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Roma e i rapporti con la ‘ndrangheta

Sembra che la ‘ndrangheta sia riuscita a mettere a segno uno sfacciato colpo di mano appropriandosi di numerosi locali di lusso nella zona più centrale di Roma riciclando in questo modo milioni e milioni di euro provenienti dal traffico di stupefacenti e di armi che le cosche gestiscono ormai in maniera quasi esclusiva.
L’assalto finanziario alla capitale è stato scoperto dalla Guardia di Finanza e dalle Procure di Reggio Calabria e Roma che da mesi lavorano per portare chiarezza sul processo di riciclaggio di denaro proveniente dagli affari illeciti calabresi.
Il rapporto del G.I.C.O. ( Gruppo d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata ) afferma in una nota che “Continua senza freno la pervasività della ‘ndrangheta nella Capitale, la presenza delle “‘ndrine” e di affiliati alle cosche calabresi della provincia di Reggio Calabria viene segnalata in diversi punti del centro storico di Roma. Infatti sono ormai consolidate sul territorio romano alcune presenze che costituiscono il terminale delle attività economico finanziarie delle ‘ndrine della Locride e della Piana di Gioia Tauro…”
Una delle ultime stoccate portate a segno dalla ‘ndrangheta sembra essere l’acquisto del Cafè de Paris in via Veneto, a pochi passi dall’Ambasciata americana, uno dei luoghi di culto della “dolce vita” degli anni sessanta dove le dive, i principi, le stelline e i playboy si davano appuntamento dopo la mezzanotte. Al Cafè de Paris Federico Fellini ha coniato la parola “paparazzo”, è nata la storia d’amore tra Marcello Mastroianni e Anita Ekberg, l’ex sovrano egizio Faruk cenava con biondine non sempre di nobili origini e le guardie del corpo di Frank Sinatra facevano a pezzi le macchine fotografiche dei paparazzi. Negli anni successivi al boom, il locale ha però vissuto un periodo di declino, nel 1992 fu addirittura chiuso temporaneamente per motivi igenici. Recentemente il Cafè de Paris sta vivendo una nuova ripresa, peccato che questa avvenga con una genesi alquanto dubbia. I locali sono stati ristrutturati, gli interni rinnovati, si sente di nuovo profumo di cornetti caldi ma il merito della rinascita del locale è presumibilmente dovuto all’intervento della criminalità. Nel rapporto della Guardia di Finanza si ipotizza che la compravendita, nella quale si è assistito ad un esborso di più di sei milioni di euro pagati in contanti, sia stata firmata da due prestanome: Stefano Todini, imprenditore perugino produttore anche di spettacoli televisivi e Damiano Villari, originario di Sant’Eufemia d’Aspromonte (Reggio Calabria), ufficialmente direttore del locale. I due farebbero capo alle storiche famiglie calabresi degli Alvaro-Palamara di Sinipoli. Gli investigatori, dopo essersi finti clienti hanno documentato come: “Da un recente sopralluogo effettuato all’interno del locale è stato evidenziato che il bar è completamente ristrutturato e rinnovato. All’ingresso è facile percepire, vicino alla cassa posta sul lato sinistro dell’ingresso, un uomo con chiaro accento calabrese occuparsi del deflusso dei clienti verso il bancone e di tanto in tanto uscire all’esterno del bar per controllare il giardino posto di fronte al marciapiede dove sorge il locale. L’uomo è attento ad ogni piccolo movimento che avviene all’interno del locale, è ipotizzabile che sia qualche affiliato alla cosca degli Alvaro titolari dell’esercizio commerciale“.
Ancora più inquietante è l’ipotesi avanzata dagli inquirenti della Direzione Antimafia della Procura di Roma e della Direzione Investigativa Antimafia secondo le quali questi descritti non sono gli unici movimenti sospetti ma sembra che la mafia calabrese stia facendo una sorta di vero e proprio “shopping” in tutto il centro storico di Roma. Il mercato della ristorazione infatti, insieme a quello immobiliare, è il mercato preferito dagli ‘ndranghetisti per riciclare denaro sporco.
Le ‘ndrine presenti ed attive sul territorio romano risultano ad oggi essere oltre venti. In ordine alfabetico si possono citare gli Alvaro, Avignone, Barbaro, Bellocco, Condello, Farao, Gallace, Mollica, Iamonte, Marincola, Metastasio, Morabito, Nirta, Novella, Pelle, Pesce, Piromalli, Pisano, Ruga, Tripodo, Viola e Zagari.
