FROSINONE – Festa della Polizia. Il discorso del Questore De Matteis
Signor Prefetto, onorevoli, spettabili Autorità Civili, Militari ed Ecclesiastiche, signori Funzionari ed Ufficiali delle Forze di Polizia e delle Forze dell’Ordine, rappresentanti dei lavoratori italiani, mi competono l’onore ed il privilegio di portare il saluto ed il ringraziamento per la vostra presenza da parte della Polizia di Stato. Celebriamo oggi il 159° anniversario della nostra Istituzione, un secolo e mezzo di storia, di passione e di sacrificio, scritta, a volte anche con il sangue, da centinaia di migliaia di uomini e donne che hanno dedicato la propria esistenza al bene comune della sicurezza dei cittadini e del nostro Paese. Una storia non ancora finita, e che propone oggi nuove sfide, nuove pagine da scrivere. In un mondo che cambia, e cambia rapidamente, e cambia a volte in maniera del tutto inaspettata rispetto alle migliori previsioni, il valore della flessibilità acquista carattere dominante. Flessibilità, ossia capacità di una Istituzione di aggiornarsi, di rendere davvero fruibile il servizio prodotto, di intercettare e dare risposta alle reali, attuali complesse esigenze del cittadino. E’ il banco di prova della Polizia di Stato a 159 anni dalla sua nascita, è la nuova storia che oggi siamo chiamati a scrivere. Ha detto qualcuno che ogni Paese, in ogni luogo ed in ogni tempo, ha la propria Polizia, quella cioè che meglio corrisponde ai propri valori fondanti per svolgere una delle funzioni preminenti dello Stato: la pacifica convivenza dei propri cittadini sotto l’egida della legge, in libertà. Questa, per noi è sicurezza. Non a caso il motto della Polizia italiana, motto praticato ed osservato, anche a costo di pesanti, talvolta estremi sacrifici, è sempre stato questo:“ Sub lege, libertas”. Legge e libertà, questi sono i valori posti alla base della azione della Polizia di Stato, e sono talvolta, valori coincidenti, due facce della stessa medaglia. Lo sapeva bene Alfred de Vigny, uomo di armi e di lettere, che già due secoli fa, faceva dire ad uno dei suoi personaggi alcune semplici, importanti parole: “ Voi chiamatemi legge, io sono libertà”. Non c’è legge, che valga la pena di essere rispettata, se non c’è libertà. Viceversa, non ci può essere libertà aldilà della legge. Noi tutti, chiamati a far rispettare la Legge, siamo, in realtà, tutori della libertà dei nostri cittadini.. Nel delicato rapporto tra libertà e sicurezza, un rapporto destinato per natura ad essere inversamente proporzionale, uno Stato moderno e democratico, qual è il nostro, è sempre attento nel ridurre al minimo necessario i poteri attribuiti alla polizia per salvaguardare la libertà dei cittadini. Noi siamo la polizia moderna, liberale e democratica che l’Italia ha scelto di avere. Questa tradizione di salvaguardia dei diritti e della libertà, pur nell’applicazione della legge rappresenta, per tutti noi poliziotti del 2011, l’insegnamento più importante che i nostri predecessori ci hanno tramandato. Intendiamo farlo nostro, intendiamo onorare il mandato che i cittadini ci hanno consegnato, ed intendiamo consegnarlo ai nostri successori, i poliziotti che verranno. Anche oggi, soprattutto oggi, quando la flessibilità ci suggerisce di affiancare nuovi obiettivi a quelli “tradizionali” della prevenzione e della repressione dei reati: l’obiettivo per esempio di una legalità intesa come concetto superiore alla semplice osservanza delle leggi, al semplice timore della pena insita nella norma. Ma non possiamo essere soli in questa ricerca della legalità; giacché essa è soprattutto una questione di cultura, ed occorre il concorso di tutta la parte sana della società, affinché metta radice nelle coscienze la convinzione intima che il rispetto delle regole poste alla base del nostro stare insieme non possa più essere soltanto affare di polizia, ma faccenda che riguarda tutti, che coinvolge tutti. Insomma, se il fine ultimo è vivere l’uno accanto all’altro in libertà, e nel rispetto