Roma/ A Ladispoli la Dia arresta tre uomini del clan Giuliano. Usura e gioco d’azzardo le accuse In evidenza
Torna a segnare un colpo il centro operativo di Roma della Direzione Investigativa Antimafia. Dalle prime ore della mattina, gli uomini della Dia, stanno procedendo nel territorio di Ladispoli all’esecuzione di un provvedimento di custodia cautelare, emesso dal Gip del Tribunale di Civitavecchia Paola Petti, su richiesta della Procura di Civitavecchia nei confronti di 3 persone, ritenute responsabili di associazione per delinquere e reati contro il patrimonio di cui una riconducibile clan Giuliano di Napoli. I destinatari dei provvedimenti sono imputati, in concorso tra loro dei reati di usura ed esercizio del gioco d’azzardo aggravati.
Avevano organizzato sul litorale romano «una vera e propria colonia camorrista». È quanto riferiscono gli investigatori sui tre personaggi della criminalità campana arrestati oggi a Ladispoli. In particolare il capo dell’organizzazione è stato individuato in Patrizio Massaria, già elemento di vertice del clan Giuliano, «particolarmente temuto» per la violenza e le intimidazioni con cui praticava lo strozzinaggio. Gli altri due fermati sono Angelo Lombardi e Carlo Risso. L’organizzazione scoperta dalla Dia da più di 10 anni aveva messo in piedi a Ladispoli un sistema di usura ai danni di cittadini e imprenditori in crisi economica, molti dei quali dediti al gioco d’azzardo, «incoraggiato dagli stessi usurai che lo gestivano in città».
Le intercettazioni telefoniche e le testimonianze di alcune vittime «vessate e prostrate dagli usurai arrestati stamani a Ladispoli» hanno portato alla luce come i criminali pretendessero prestiti usurari ad un tasso che arrivava al 120% dell’importo versato. Il giro d’affari negli anni è arrivato a centinaia di migliaia di euro a scapito di decine di soggetti. Un dipendente pubblico, in particolare, con il vizio del gioco e delle scommesse calcistiche clandestine, ha dichiarato di aver accumulato in tre anni di giocate ‘sulla fiducià un debito di oltre 10 mila euro e di essere stato minacciato, non potendo farvi fronte, nonostante avesse già consegnato denaro proveniente dalla cessione del quinto dello stipendio.