di Adriano Pagano
“Amm’arrivà fin o’ bass Lazio”. E’ il boss del clan di camorra – egemone nel territorio di origine, tra le vele di Scampia – a parlare e dettare la strategia operativa del sodalizio criminale direttamente dal carcere – dove è stato trasferito dopo la cattura – al figlio. Non è l’intercettazione tra le sbarre, del camorrista di turno, ma una delle scene cardine tra le svolte narrative della prima serie della fiction divenuta giù un cult internazionale: “Gomorra”.
Già, il Basso Lazio, così profondamente parte della contemporaneità criminale delle organizzazioni malavitose che fanno affari in tutto il mondo, da diventarne non più solo un luogo contiguo ai territori di origine del fenomeno, ma vicino umanamente, perché oramai privo di confini geografici per poterle far sentire “straniere”, privo di confini culturali. Dopotutto quando la camorra non c’è arrivata per fare affari – ne ha fatti e ne continua a fare tanti – sceglie il sudpontino come residenza obbligatoria o di vacanza. Sarà forse per questo motivo che Gomorra la sentiamo così vicina, qui, nel Basso Lazio, ne respiriamo le atmosfere, ne capiamo il linguaggio dei contenuti, delle azioni, delle scene, degli atteggiamenti. Ci sentiamo in un ambiente familiare, a vederne assetati di passione, le puntate che ci hanno atteso settimanalmente. Quei personaggi vivono di vita propria, non sono interpretazioni, come quando in largo Paone a Formia, l’estate passata, in molti hanno fermato e chiesto un autografo, o un selfie, a Marco Palvetti. Nessuno sapeva si chiamasse così, forse, perché per tutti era Don Salvatore Conte.
Allo stesso modo, dopo una durissima scena della fiction in cui viene barbaramente uccisa una bambina, figlia di uno dei personaggi di spicco della fiction (Ciro di Marzio), per ritorsione, all’attore che ha interpretato l’assassino piovono addosso offese e critiche furibonde l’indomani mattina della messa in onda della puntata. Quasi come se quel linguaggio narrativo – usato così fedelmente per la fiction – fosse altrettanto ben riconosciuto dai protagonisti spettatori che lo vivono nella vita vera, tanto da fare confusione tra la finzione e la realtà appunto. Insomma, perché questo enorme successo popolare? Perché una tale immedesimazione? E’ chiaro che chi ha scritto e girato la fiction – e i dialoghi meglio ancora – conosce bene la materia, le inchieste e la geografia criminale, in particolare del sudpontino, del Golfo di Gaeta, insomma, d’O Bass Lazio.
LA GOMORRA FORMIANA
E così per i giovanissimi la serie tv ha ben rappresentato un modello culturale, attualissimo, perché finalmente Gomorra dà la possibilità di crescere più in fretta di come si potrebbe. Essere più ricchi e potenti, senza badare all’età. Dopotutto la carta d’identità non è importante: dove non può arrivare il merito o le capacità, possono arrivare la violenza e la sopraffazione. Così Gomorra diventa un luogo fisico in cui entrare e cambiare la propria vita, la propria anagrafe. Ma non troppo, dopotutto la realtà, spesso, troppo spesso, purtroppo, supera la fantasia.
A Formia – e forse solo a Formia – alcuni di questi giovanissimi hanno ripercorso il filone della fortunata serie del regista Stefano Sollima e degli sceneggiatori Stefano Bises, Leonardo Fasoli, Ludovica Rampoldi, Filippo Gravino e Maddalena Ravagli su un’idea di Roberto Saviano. E hanno pubblicato su Youtube le prime tre puntate della loro serie Gomorra fatta in casa. Gomorra – Formia si intitola. Si atteggiano a criminali navigati. Parlano di droga, di armi, di omicidi.
Incredibile è l’utilizzo diauto dal valore di decine e decine di migliaia di euro. Alcuni di loro sono componenti – oltre che ovviamente appartenenti alla stessa fascia generazionale – della comitiva di quello che forse, stavolta sì nella realtà, meglio ha saputo interpretare Gomorra ante litteram. Superando la fantasia. Quel Pasquale Vastarella che il 25 novembre del 2014 – allora 18enne – ferì a coltellate, quasi uccidendolo, un coetaneo per un debito di droga, proprio nei pressi del palazzo comunale di Formia. Condannato a 6 anni, Pasquale Vastarella è nipote di Erminia Giuliano, anch’essa residente a Formia, molto più conosciuta con il nome di Celeste, sorella di Luigi Giuliano, già capo dell’omonimo clan di Forcella ma lei stessa ritenuta una vera e propria lady camorra.
IL FIGLIO DEL BOSS AMMAZZATO A TERRACINA RECITA NELLA FICTION’ di Mirko Macaro
Circa quattro minuti sul piccolo schermo, una comparsata di poche battute ma che pare fatta su misura nella popolare (e altrettanto discussa) serie “Gomorra”, un cognome pesante. Per un caso mediatico riverberato inevitabilmente anche nelle terre pontine.
Il bambino di 10 anni che nel corso della settima puntata si è visto regalare un bracciale “di pelle di coccodrillo” da “’O Principe” – nella fiction tra i volti emergenti nel traffico di droga della camorra, parte integrante dell’“Alleanza” – è figlio di un boss vero. Di Gaetano “McKay” Marino, l’esponente degli Scissionisti di Scampia-Secondigliano crivellato a colpi di pistola a Terracina il 23 agosto del 2012.