reciproco, la polizia, le leggi, i giudici, non bastano. Questo il significato più intimo dello slogan che da qualche anno accompagna la festa della Polizia, uno slogan che rappresenta un vero e proprio programma d’azione per il Capo della Polizia e per noi tutti: c’è più sicurezza insieme. C’è più sicurezza se la polizia dialoga col cittadino, ne recepisce le istanze, i bisogni le paure. C’è più sicurezza se il cittadino, da solo o attraverso i propri rappresentanti territoriali, o tramite le associazioni, può esporre le proprie esigenze, le proprie preoccupazioni, le proprie paure. C’è più sicurezza, infine, se la sicurezza stessa diventa l’obiettivo di un’azione comune, anziché continuare ad essere affare delegato agli addetti ai lavori. Questo è anche il significato di questa celebrazione, che vede riuniti in questa sala rappresentanti delle forze di polizia, della magistratura, della scuola ,della politica, dei sindacati. Vogliamo fare, insieme, più sicurezza. Insieme. Questa è flessibilità, capacità di comprendere cosa avviene attorno a noi, giacché è nostro compito cogliere la nuova domanda di sicurezza che avanza nel Paese; per adeguare di conseguenza il nostro servizio a quelle che sono in questo momento le reali esigenze dei nostri cittadini. Saldi nei principi, flessibili nelle modalità d’azione, così devono essere i poliziotti. Viviamo nel villaggio globale, una apparente contraddizione in termini, che però rende davvero bene la vera contraddittorietà del nostro tempo; viviamo in due dimensioni opposte. Compriamo scarpe fatte in Thailandia, consumiamo tonno pescato in Sudamerica, la sera compriamo un orologio dal sito web di una gioielleria svizzera, eppure sul pullman, o al semaforo, o sotto casa nostra, ci sentiamo aggrediti nella nostra intimità quotidiana dallo zingaro che chiede l’elemosina, dal lavavetri dell’Est europeo che insiste più del dovuto, dal gruppo di sudamericani che bevono una birra in più ai giardinetti. Hugo Von Hoffmannstall coglie l’imbarazzo che spesso cogliamo davanti a fenomeni nuovi del nostro vivere quotidiano “ Viviamo, pensiamo, operiamo in base a concetti storicamente antiquati che continuano a guidare i nostri pensieri e le nostre azioni. Non riusciamo più a cogliere la realtà con lo sguardo semplificatore dell’abitudine.” Si richiede alla polizia un intervento che vada oltre la prevenzione e la repressione del reato. Si chiede al poliziotto di rassicurare quando il nemico non è più il criminale ma semplicemente lo straniero, il disadattato, l’ emarginato. Si chiede, insomma, di cambiare un po’ il nostro antico mestiere, per diventare anche mediatori dei conflitti sociali, custodi del processo d’integrazione, garanti dei diritti dei più deboli. Viviamo in due dimensioni diverse ma la causa è una sola: la globalizzazione. Di conseguenza anche gli orizzonti della sicurezza si dilatano oggi in due dimensioni apparentemente opposte. Da un lato l’attività di Polizia si proietta in una dimensione internazionale perché è lì che nascono le insidie per l’incolumità dei nostri cittadini; dall’altro si estende in ambito nazionale, territoriale, localizzato, perché è nelle città, nei quartieri, a casa propria che il cittadino avverte la paura. Non solo del crimine, ma spesso del diverso. Spesso, sempre più spesso, si ha paura del diverso. Tra le montagne dell’Afghanistan, nei deserti dell’Iraq nelle Lande dell’Asia Centrale, sotto il sole cocente dell’America Latina o a trenta chilometri da Islamabad. Lì oggi c’è bisogno di intervenire con azioni di Polizia per pedinare, intercettare, arrestare terroristi, appartenenti alla criminalità organizzata, trafficanti di droga e di essere umani, mafiosi. Subito dopo la strage delle Twin Towers U.Beck in “ Un mondo a rischio” si chiede: “ chi avrebbe mai immaginato che per tutelare la pace e la vita dei nostri cittadini avremmo dovuto impiegare i nostri militari in Afghanistan? Uno studio recente dell’Istituto Affari Internazionali presieduto da Stefano Silvestri