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Droga capitale: così Roma è diventata la città dello spaccio25 OTTOBRE 2019

DI CARLO BONINI

ROMA. Esistono una geografia e dei numeri che raccontano insieme un naufragio e una catastrofe sociale. Un abisso in cui sprofonda una città, Roma, avvelenata da tonnellate di roba. Cocaina, eroina, droghe sintetiche, hashish. Dove chi spaccia parla, al contrario di quello che tutti istintivamente pensano, la nostra lingua, l’italiano. Che fa da quinta e restituisce un senso, ammesso possano averne, agli omicidi di Luca Sacchi e del maresciallo Mario Cerciello Rega o alla tragedia di Manuel Bortuzzo. E che, per una volta, riconcilia, come si usa dire, il “reale” e il “percepito”.

La Procura della Repubblica di Roma ci ha lavorato per oltre un anno. Elaborando un rapporto e uno studio ad uso investigativo, firmato dal Procuratore aggiunto Lucia Lotti, già magistrato della Dda e quindi procuratore di Gela, che “Repubblica” ha potuto consultare e che, per la prima volta, mette a sistema i dati raccolti sul territorio nell’arco dell’ultimo quadriennio — dal 2015 al primo semestre 2019 — da tutte le forze di Polizia e quelli archiviati dalla banca dati della Procura e del Tribunale. È una vertigine. Iscritta in un numero che converrà tenere a mente. Cinque tonnellate.

È la quantità di sostanze stupefacenti che, nel 2018, è stata sequestrata nel solo comune di Roma (per l’esattezza si tratta di 5 mila 535 chilogrammi). Più della metà (3 tonnellate) è hashish. Un terzo, marijuana (1.621 chili). E poi c’è lei, la cocaina: poco meno di quattro quintali (382 chili). E loro: le pasticche (45 mila 275 dosi). Quelle che si vendono a tre euro di fronte alle scuole medie. O a cinque in discoteca.

Ovviamente, la droga sequestrata è solo una parte, non preponderante, di quella in circolazione. E non esiste calcolo empirico per stabilire, fatte cinque tonnellate di roba, quante ne vengano spinte in strada. Il doppio? Il triplo? «Potrebbe essere anche di più» , spiega un inquirente.

Per rendersene conto, del resto, è sufficiente fissare un dato. La dimensione del mercato. Il Comune di Roma ha quindici municipi che raccolgono 2 milioni e 870 mila abitanti. Ebbene, le piazze di spaccio individuate e censite dal rapporto della Procura all’interno del Grande Raccordo Anulare sono esattamente il doppio: trenta. Strette tra i quartieri affacciati sulle vie consolari che da nord a sud tagliano la città attraversando il centro storico e lungo le lingue di cemento del primo (verso Ovest) e secondo (verso Est) sviluppo urbanistico: Acilia; Bastogi; Campo De Fiori; Celio; Centocelle; Colli Aniene; Corviale; Giardinetti-Torre Maura; Labaro-Prima Porta; Laurentino 38; Magliana; Ostia; Piazza Bologna; Piazza Vittorio; Pigneto; Ponte di Nona; Porta Maggiore-San Giovanni; Portuense-Donna Olimpia; Primavalle; San Basilio; San Lorenzo; San Paolo-Ostiense; stazione Termini-via Giolitti; Tor Bella Monaca; Tor Pignattara; Tor Sapienza; Trastevere; Trionfale; Trullo; via Papiria.

In queste trenta piazze, ogni giorno, trecentosessantacinque giorni l’anno, viene spacciato ogni genere di stupefacente. A prezzi da saldo. Un grammo di eroina oscilla, in base alla purezza, tra i 20 e i 50 euro al grammo, che diventano 2 o 5 per monodosi da 0,1 grammi. Una pera o una pipetta (si bucano in pochi, l’eroina da tempo ormai si fuma), insomma, costa quanto un caffè e un cornetto. E per chi non può permettersela c’è sempre il “Rivotril” a 5 euro la compressa. È una benzodiazepina normalmente prescritta come anti-epilettico ma che, assunta con dell’alcool, o con altre sostanze stupefacenti, produce effetti psicotropi simili a quelli dell’eroina. Una “botta” di coca viene via invece a 15 euro. Il prezzo di una pizza e una birra. Se invece si vuole fare serata con gli amici, sono 50 euro al grammo. Il che spiega perché la coca, da sola, rappresenti la metà dell’intero mercato degli stupefacenti. A Roma come nel resto del Paese. Spinta dalla coca a prezzi popolari, accade così — spiega il procuratore aggiunto Lucia Lotti — che nella sola piazza di spaccio di San Basilio, la più grande di Roma, tra le più grandi di Europa, organizzata con sistemi di vedette, parcheggiatori, sorveglianza armata, il fatturato annuo dello spaccio sia di venti milioni di euro. Quello di una media azienda manufatturiera.

Venti milioni in una sola delle trenta piazze. Un dato perfettamente in linea con gli studi Istat che quantificano in 12 miliardi di euro la spesa per stupefacenti degli italiani ogni anno. E in linea con i numeri dell’esercito dei consumatori. Anche qui, la dimensione può essere empiricamente immaginata partendo dal numero di donne, uomini, ragazze, ragazzi che, nel 2018, sono stati segnalati e denunciati a Roma perché fermati in possesso di sostanze stupefacenti. Parliamo di 5.784 persone, con un dato sui minorenni tutt’altro che irrilevante: 534. E a questi si aggiungono i 5.858 che, sempre nel 2018, erano a processo per reati di droga e i 7.324 arrestati.

«È come svuotare il mare con il secchiello» , spiegano all’ufficio arrestati della Procura. Non c’è processo per direttissima dove, oltre ovviamente a quelli per spaccio e possesso di stupefacenti, non affacci nel movente del reato la droga. A cominciare dalle rapine. Che non a caso continuano a salire. Nei primi sei mesi del 2019, gli arresti in flagranza per rapina sono stati 189.

E anche qui, con qualche sorpresa. Che capovolge la narrazione di un mercato dello spaccio nelle mani dei migranti, dei “neri” arrivati con i barconi. Oltre il 50 per cento delle aree di spaccio a Roma è infatti saldamente controllata, sia a monte (il traffico), che a valle (lo smercio al dettaglio), da italiani. Sei spacciatori su dieci, in città, parlano lo slang tronco della Capitale. E diventano 8, persino 9 se dai quartieri del centro ci si sposta verso la periferie. In un rapporto capovolto che vuole i neri lasciati a spingere per conto terzi solo all’interno delle mura aureliane. In quartieri come piazza Vittorio (gambiani), Pigneto (gambiani), San Lorenzo (marocchini), stazione Termini e via Giolitti (egiziani).
Già, spacciare sta diventando un mestiere non più necessariamente per marginali, ma per una porzione consistente di studenti e under 25. In un mercato — per parafrasare il Nerone di Petrolini — «più bello e più grande che pria».

 

Fonte:https://rep.repubblica.it/