A convalidare l’ipotesi degli investigatori di un infiltrazione ‘ndranghetista nel circuito della ristorazione romana, risulta che anche un altro famoso locale romano sia finito nelle mani delle cosche calabresi: il ristorante Alla Rampa, un locale storico sito in un angolo della vecchia Roma ai piedi di Piazza di Spagna e di Trinità dei Monti. Il locale è gestito da Domenico Giorgi soprannominato “Berlusconi” o “Il Professore”. Il rapporto della polizia effettuato a seguito di una perlustrazione sembra tratto da un romanzo giallo, si può leggere: “Giorgi è una specie di “maitre di sala”, assegna i tavoli ai clienti, li accoglie all’arrivo e indossa un abito rigorosamente scuro e molto elegante. Tutto il personale è calabrese, non accettano carte di credito e, soprattutto, l’affluenza al locale è costantemente aggiornata, nel senso che ogni cliente viene catalogato e registrato.” Le indagini relative al ristorante Alla Rampa sono cominciate nei mesi scorsi ed hanno avuto origine dall’acquisto dell’esercizio da parte di imprenditori che la Direzione Distrettuale Antimafia ritiene legati al clan della Locride Pelle-Vottari. L’ Antimafia sottolinea inoltre come le personalità coinvolte nell’acquisto del locale risultano implicate anche nella strage di ferragosto del 2007, a Duisburg in Germania, nella quale morirono sei calabresi appartenenti alla medesima cosca ora protagonista dell’acquisto del locale.
A Roma, a gennaio, venne arrestato Candeloro Parrello, figlio ed erede di un boss della ‘ndrangheta. Qualche mese prima la polizia gli aveva sequestrato beni mobili e immobili per oltre 30 milioni di euro tra cui numerosi ristoranti. Più di recente è finito in manette Vincenzo Alvaro, accusato di aver versato 16.000 dollari Usa falsi in una banca romana. Ufficialmente svolge mansioni di cuoco ma è considerato di fatto il gestore di diversi esercizi commerciali nella capitale.
La capitale rappresenta una zona di stazionamento per tutte le mafie presenti sul territorio italiano e questo elemento fa pensare all’esistenza di una sorta di organismo che svolge il ruolo di regolatore degli interessi, degli affari e delle presenze mafiose, garantendo la convivenza tra di esse.
Attività criminali sarebbero state riscontrate in una cinquantina dei 378 comuni laziali. Per uno, Nettuno, è arrivato lo scioglimento per infiltrazione mafiosa ad opera della ‘ndrina Gallace-Novella; per un altro, Fondi, è stato richiesto di iniziare il procedimento per lo scioglimento adducendo la stessa motivazione.
Anche la Confesercenti ha preso una netta posizione riguardo l’allarme ‘ndrangheta a Roma e ha chiesto che venga attuato il “Patto per la legalità” sottoscritto dal Comune di Roma e dalla Provincia Lazio nel quale si sottolinea la necessità di combattere non soltanto la microcriminalità ma anche e soprattutto le infiltrazioni della criminalità organizzata e dell’usura, una piaga che sembra aver coinvolto ben 26.000 commercianti romani per un giro d’affari complessivo di 2,3 miliardi di euro. A sostegno di questa tesi è da notare che la magistratura romana ha in corso centinaia di accertamenti su ristoranti, bar e pasticcerie in odore di ‘ndrangheta. Il mercato appare costellato da numerose transazioni sospette in cui immobili ed esercizi pubblici cambiano proprietario con vendite a prezzi esorbitanti, cifre fuori dal mercato che un normale imprenditore non pagherebbe mai. Non può trattarsi di normale economia.
Non è dello stesso avviso il Sindaco Alemanno che, come la sua omologa milanese, non vuole arrendersi all’evidenza dimostrata dalle indagini di polizia e continua ad affermare, contro ogni logica, che la mafia nella sua città non esiste. Gianni Alemanno a Roma, come Letizia Moratti a Milano, si preoccupa maggiormente di preservare l’immagine della città sicura che combatte efficacemente il crimine adoperandosi contro l’immigrazione, i furti e gli scippi piuttosto che affrontare un problema ben più radicato e minaccioso ben rappresentato dalle infiltrazioni mafiose. E’ importante ricordare che uno dei fattori che agevolano lo sviluppo indisturbato delle organizzazioni criminali consiste proprio nella negazione o nella minimizzazione della loro esistenza da parte delle istituzioni.
L’attività delle mafie nel Lazio oggigiorno risulta ancora prevalentemente rivolta verso una infiltrazione economica e finanziaria, risultando, ad uno sguardo superficiale, poco visibile e giustificando in parte l’atteggiamento di quanti non ne percepiscono la reale pericolosità. Non può più passare inosservato però che ultimamente si sono moltiplicati anche i fatti di sangue e gli attentati intimidatori di stampo mafioso che hanno coinvolto politici, imprenditori e commercianti.
La relazione dell’Osservatorio per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio parla di un avanzata della malavita organizzata all’interno dei confini romani, la città viene definita “aperta a tutte le mafie”. L’Osservatorio, di cui fanno parte anche rappresentanti della Questura, della Finanza e dei Carabinieri, ha aggiunto che a Roma la ‘ndrangheta sta acquistando posizioni chiave proprio nel centro storico della città.
Si tratta di una corposa operazione che prevede investimenti di ingenti capitali da ripulire che, in questo momento di crisi economica, risulta un azione di facile presa sul mercato. Se le banche frenano nel prestare liquidità, la ‘ndrangheta al contrario ha molti soldi di cui disporre e con cui può conquistarsi la possibilità di ricattare anche la città eterna.

(Tratto dal Blog di Susanna Ambivero)