e commissionato dal Senato della Repubblica rivela che nei maggiori paesi europei Inghilterra, Francia e Germania negli ultimi anni è in corso un vero e proprio processo di accorpamento tra la dimensione sicurezza e la dimensione difesa. In sintesi si sta verificando una fusione tra la figura del poliziotto e quella del soldato. Non a caso oggi, per entrare in polizia, occorre aver prestato servizio nelle forze armate. Molti di questi hanno prestato servizio nelle zone di guerra. Un fenomeno storico senza precedenti che cambierà per sempre il nostro modo di essere poliziotti e ci indurrà a superare il concetto di territorialità della nostra azione, anche perché da molto tempo terrorismo mafia, criminalità organizzata, narcotraffico hanno superato i limiti imposti dai confini politici tra vari paese.. I nostri figli oggi rimangono nelle nostre case, ma accendendo il computer entrano nel mondo virtuale del web ed hanno ordinari contatti magari dialogando in inglese con ragazzi americani, indiani e cinesi mentre giocano al loro videogame preferito. Con un mondo in evoluzione il nostro sistema di Polizia si evolve e fornisce nuovi servizi, si sforza per rendere sempre più fruibile la propria organizzazione. Cambia la polizia e cambiano, dunque, i poliziotti. Indagini nate a Frosinone portano ad Islamabad, e viceversa,come hanno dimostrato le recenti, importanti operazione della nostra Digos. E la Squadra mobile, per intercettare i grandi flussi di stupefacente che interessano il nostro territorio è dovuta arrivare alcuni giorni fa in Spagna, in Marocco, in Olanda. Benvenuti nel villaggio globale, piaccia o non piaccia, questo è il contesto nel quale oggi siamo chiamati ad operare. E noi dobbiamo operare. Con la testa magari rivolta ai terroristi islamici che trafficano in droga a casa nostra, e la pressione dei residenti nel centro storico che protestano per gli eccessi della movida estiva. Ma questo è il nostro mestiere, e pur se il contrasto ci fa, a volte, sorridere, ci spetta dare risposte ai grandi problemi, e a quelli meno grandi. Insieme. Anche se talvolta gli strumenti appaiono inadeguati. Ricorre quest’anno il trentennale della legge che ha regolato gli assetti fondamentali della Polizia di Stato, la 121 del 1981. Una legge nata in un periodo ,per intenderci, in cui la preoccupazione maggiore dei responsabili della sicurezza era, a giusta causa, la piazza, le manifestazioni dei lavoratori e del mondo sindacale, il terrorismo nazionale. In un tempo in cui non erano ancora avvenuti eventi che hanno cambiato per sempre la storia del mondo, e quindi il ruolo della polizia nei singoli stati, come la caduta del Muro di Berlino dell’’89, il trattato di Marrakech del ‘94, che ha creato un unico mercato mondiale, la strage delle Twin towers del 2001. Tempi per intenderci in cui parlando di immigrazione il pensiero andava istintivamente all’emigrante pugliese che veniva catapultato come operaio nelle metropoli del nord, e non ai milioni di migranti che da anni cercano un futuro migliore in occidente, e che sicuramente non desisteranno dinanzi alle minacce un po’ folcloristiche di chi vorrebbe rimandarli a casa, quasi fossero turisti in cerca di emozioni. Tempi in cui parlando di mafia si diceva che la mafia non esisteva, per il codice penale, ,perché il 416 bis sarebbe entrato in vigore un anno dopo, nel 1982. E neanche per l’opinione pubblica, per dire la verità, o almeno per buona parte di essa. E se pure esisteva, esisteva in alcuni paesi del sud d’ Italia, dal quale non si sarebbe mai mossa perché a dorso d’asino non si può arrivare lontano. E ricorre, tra due giorni, l’anniversario della strage del Giudice Giovanni Falcone, del giudice Francesca Morbillo e dei tre uomini che li proteggevano: Antonio Montinaro, Vito Schifani, e Rocco Di Cillo. Tre uomini della Polizia di Stato che il 23 maggio 1992, hanno onorato col sacrificio della propria vita il giuramento di servire lo Stato sino alla morte, se necessario. Per loro, per i nostri