Il colpo, violento, all’Anac di Raffaele Cantone è nella soppressione di un “comma”, avvenuta allo scorso consiglio dei ministri, quando sul tavolo è arrivato il nuovo codice degli appalti. Qualche “manina” o “manona”, con un tratto di penna, ha ridimensionato i poteri di intervento dell’Anticorruzione, che consentivano di intervenire in casi di macroscopica irregolarità senza aspettare un giudice. All’Anac, appresa la notizia, Raffele Cantone è rimasto esterrefatto. Trapela irritazione, rabbia, per quello che sembra un colpo di mano di dubbia legittimità giuridica (perché è stato scavalcato il Parlamento) e di forte impatto politico, e non solo. Andiamo con ordine. Un anno fa, dopo gli scandali di Expo e Mafia Capitale, viene approvato il nuovo codice degli appalti, una legge delega, che dà un importante ruolo all’Anac di Raffaele Cantone. Di intervento e prevenzione. Il passaggio del nuovo codice che attribuisce più poteri è il comma 2 dell’articolo 211. Eccolo:
“Qualora l’Anac, nell’esercizio delle nuove funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gare invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a 60 giorni. Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di 25.000 posta a carico del dirigente responsabile […]”
È, evidentemente, il punto cruciale, perché consente di intervenire in tempi certi senza lasciare tutto alla magistratura ordinaria, che ha tempi fisiologicamente più lunghi. Nel corso della discussione parlamentare il Consiglio di Stato suggerisce pareri “non vincolanti” e suggerisce un paio di riformulazioni, che mantengono il principio e il ruolo centrale dell’Anac. Dunque, quando il provvedimento arriva in cdm per il “tagliando” dopo un anno, previsto dalla legge stessa, è frutto della sovranità del Parlamento che sceglie di mantenere la sua formulazione di fronte a pareri che non lo obbligano a cambiarla da parte del Consiglio di Stato. È a questo punto che scatta la “manina” o la “manona”, nella distrazione evidentemente del consiglio dei ministri del governo Gentiloni. Ecco la modifica, asciutta, che con un tratto di penna toglie il potere principale all’Anticorruzione:
All’articolo 211 del decreto legislativo del 18 aprile 2016, n. 50, sono apportate le seguenti modificazioni:
- al comma 1, primo periodo, dopo le parole “esprime parere” sono inserite le seguenti: “previo contraddittorio”
- il comma 2 è abrogato
Abrogato. In commissione Lavori Pubblici del Senato, dove il codice ha preso forma, i relatori sono furibondi. Interpellati dall’HuffPost, Stefano Esposito e Raffaella Mariani, dicono: “Questa soppressione è un atto grave e i responsabili devono assumersene la responsabilità. Siamo di fronte a una violazione del rapporto tra Parlamento e governo, con l’abrogazione di uno strumento innovativo, l’articolo 2 appunto, voluto dal Parlamento. Uno strumento fortemente innovativo, col conferimento all’Anac di poteri sostanziali. Chiediamo al presidente Gentiloni e al ministro Delrio che venga posto rimedio a questo blitz che qualcuno ha compiuto”.
Il qualcuno, interpellate diverse fonti del governo, non è identificabile al momento. È certo che, come si dice in questi casi, delle due l’una: o i ministri non leggono i provvedimenti che approvano oppure sono complici. E giù si sente il rumore del rullo dei tamburi pentastellati. Andrea Cioffi, capogruppo M5s in commissione lavori pubblici, ci va giù duro: “L’abrogazione di quella norma, per l’ennesima volta, dimostra come il governo non voglia effettivamente combattere la corruzione. Il ministro Delrio è totalmente responsabile dell’accaduto. Domando: si depotenzia l’Anac per tutelare chi? La burocrazia che deve gestire gli appalti? Le imprese che vi partecipano? L’effetto è chiaro: va tutto nelle mani della magistratura ordinaria che con la sua lentezza alimenta quell’inefficienza del sistema, nella quale si perpetua il contesto che favorisce pratiche di corruzione”. A proposito, il provvedimento è stato già firmato dal capo dello Stato. È legge.