Da “presidente notaio” a “picconatore”, Francesco Cossiga è stato un capo dello Stato unico nel suo genere nella storia della Repubblica, fuori dagli schemi: è stato l’uomo delle leggi emergenziali, del caso Moro, della Nato e di gladio, delle picconate alla prima repubblica, ma anche della nascita del primo governo a guida postcomunista, con i comunisti parte integrante. Scrittore, ha trattato e affrontato i temi della vita politica e dei partiti
Scompare con Francesco Cossiga una figura eminente della storia repubblicana. Anticomunista convinto, ha però sempre sinceramente rispettato i comunisti, che il più delle volte lo hanno avuto come avversario, ma ultimamente – per le bizzarrie della politica italiana della cosiddetta seconda repubblica, da Cossiga giustamente mai apprezzata – lo hanno avuto anche come alleato.Da “presidente notaio” a “picconatore”: Francesco Cossiga è stato un capo dello Stato unico nel suo genere nella storia della Repubblica, fuori dagli schemi fino a quel momento conosciuti, diverso dai suoi predecessori e dai suoi successori soprattutto per il modo con cui, specialmente negli ultimi due anni del settennato, ha trattato e affrontato i temi della vita politica e dei partiti.
Aspro ma lucido e mai ipocrita, dare oggi, a caldo, un giudizio sul suo lungo operato, è impossibile. Di lui si può dire che è sempre stato duro ma leale.
Cossiga ha rappresentato nei decenni molte e diverse, talvolta contraddittorie posizioni ed interessi. E’ stato l’uomo delle leggi emergenziali, del caso Moro, della Nato e di gladio, delle picconate alla prima repubblica, ma anche della nascita del primo governo a guida postcomunista, con i comunisti parte integrante.
Nell’ultimo tratto del percorso da inquilino del Quirinale nel mondo politico si è persino sparsa la voce di una “follia” del presidente.
Ed è lo stesso Cossiga a raccontare i retroscena della leggenda del capo dello Stato “matto”, nel libro-intervista di Claudio Sabelli Fioretti “L’uomo che non c’è”: “E’ vero, io facevo cose un po’ strambe, ma le facevo perché non avevo dietro di me potentati economici, né potentati politici, né potentati culturali. Ero stato abbandonato anche dalla Dc”. “Per farmi ascoltare -raccontava Cossiga- dovevo fare follie, dovevo dire cose che avevano la forma della follia. Quello che per anni è stato il mio avversario ideologico, Luciano Violante, in un libro ha detto che avevo previsto tutto rispetto a loro e che loro non vollero credermi. Come tutti i depressi, io però avevo una grande lucidità intellettuale. Si dice che Newton abbia scoperto la legge di gravitazione universale durante una crisi di depressione… Ho fatto, dunque, anche il matto. Per attirare l’attenzione, quando non mi stava a sentire nessuno”.
La presidenza Cossiga ha avuto dunque due fasi distinte. La prima, contraddistinta da una rigorosa osservanza delle forme dettate dalla Costituzione: Cossiga, essendo tra l’altro docente di diritto costituzionale, fu il classico “presidente notaio” nei primi cinque anni di mandato, dal 1985 al 1990. Poi, dopo la caduta del Muro di Berlino, Cossiga capì che Dc e Pci avrebbero subito gravi conseguenze dal mutamento radicale del quadro politico internazionale, sostenendo però che i partiti e le stesse istituzioni si rifiutavano di riconoscerlo. Da quel momento iniziò una fase di conflitto e polemica politica, spesso provocatoria, che portò al Cossiga “grande esternatore” e, negli ultimi due anni al Quirinale, al “picconatore”, un appellativo che non l’avrebbe più abbandonato.
Il mito del Picconatore nacque anche sull’onda emotiva di due scandali che hanno segnato la vita politica italiana all’inizio degli anni Novanta: Gladio e Tangentopoli. La scoperta dell’organizzazione segreta della Nato, creata per rispondere ad un eventuale attacco portato dall’Unione Sovietica, colpì l’opinione pubblica e la classe politica italiana. E Cossiga assunse una posizione che fu all’origine di fortissime polemiche, difendendo i “gladiatori” e sostenendo che essi andavano onorati come i partigiani perché il loro obiettivo era quello di difendere l’indipendenza e la democrazia in Italia.
La vicenda di Gladio costò a Cossiga la richiesta di messa in stato d’accusa da parte della sinistra parlamentare, nel dicembre del 1991. Il Comitato parlamentare, però, ritenne tutte le accuse manifestamente infondate e la Procura di Roma richiese l’archiviazione a favore di Cossiga nel febbraio 1992. Nel luglio del 1994 la richiesta fu accolta dal Tribunale dei ministri.
Anche sull’altro grande scandalo dell’epoca, Tangentopoli, Cossiga confermò di essere un presidente della Repubblica “anomalo”, almeno per quegli anni. Per la prima volta, infatti, un politico democristiano non cercò di negare il ruolo negativo di una parte della classe politica, appoggiando l’operato dei magistrati di Milano che guidano l’inchiesta sulle tangenti al sistema politico.