morti, per tutti i caduti nella lotta alla mafia tra le fila della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Magistratura, della Politica, del Sindacato, della Stampa , e per tutti i cittadini innocenti che la mafia ha ucciso, per testimoniare quanto vivo sia ancora in noi il valore supremo del loro esempio, io chiedo un minuto di silenzio. Un atteggiamento negazionista, quello di alcuni opinionisti, che molto male ha fatto agli sforzi che la polizia di Stato ha prodotto per contrastare la mafia. La quale, va detto, non può essere più intesa come l’esercizio di una attività un po’ sui generis da parte di alcuni signori dotati di coppola e di lupara che si nutrono di cicoria e comunicano coi pizzini, ma come un autentico cancro che corrode la nostra società, la nostra economia, la nostra democrazia. Per dirla con le parole del senatore americano John Kerry la mafia è da intendere come “ un vero e proprio ordine mondiale basato su valori condivisi che sono totalmente diversi da quelli sui quali si fonda la società civile dei nostri paesi democratici”. Atteggiamento negazionista che si nota, ancora oggi, in alcune realtà del nostro Paese, magari anche da queste parti, per essere espliciti. E che, va detto senza mezzi termini, non agevola l’azione di polizia, e quella di pulizia che noi, con ogni mezzo e con ogni energia, intendiamo continuare a fare da subito, in questa provincia. Noi siamo difatti pienamente convinti che le organizzazioni criminali esistono da anni sul nostro territorio, che hanno agito per qualche tempo indisturbate, sviluppando interessi soprattutto nel settore del riciclaggio, e che si sono avvantaggiate anche di un negazionismo di maniera, a volte frutto di buona fede, altre no. Altre, no. Mi rivolgo ai giovani presenti in sala: non vi basti mai sapere cos’è la mafia, dovete imparare ad odiarla, la mafia, anche quando vi dicono che non c’è, perché è la mafia che ruba il vostro futuro, è la mafia che vuole sopraffare i vostri diritti, è la mafia che vuole privarvi dei vostri sogni. Odiatela la mafia, come si odia il male, e combattetela sempre, in ogni modo, anche se da grandi non sarete poliziotti, giudici, o carabinieri. Dove c’è mafia, non c’è libertà. Odiate chiunque vuole togliervi la libertà. Eppure l’avversario più difficile da sconfiggere, in un mondo dominato dall’informazione e dalla comunicazione in tempo reale appare essere la percezione di insicurezza. I mass media hanno un ruolo fondamentale nella gestione della notizia e quindi nel modo in cui il cittadino raffigura la propria sicurezza; quando viene data enfasi ad un delitto efferato ognuno si sente messo a rischio nella propria condizione quotidiana. Questo giustifica l’attenzione che il gestore della sicurezza deve avere, oggi più che mai, nei confronti del mass media, perché attraverso questi passa oggi una parte importante del prodotto sicurezza. Con l’avvertenza però che non tutta l’azione di Polizia può svolgersi in questa direzione. Quando difatti si punta molto sulla visibilità delle divise, quando si punta molto sul semplice passaggio della Volante a lampeggiante acceso, quando si punta molto su ciò che appare e poco su ciò che è, non si raggiungono risultati concreti e si è destinati al fallimento. La verità è che non esistono scorciatoie, non esistono espedienti, non esistono coup de theatre nella gestione della sicurezza; esiste lavoro serio, determinazione e professionalità, ed occorre, soprattutto, valorizzare la risorsa umana. Occorre puntare sull’uomo, più che sulle leggi, occorre motivare, formare, incentivare il poliziotto, piuttosto che acquisire sofisticate tecnologie o consulenze di “specialisti” della sicurezza. Sono i poliziotti che fanno la differenza, su loro occorre puntare per avere risultati. Oggi vogliamo che sia la festa degli uomini, e delle donne, che con passione, con orgoglio, con grande dignità, e con grandi risultati, hanno reso grande la polizia di Stato, e la renderanno ancora più grande negli anni a