesi. Ingenti somme di denaro sono state sequestrate in pochi anni a pericolosi clan di camorra, come i Mallardo, gruppo che puntava alla provincia di Latina per riciclare e investire i proventi delle proprie attività illecite. Formia invece è stata definita la Las Vegas del sud pontino, in ragione dell’elevato numero di sale da gioco. In città risultano attive circa 16 sale da gioco, 32 esercizi commerciali in possesso di slot machine e video poker, con il rapporto all’incirca di una macchinetta da gioco ogni 70 abitanti. L’indagine della procura di Latina, più nota come sistema Formia, ha visto all’esito dell’udienza preliminare il rinvio a giudizio nei confronti di 13 imputati, tra cui politici, amministratori e imprenditori, accusati a vario titolo di corruzione, concussione, abuso d’ufficio e falso. Nella provinca di Latina, dunque, si rinvengono gli indicatori sintomatici di una pericolosa e radicata presenza di varie enclave criminali, attestata dall’aumento dei reati spia, quali incendi, attentati e intimidazioni ai danni di commercianti, imprenditori, giornalisti, ricercatori, sindacalisti e pubblici amministratori. Particolare allarme ha destato l’intimidazione che ha riguardato il giudice Aielli, presidente dei collegi penali che avevano celebrato i processi nei confronti di esponenti della criminalità organizzata del circondario, quali “Damasco 2” contro il clan Tripodo, e “Caronte” contro il clan Ciarelli-Di Silvio. Come noto, il 19 novembre 2014, nella città di Latina erano stati appesi dei manifesti funebri che annunziavano le esequie del giudice Lucia Aielli. Una grave forma di intimidazione e di sfrontata arroganza, sintomatica della convinzione di esercitare in posizione di forza un vero controllo sulla città.
Un sistema complesso, ampio, articolato, da monitorare con attenzione e da denunciare nel merito, chiedendo alle forze dell’ordine e alla Procura di continuare la loro azione investigativa e repressiva e alla politica locale e nazionale di investire nella legalità e giustizia di quel territorio. Un impegno che ancora manca, considerando i tagli d’organico programmati dall’attuale Ministro Salvini alle forze di polizia locali. Un segnale grave che va nella direzione di rassicurare mafiosi e criminali.