Un fatto di sangue sconvolgente, soprattutto a determinate latitudini. Marino, conosciuto come “’O moncherino” perché perdette accidentalmente le mani con lo scoppio di una bomba, cadde sotto la raffica dei killer in pieno giorno, tra una folla di bagnanti attoniti. Era in vacanza all’ombra del Tempio di Giove con moglie e figli, venne attirato in una trappola mentre si trovava allo stabilimento “La Sirenella”, sul lungomare Circe. Qualcuno lo chiamò al cellulare, si affacciò in strada accompagnato da un conoscente. Trovò la morte per mano di almeno un sicario professionista poi dileguatosi in auto. Come in un film. O in una serie tivù.
Con realt� e finzione che si rincorrono e spesso sovrappongono, in un gioco di rimandi a volte discutibile. La stessa sera del fugace esordio del piccolo “McKay” al cospetto del “Principe”, in “Gomorra” è andato in scena un omicidio simile a quello di “McKay” senior: sul “litorale laziale”, come genericamente riportato in sovrimpressione, viene freddato a pistolettate, davanti gli occhi dei familiari, uno dei malavitosi protagonisti della serie.
DALLA DROGA AL MOF AGLI INCONTRI SEGRETI A MINTURNO
FONDI. Ma i continui richiami a questo territorio non finiscono qui. Dopotutto la forza della serie Gomorra sta nella capacità di riprendere dalla realtà le storie che diventano fiction. Tanto è vero che il filone narrativo principale è la sanguinosa faida di Scampia tra il clan egemone, quello dei Di Lauro, e un gruppo di apprendisti boss che, stanchi della sottomissione, “fondano” gli Scissionisti, nella fiction l’Alleanza democratica che si oppone allo strapotere della famiglia Savastano. Ma nonostante il prodotto faccia il giro del mondo – perché è venduto e proiettato in tutto il globo, e anche perché le location vanno dalla Germania alla Spagna e al sudamerica – i territori del basso Lazio e della Capitale rimangono una presenza fissa in tutte le prime 24 puntate delle prime due stagioni.
Nel quinto episodio della seconda serie, dopo pochi minuti dall’inizio, vanno in scena le operazioni di riempimento delle ananas con la cocaina da smerciare nei vari mercati nazionali. Tutto girato all’interno di un grande mercato ortofrutticolo laziale. L’ingresso – simile a quello di un’autostrada – e la forma delle lettere che ne compongo la scritta “Centro agroalimentare Latium Novum” sono in pratica le stesse del Mof di Fondi, il mercato ortofrutticolo. Insomma un nome di fantasia per una attività tristemente nota per ciò che accade lì dentro. Come i 20 arresti compiuti giusto un anno fa quando la direzione investigativa antimafia di Roma ha emesso venti provvedimenti cautelari a carico di altrettanti soggetti che operano tra Sicilia, Campania e Lazio, su esecuzione dell’ordinanza della Dda di Napoli, e anche tra Formia, Terracina e Fondi. Un sistema per il controllo del commercio dell’ortofrutta tra Napoli, il Basso Lazio (Mof) e la Sicilia, che vede Camorra e Mafia stringere un patto di ferro.
Meglio cambiarlo il nome – avranno pensato i produttori – anche perché troppo spesso Fondi, ob torto collo, ha fatto parlare di sé all’interno delle fiction di stampo criminale. Come accaduto nel caso di “Io non mi arrendo” di Rai Uno dove la città è stata “citata in più occasioni in maniera diretta e contestualizzata quale territorio privilegiato per l’esercizio di traffici illeciti da parte di esponenti della criminalità organizzata” per usare le parole del sindaco De Meo che ha chiesto i danni alla prima rete pubblica.
MINTURNO – Eppoi Minturno, anzi, viene precisato, Marina di Minturno. E’ il luogo di un appuntamento, quello che deve avvenire tra il latitante e fuggitivo capo del clan dei Savastano, Pietro, e il figlio. L’incontro si farà in un fittacamere di Scauri. Siamo alle battute conclusive della seconda serie, le ultime puntate, e il sudpontino segna ancora una volta un passaggio cruciale della finzione. Ma, anche qui, a ben vedere, sempre restando fedele alla realtà. Perché ce lo racconta la cronaca. Come avvenuto per l’arresto di Gennaro Sorrentino – affiliato al clan Moccia – arrestato a Minturno mentre era intento a pescare. Doveva essere in carcere per rapina ed estorsione di stampo mafioso, ma aveva scelto Minturno per nascondersi. O ancora quando ad essere arrestato il giorno di ferragosto fu un 32enne di Napoli – pluripregidicato – latitante a Scauri dopo la condanna per rapina e lesioni.
Sono già iniziate le riprese della terza stagione e tutti attendono con trepidazione, certi di sentirsi un po’ a casa, quando a vedere le proprie città, riprese o anche solo citate, avranno la sensazione di conoscerli bene certi personaggi che le vivono, le sfruttano o semplicemente ci camminano senza sentirsi rifiutati.
fonte:www.h24notizie.com
PS.NOTA DELL’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO.Questo é il frutto di anni ed anni di voluta disattenzione e di inerzia.E,forse,almeno in parte,di connivenze ,oggettive o soggettive,fra camorra,parti della politica e delle istituzioni,come hanno dimostrato alcune inchieste giudiziarie che non si é voluto colpevolmente approfondire e completare.C’é stato e probabilmente c’é ancora un ruolo di elementi dei Servizi tutto da verificare e si parla anche di “patto mafia-stato” che sarebbe stato concluso in “una villa di Gaeta” in virtù del quale il Basso Lazione e,particolarmente,il sud pontino é considerato dalla camorra e dalle altre organizzazioni mafiose “zona franca”