venire. Si, conseguiremo altri importanti risultati nella lotta al crimine. Purché si abbia il coraggio, per chi ha la responsabilità di coordinare ed indirizzare l’azione di Polizia, di indicare gli obiettivi prioritari di detta azione, tralasciando quelli che sono senz’altro più facili da raggiungere ma molto meno incisivi dal punto di vista della effettiva aggressione al crimine. Bisogna allora avere il coraggio di puntare ai trafficanti piuttosto che agli spacciatori; bisogna avere il coraggio di puntare alle organizzazioni criminali piuttosto che ai singoli delinquenti e bisogna avere infine il coraggio di investire risorse investigative, per colpire i corrotti e collusi, piuttosto che accettare come male necessario qualsiasi tipo di contiguità tra gestione della cosa pubblica ed interessi criminali. Anche questa, soprattutto questa, è sicurezza. E la sicurezza diventi allora affare nazionale, affare locale, e diversi soggetti siano chiamati a fornire il proprio contributo, affinché finisca il sistema autoreferenziale delle Forze di Polizia e si apra una fase nuova, una fase basata su una moderna straordinaria intuizione dei massimi responsabili della Polizia di Stato: c’è più sicurezza insieme. Vigiliamo insieme, affinché la gestione della cosa pubblica continui a svolgersi nell’interesse del cittadino e dello Stato, vigiliamo insieme affinché venga recuperato il senso più alto e più nobile del fare politica, dell’essere amministratori pubblici, dell’essere, davvero, servitori dello Stato. Insieme ai cittadini, insieme ai loro rappresentanti, insieme ai Sindaci, insieme ai sindacati, insieme ai Presidenti di Provincia e Regione, insieme alla Chiesa, insieme ai responsabili delle altre religioni oggi praticate sul territorio nazionale. C’è più sicurezza, insieme,se la sicurezza diventa affare di tutti. Questo spiega allora perché il bilancio che pure va fatto in questa occasione dell’attività della Questura di Frosinone vada letto in un’ottica più generale, che tenga conto dei principi sinora esposti. Ed ecco allora che la Digos di Frosinone ha portato a termine quest’ anno due operazioni di eccezionale importanza e di valenza internazionale: con l’operazione Cestia sono stati tratti in arresto circa cinquanta Afgani e Pakistani appartenenti ad una organizzazione finalizzata alla tratta di esseri umani che passava per la rotta asiatica e medio orientale costituendo illeciti canali di finanziamento anche per il terrorismo. Un’attività svolta insieme all’Europol ed ad Eurojust in collaborazione con Francia, Germania Grecia Svezia Gran Bretagna Belgio. Per la prima volta in Italia è stata data attuazione ai contenuti della convenzione di Palermo sul crimine trans nazionale del 2000, e sono stati effettuati quasi dieci mandati di arresto Europei. Con l’operazione Scutum , sempre condotta dalla Digos e conclusa appena tre giorni fa, sono stati colpiti undici cittadini pakistani e tunisini e sono state effettuate circa quaranta perquisizioni a carico di pakistani accusati di appartenere ad una organizzazione dedita al terrorismo al traffico internazionale di stupefacenti ed all’immigrazione clandestina. Sul settore del contrasto al traffico di stupefacenti la Squadra Mobile ha conseguito risultati senza precedenti: sei chili di eroina sono stati sequestrati a carico di un’organizzazione albanese nell’ottobre del 2010, cittadini italiani residenti ad Anagni sono stati arrestati mentre stavano per immettere nel frusinate oltre mille dosi di cocaina. Soprattutto negli ultimi mesi la Squadra Mobile ha puntato ad interrompere i flussi di sostanza stupefacente, cambiando strategia rispetto a quella tradizionale che induce a colpire i singoli spacciatori: ora colpiamo i grossi trafficanti, in questa provincia. E colpiamo di frequente, e colpiamo duro. Dal dicembre ad oggi, in 7 diverse operazioni antidroga, portate brillantemente a termine dagli investigatori della Squadra Mobile, sono stati sequestrati in totale: Oltre 26 Kg di eroina, 4,5 Kg