Mani Pulite, ha raccontato Cossiga nel suo ultimo libro Fotti il potere, “non nasce con l’arresto di Mario Chiesa. Ho parlato con diversi grandi imprenditori coinvolti, e tutti mi hanno detto che gli sono stati contestati fatti appresi dai magistrati anni prima grazie alle intercettazioni. C’è qualcosa che non torna: perché quelle inchieste da anni dimenticate sono state di colpo lanciate tra i piedi del ceto politico?”. Forse perché, secondo Cossiga , qualcuno, non solo in Italia, voleva liberarsi di un sistema politico “logoro e dal loro punto di vista ormai inservibile”.
Con dieci settimane d’anticipo sulla scadenza naturale del proprio mandato, il 28 aprile del 1992, Cossiga si dimise dalla presidenza della Repubblica per evitare l’ingorgo istituzionale, annunciando la sua decisione in un discorso televisivo di 45 minuti, pronunciato simbolicamente il 25 aprile, Festa della Liberazione.
Un bilancio sulla sua vita politica necessita di tempo. Ma già da oggi, guardandoci intorno desolati, pensando ad una politica italiana repubblicana che oggi, nel basso impero imperante non esiste più, sappiamo che finiremo con il ricordarlo con rimpianto.
Presidente emerito e scrittore, attraverso i suoi numerosi libri ci ha raccontato la politica senza veli né maschere, con i suoi meccanismi e le sue dinamiche, senza pudore o ipocrisia: “Fotti il potere, gli arcani della politica e dell’umana natura” è stata l’ultima fatica letteraria di Francesco Cossiga, scritta a quattro mani con il giornalista Andrea Cangini, per i tipi di Aliberti. Nel 2009, il presidente emerito della Repubblica aveva pubblicato con Rizzoli il saggio “La versione di K, Sessan’anni di contro storia”, raccontando la sua verità sui principali avvenimenti di oltre mezzo secolo di storia italiana, compresi quelli più drammatici, primo fra tutti il caso Moro.
Nello stesso anno il senatore a vita aveva pubblicato con Aliberti il libro-intervista con Claudio Sabelli Fioretti “Novissime picconate”, una sorta di instant-book in cui l’ex capo dello Stato tornava, appunto, a picconare, menando fendenti a destra e a sinistra, con la consueta ironia amara e feroce. L’anno precedente, per i tipi di Rubettino, Cossiga aveva pubblicato “Mi chiamo Cassandra. Arguzie, giudizi e vaticini di un profeta incompreso”, un volumetto che raccoglie le battute apparse sui giornali in interviste o articoli di proprio pugno: un florilegio di paradossi e stilettate che può a ragione essere accostato al personaggio di Cassandra, profetessa condannata a non essere mai creduta.
Nel 2007 l’ex capo dello Stato aveva pubblicato due volumi: un altro libro-intervista al fianco di Claudio Sabelli Fioretti, “L’uomo che non c’è”, edito da Aliberti, mentre presso Mondadori era apparso “Italiani sono sempre gli altri. Controstoria d’Italia da Cavour a Berlusconi”.
Il 2003 è stato l’anno più prolifico del Cossiga autore di libri. Tre i volumi pubblicati: con Italia Turistica, per la collana le Province d’Italia, “Provincia di Cagliari. Melodie di colori”, insieme a Paolo Caredda e Sandro Balletto; con Mondadori “Per carità di patria. Dodici anni di storia e politica italiana 1992-2003”, in cui politica e storia si confrontano nell’esame dei fatti e nel giudizio sui protagonisti: da Prodi a Berlusconi, da Craxi a D’Alema, da Scalfaro a Ciampi, da Amato a Casini, da Lima a Falcone, da Saddam a Bush, fino a un inatteso confronto-incontro intellettuale e spirituale con Giovanni Paolo II; e per i tipi di Liberilibri “Discorso sulla giustizia”.
Nel 2002 Cossiga aveva pubblicato con Rubettino “I servizi e le attività di informazione e di controinformazione. Abecedario per principianti, politici e militari, civili e gente comune”. Una sorta di vademecum, scritto da un vero esperto di intelligence quale l’ex capo dello Stato era, per fare comprendere il mondo dei servizi segreti: “Quando ero al Quirinale raccontò in una intervista- vollero tentare una riforma dei Servizi. Per dare solennità alla cosa fecero una riunione del Consiglio superiore di Difesa, e io mi accorsi che molti suoi eminenti membri non sapevano nulla di questi argomenti. Così un sabato e una domenica ho scritto il libro per loro: quasi un dizionario terminologico, perché capissero almeno le parole. Poi capitò a pranzo da me l’ex-capo della Cia William Colby, e allora io gli chiesi il favore di leggere e correggere. Lui lo fece, e mi diede anche un voto: nove e mezzo…”.
Nel 2000 l’ex presidente della Repubblica aveva dato alle stampe per la saggistica della Rizzoli “La passione e la politica”, un’opera autobiografica sulla vita di un protagonista della vita politica italiana. Nel 1993, il primo libro, con Mondadori: “Il torto e il diritto. Quasi un’antologia personale”.
(Tratto da Aprile online)