QUESTO E’ IL SUD PONTINO,QUESTA E’ GAETA!!!!!
UN’ANALISI LUCIDA E PRECISA DI ATTILIO BOLZONI SU “REPUBBLICA”.
SIAMO AL FEUDALESIMO DEI VASSALLI E VALVASSORI………
ALTRO CHE…………..
LA RIVIERA DI ULISSE !!!!!!!
. Edilizia, rifiuti, gioco, droga.
Silenzio e omertà
ROMA – A Sud c’è un altro mondo, vicinissimo e lontanissimo da Roma e dalla sua mafia. Il territorio racconta sempre tutto. Il paesaggio urbano non è più famoso per le sue linee rette,
le sue forme pure, i travertini bianchi di quelle piazze volute dal Fascismo e scelte per le oceaniche adunate del Duce o le celebrazioni delle “battaglie del grano”. Case e strade s’inseguono tutte uguali sino al confine: da questa parte il Lazio, dall’altra parte la Campania. La burocrazia amministrativa dice che è Latina, molti sanno che è provincia di Caserta. A destra il mare e le dune di sabbia, a sinistra una campagna buona, orti, canali. E paesi e città che fanno finta di niente.
Un paio di anni fa siamo entrati con un operatore di Repubblica tv a Sabaudia – quella che Pasolini descriveva come la città “a misura d’uomo” – e ci siamo ricordati di una Corleone dell’altro secolo dove tutti dicevano che la mafia non c’era. Tutti si voltavano dall’altra parte, in molti avevano la bocca cucita. Silenzio. Silenzio. Silenzio.
L’omertà ha bruciato in un breve arco di tempo l’Agro Pontino, l’omertà e la paura. Prima delle ultimissime indagini dei reparti speciali di polizia e carabinieri – se ne dà conto nella nostra inchiesta – questa era terra libera per scorribande, zona franca per boss calabresi e campani (i siciliani erano arrivati molto prima, negli anni ’60, con Frank “Tre Dita” Coppola che aveva comprato tutto quello che si poteva comprare intorno a Pomezia) che si sono insediati e arricchiti sotto lo sguardo impassibile dello Stato italiano. Hanno fatto quello che hanno voluto. Ucciso, seminato terrore, corrotto, si sono impossessati di aziende e infiltrato i loro emissari nei consigli comunali, hanno continuato indisturbati a mantenere rapporti con la Piana di Gioia Tauro e con Casal di Principe, sono diventati tanto forti che quando c’era da sciogliere un piccolo comune per mafia – Presidente del Consiglio Berlusconi, ministro dell’Interno Maroni – il governo non riuscì a farlo anche se un prefetto, lì dentro a quel Comune, la mafia l’aveva trovata dappertutto. L’Agro Pontino – per la sua posizione geografica, per l’indifferenza manifestata per decenni dagli apparati di sicurezza, per i suoi piccoli porti e per il suo grande mercato – è stato e ancora è laboratorio politico-criminale. Era e resta frontiera. Appena fuori Roma, a Sud.
ROMA – A Sud c’è un altro mondo, vicinissimo e lontanissimo da Roma e dalla sua mafia. Il territorio racconta sempre tutto. Il paesaggio urbano non è più famoso per le sue linee rette, le sue forme pure, i travertini bianchi di quelle piazze volute dal Fascismo e scelte per le oceaniche adunate del Duce o le celebrazioni delle “battaglie del grano”. Case e strade s’inseguono tutte uguali sino al confine: da questa parte il Lazio, dall’altra parte la Campania. La burocrazia amministrativa dice che è Latina, molti sanno che è provincia di Caserta. A destra il mare e le dune di sabbia, a sinistra una campagna buona, orti, canali. E paesi e città che fanno finta di niente.
Un paio di anni fa siamo entrati con un operatore di Repubblica tv a Sabaudia – quella che Pasolini descriveva come la città “a misura d’uomo” – e ci siamo ricordati di una Corleone dell’altro secolo dove tutti dicevano che la mafia non c’era. Tutti si voltavano dall’altra parte, in molti avevano la bocca cucita. Silenzio. Silenzio. Silenzio.
L’omertà ha bruciato in un breve arco di tempo l’Agro Pontino, l’omertà e la paura. Prima delle ultimissime indagini dei reparti speciali di polizia e carabinieri – se ne dà conto nella nostra inchiesta – questa era terra libera per scorribande, zona franca per boss calabresi e campani (i siciliani erano arrivati molto prima, negli anni ’60, con Frank “Tre Dita” Coppola che aveva comprato tutto quello che si poteva comprare intorno a Pomezia) che si sono insediati e arricchiti sotto lo sguardo impassibile dello Stato italiano. Hanno fatto quello che hanno voluto. Ucciso, seminato terrore, corrotto, si sono impossessati di aziende e infiltrato i loro emissari nei consigli comunali, hanno continuato indisturbati a mantenere rapporti con la Piana di Gioia Tauro e con Casal di Principe, sono diventati tanto forti che quando c’era da sciogliere un piccolo comune per mafia – Presidente del Consiglio Berlusconi, ministro dell’Interno Maroni – il governo non riuscì a farlo anche se un prefetto, lì dentro a quel Comune, la mafia l’aveva trovata dappertutto. L’Agro Pontino – per la sua posizione geografica, per l’indifferenza manifestata per decenni dagli apparati di sicurezza, per i suoi piccoli porti e per il suo grande mercato – è stato e ancora è laboratorio politico-criminale. Era e resta frontiera. Appena fuori Roma, a Sud.