Mafia Capitale, tensione già alta alla prima udienza del “processetto”
05/11/2015 – di Tommaso Caldarelli
Rimandato al 17 novembre il processo che si annuncia lungo, muscolare e teso: “Lesi i diritti di difesa delle parti”, dicono gli avvocati di Massimo Carminati e Massimo Brugia. Richiesto il giudizio per Gianni Alemanno
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“Muscolare, bravo, voi giornalisti avete sempre la sintesi pronta”: sottoscrive, quasi divertito, un avvocato di una delle decine di parti civili che hanno depositato il proprio atto di costituzione sulla scrivania della Decima Corte Penale di Roma, la nostra definizione del clima in aula. E’ il processo Mafia Capitale che chiude la prima data con otto ore di udienza piena, fatta di questioni preliminari, notizie da fuori la porta, annunci dell’ultim’ora e, sopratutto, un clima da staffilate, da stoccate procedurali, fra le difese degli imputati maggiori – Massimo Carminati, Salvatore Buzzi, Riccardo Brugia – e la pubblica accusa.
MAFIA CAPITALE, TENSIONE GIA’ ALTA ALLA PRIMA UDIENZA: “E’ UN PROCESSETTO” –
“Un processetto dopato, preda di una campagna mediatico-giornalistica giudiziaria, con una precisa regia”, ha esordito il legale di Carminati e Brugia, Giosué Bruno Naso nell’aula d’udienza. “In questa vicenda a venire lesi sono i diritti degli imputati”, sopratutto quelli più celebri, “Salvatore Buzzi, che contende a Massimo Carminati il ruolo del “cattivo”; Riccardo Brugia, che viene definito il braccio destro di Carminati, o, come potremmo dire, ‘l’occhio destro’; e ancora Fabrizio Franco Testa”. La questione è tutta nel decreto – sul quale la Camera Penale di Roma ha confermato il suo sciopero della prossima settimana – che dispone la partecipazione di Buzzi, Brugia, Testa e di altri importanti imputati in videoconferenza dai carceri in cui sono detenuti in regime di custodia cautelare. Fatto salvo Massimo Carminati, che è sottoposto al 41 bis e per il quale la videoconferenza è obbligatoria, per gli altri imputati – continuano le difese – non sussisterebbero i presupposti delle gravi ragioni di sicurezza e di particolare complessità del dibattimento tali da giustificare questa compressione dei diritti della difesa. “In effetti, è un precedente abbastanza imponente”, ci dice un’avvocato di passaggio, non coinvolto nel processo, “una decisione controversa”.
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Tre, quattro udienze a settimana, quelle da calendario provvisorio: “quindi io”, ha detto in aula Naso, “devo fare udienza quattro volte a settimana e poi posso scegliere se andare a Parma”, dove è detenuto Carminati, “o a a Terni”, dove è detenuto Riccardo Brugia, “per uno, due giorni”: come è possibile, chiede il legale, garantire così il diritto di difesa degli imputati? “In questo processo questo collegio ha creato dei detenuti di serie a e dei detenuti di serie b, sulla base della sola posizione della procura e senza chiedere pareri alle difese”. La procura ha replicato, con Giuseppe Cascini, ricordando che è stata la Corte Costituzionale nel 1999 a ritenere non fondata la questione di costituzionalità che chiedeva, appunto, se l’articolo 146 bis delle disposizioni di attuazione al codice, quelle che dispongono la videoconferenza degli imputati, fossero incostituzionali per compressione dei diritti di difesa. “Tutti i processi sono seri, tutti gli imputati vanno rispettati e non penso sia elegante chiamare “processetto” questo processo, io non mi esprimerei mai con questi termini, è una questione di stile. Inoltre, nel merito, la cooperativa 29 giugno nasce nei locali del Carcere di Rebibbia, dove Buzzi ha passato un periodo di detenzione. L’idea di riportarlo a Rebibbia insieme agli altri imputati ci risulta, francamente, incredibile”. Rosanna Ianniello, presidentessa della X Sezione del tribunale di Roma, si accoda alla posizione della Procura. “Non c’è alcuna nullità della costituzione degli imputati, la videoconferenza con disponibilità del telefono per i difensori è parificata alla presenza in udienza”. Il processo prosegue.