di cocaina, 100 Kg di marijuana, 5 Kg di hashish. La droga sul mercato dello spaccio al dettaglio avrebbe fruttato oltre 2 milioni e mezzo di euro. Contestualmente ai sequestri sono stati arrestati i corrieri (in totale 13 persone) impegnate nel trasporto dello stupefacente. Possiamo dire che abbiamo ridotto dell’80 per cento il business della droga su Frosinone e Provincia. Di tutto rilievo anche i risultati nella prevenzione. Cambiando strategia, ed affiancando alla prevenzione generale, quella che si fa con le volanti, la prevenzione personale, quella che si fa allontanando dal nostro territorio i soggetti con attitudini a delinquere, abbiamo ridotto nell’ultimo semestre del 39 per cento i reati contro la persona, del 22 per cento quelli contro il patrimonio, abbiamo aumentato del 27 per cento il numero degli arrestati e di quasi il 50 per cento quello dei denunciati. Abbiamo raddoppiato il numero degli identificati. E tutto questo, comunque, ci rende orgogliosi, ma non ci basta. Sentiamo che è nostro dovere fare di più, perché la gente ce lo chiede, e perché noi sbirri, alla fine siamo fatti così: pensiamo sempre a quello che dobbiamo fare, più che a quello che abbiamo fatto. Mi avvio alla conclusione: vorrei ringraziare, innanzitutto i colleghi dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, con i quali condividiamo ogni giorno le ansie le gioie e i dolori del nostro mestiere, e quelli delle forze di polizia e delle forze dell’ordine, la presenza dei quali conferisce valore aggiunto ala nostra azione quotidiana. Ringrazio in modo particolare il Prefetto di Frosinone, per la competenza e per la passione che dedica allo svolgimento del suo delicato incarico e per il coraggio, che spesso ha, di cogliere aspetti nuovi di fatti noti, aiutandoci a far bene il nostro mestiere ed incentivando le forze di polizia a realizzare, nel modo migliore possibile, l’indirizzo politico in tema di sicurezza. Il coraggio, ho detto, perché anche questo, a volte è necessario dimostrare, quando si rappresenta davvero lo Stato. Ringrazio i magistrati in servizio in questa provincia per la straordinaria competenza, per la continua vicinanza, per la indiscutibile equidistanza con le quali, spesso nell’ombra e senza pretesa di proscenio, continuano la loro missione di custodi della legge. L’ultimo pensiero per le donne e gli uomini della Polizia di Stato: in primis per quelli che non ci sono più, ma che vivono sempre nella nostra memoria e nel nostro affetto, e il loro ricordo ci aiuta a mantenere intatta la nostra fede e salda la vision della nostra missione al servizio del bene comune e del Paese. In secundis per gli uomini e le donne che oggi sulle strade del Paese, onorando il giuramento fatto al momento del loro ingresso in Polizia, con enorme impegno, con incredibili sacrifici, con una commovente passione, rendono ogni giorno il proprio servizio alla collettività: a loro e soltanto a loro vanno ascritti i meriti di tutto quello che di positivo significa la Polizia di Stato per i cittadini e per il paese. Infine mi rivolgo ai poliziotti che verranno dopo di noi, appartenenti alle nuove generazioni qui presenti. Fate vostri i principi che oggi sono nostri, abbiate sempre una logica di servizio e non di potere quando sarete voi la Polizia di Stato ma soprattutto non rinunciate mai all’idea che qualsiasi struttura anche la più perfetta necessita sempre di continue piccole correzioni per corrispondere davvero al mandato che i cittadini del nostro paese ci hanno consegnato. Quest’anno ltalia compie 150 anni; fate si che il nostro paese sopravviva nei suoi valori fondamentali, nelle sue tradizioni, nella sua cultura, alle erosioni del tempo, a quelle del crimine e a quelle molto più pericolose dell’interesse. Fate vostra la nostra storia e continuate a scriverla ricordando le parole di Gorge Bernnard Shaw Non è la memoria del passato a renderci saggi, ma la responsabilità del futuro. Viva la Polizia di Stato, viva l’Italia.
(Tratto da Ultimissime.net)