Lento, va detto, lentissimo: estenuante. La difesa di Salvatore Buzzi, patrocinante Alessandro Diddi, dichiara ai giornalisti durante una pausa d’udienza: “a Roma la mafia non esiste, c’è un cattivo, cattivissimo costume, ma non la mafia”. E’ la linea delle difese, che sarà ripetuta a tamburo battente durante tutto il processo: reati sì, mafia no. E mette a segno un punto importante, l’avvocato Diddi, con la citazione dei dirigenti della Cooperativa 29 Giugno quali civilmente obbligati per la pena pecuniaria. “Non siamo preoccupati”, dichiarerà Fabio Bruno, presidente di una delle società del sistema 29, a Giornalettismo, alla fine dell’udienza. “Innanzitutto siamo costituiti come parte civile tramite l’avvocatura dello Stato” – in quanto le cooperative sono attualmente in amministrazione controllata; “in secondo luogo, è davvero prematuro pensare a questo. Bisognerà aspettare la condanna e l’eventuale insolvenza di Salvatore Buzzi. Pensiamo al processo, ora”. Certo, ammette un altro difensore di una cooperativa che si costituisce parte civile: “Questo dimostra come siano sempre i lavoratori a pagare per le scelte degli amministratori. La norma parla chiaro ed è giusto che l’avvocato Diddi abbia citato le cooperative quali civilmente obbligate, vedremo come andrà”. Lui è solo uno degli avvocati che hanno depositato la costituzione di parte civile: 55 legali per complessive, circa, 150 posizioni soggettive che pretendono risarcimento dagli indagati.
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Un elenco sterminato. Ministero dell’Interno, Regione Lazio, Comune di Roma – nessuna carica istituzionale, nessun nome noto, nessuna fascia tricolore al processo; Confindustria, e poi le associazioni antimafia: Libera, fondazione Caponnetto, Associazione delle vittime dell’Usura e del Racket, Sos Impresa, Ambulatorio Antiusura, CittadinanzAttiva. Spiccano le costituzioni di parte civile di alcuni, concreti, danneggiati dal sistema politico-mafioso di Salvatore Buzzi e soci: i migranti. Si costituiscono l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, legali a rappresentare 37 nomadi residenti nel campo di Castel Romano, singoli profughi, rifugiati politici, “dal Darfur e dall’Africa”. E poi, la politica: il Partito Democratico del Lazio, il Movimento Cinque Stelle comunale e nazionale con Marcello de Vito e Roberta Lombardi, e il consigliere Riccardo Magi dei Radicali: citato nelle intercettazioni di Salvatore Buzzi, l’eletto con Ignazio Marino si pretende danneggiato dalle azioni del sistema criminale “per specifici atti”, dichiara a Giornalettismo. Dalle intercettazioni risulta che mentre esercitava la sua azione politica, il sistema politico criminale si muoveva per ostacolarlo con nome e cognome. Pierpaolo Pedettidel Partito Democratico è visibilmente provato; Mirko Coratti, ex presidente dell’Aula Giulio Cesare è assente – i suoi legali fanno sapere di essere “convinti che nel dibattimento sarà riconosciuta la piena innocenza del nostro cliente dall’unica imputazione di cui è chiamato a rispondere, una ipotesi di concorso in corruzione, senza alcun collegamento con consorterie mafiose, vere o presunte che siano”.
Nel pomeriggio arriva la notizia: nuove accuse formalizzate contro l’ex sindaco Gianni Alemanno. “Come ampiamente previsto”, aggiungono fra i corridoi di piazzale Clodio.
Ad Alemanno è contestato di aver venduto tra il 2012 il 2014 “la propria funzione”e di aver compiuto “atti contrari ai doveri del suo ufficio”, tra cui aver nominato Giuseppe Berti a consigliere di amministrazione di Ama, l’intervento per la nomina di dg di Ama di Giovanni Fiscon, l’aver posto le strutture del suo ufficio a disposizione di Buzzi e Carminati e l’intervento affinché fossero erogati dal Comune di Roma finanziamenti a Eur spa.
Il calendario d’udienza è già stato modificato: gli appuntamenti della settimana prossima saltano, in ossequio alla giornata di astensione proclamata dalle camere penali di Roma, e per dare tempo alle parti e ai legali di esaminare le centinaia e centinaia di pagine delle costituzioni di parte civile, se del caso per chiederne l’estromissione. Prossimo appuntamento il 17 novembre, nell’aula Bunker di Rebibbia: sarà una strada molto lunga.