La Repubblica, Venerdì 30 giugno 2017
Anzio, tra affari e clan: ‘ndrine e camorristi si dividono la costa. I lidi segnano i confini
Viaggio nella città su cui l’Antimafia ha puntato i fari dopo le inchieste che svelano l’intreccio tra criminalità e amministrazione locale
di FEDERICA ANGELI
“Qui comandano loro, c’è poco da fare, ma guai a fare nomi, non ti ascolta nessuno, non ti protegge nessuno. Tutti sanno, ma nulla cambia”. Il mantra lo ripetono in tanti, nessuno però è disposto a uscire allo scoperto. Eppure i riflettori della commissione Antimafia sono puntati sulla giunta comunale di Anzio. Le operazioni di polizia e carabinieri si sono susseguite negli anni smantellando organizzazioni criminali di peso. Le relazioni della Dda parlano chiaro: il Comune di Anzio è “contaminato dai clan”, “le infiltrazioni mafiose sono una realtà”, “‘ndrangheta e camorra hanno espanso i loro domini in quella zona”.
“L’uso della violenza anche nella lotta politica sta portando al blocco delle elezioni”, si è perfino spinta a dire la presidente della Commissione parlamentare Antimafia il 30 maggio scorso. “Abbiamo chiesto al prefetto di Roma Paola Basilone di valutare se ci siano gli estremi per una commissione d’accesso ad Anzio: i fatti che si sono verificati ci preoccupano molto. So che la prefettura sta monitorando la situazione”. Gli elementi per sciogliere il Comune sembrano esserci tutti. Roghi misteriosi, intimidazioni, proiettili, minacce.
Eppure, girando per il Comune di 52mila anime – 58 chilometri a sud di Roma e 26 a ovest di Latina – tutto sembra immobile. O quasi. Nel mondo degli affari sembra regnare una tregua, in quello della politica invece le intimidazioni si susseguono in maniera preoccupante. La verità è che ad Anzio i due piani non sono poi così distinti e per capire le dinamiche del malaffare anche partendo dalla costa si finisce sempre per arrivare al Comune.
‘Ndrine e clan di camorra si sono sistemati ormai da un pezzo: gli sbarchi di malavitosi in cerca di uno spazio continuano senza sosta. Qualcuno sussurra che la situazione di calma apparente nasconda una temibile recrudescenza di violenza. Una guerra dietro l’angolo? “Ma quale guerra, la gente vede troppe serie di Gomorra”, dice Camillo Perronace, uno dei figli di Nicola, morto due anni fa e ritenuto il capo dell’omonimo clan di Guardavalle (Catanzaro), e nipote di Pasquale attuale assessore nella giunta di destra. “Sono nato e cresciuto qui e mi sveglio la mattina alle 4 per venire a fare biscotti, torte e gelati. E la gente mi parla dietro che sono ‘ndranghetista? Mi offende questa cosa, venissero a vedere quanto e come lavoro”, ripete Camillo Perronace. Di prendere le distanze da un cognome che evoca mafia solida però non parla. Nulla sul padre, nulla sullo zio che è pure cugino dei capi della cosca Gallace: “Non giudico nessuno io: chi ha scelto di fare quel tipo di vita aveva e ha la libertà di farlo”.
L’influenza dei Perronace ad Anzio convive con il ruolo assunto dalla famiglia reggina dei Madaffari, ‘ndrina reggina, radicata al nord, soprattutto in Lombardia e arrivati ad Anzio una quindicina di anni fa (molto dopo i corregionali di Catanzaro) ma con la stessa ambiziosa ingordigia di locali pubblici, bar, ristoranti, alberghi e lidi. “Loro – precisa Camillo Perronace – sono più un là”. Ovvero hanno un bar alla stazione di Lavinio, un bed and breakfast e alcuni ristoranti tra Cincinnato a Monte e Villa Claudia, la parte alta di Anzio, nell’entroterra. “Qui è terra loro, le forze dell’ordine non ci mettono neanche piede. Se entra in quel bar sentirà solo l’accento calabrese e persone straniere che vanno a prendere ordini e consegne – confida dopo una iniziale reticenza a parlare un residente – un via vai continuo. Gira di tutto in questo slargo: droga, pasticche, gentaccia. Per non parlare dell’entroterra di Anzio: avranno almeno 8 ristoranti lassù”, indica la parte “monte” del Comune.
“I Perronace sono persone tranquille”, assicura l’ex sindaco di Anzio Pietro Marigliani, fedelissimo del democristiano Vittorio Sbardella che oggi vive dei proventi di uno stabilimento balneare – il “Sole e Luna” e del vitalizio di 2.087 euro che una legislatura alla Regione Lazio come presidente della Commissione lavori pubblici gli ha garantito. “A loro, ai Perronace – non si nasconde Marigliani – ho fatto una sacco di piccole cortesie quando ero sindaco”, ammette quando gli chiediamo conto delle sue frequentazioni. Cortesie le chiama lui, ma di che tipo? “Per esempio l’assunzione di uno di loro ma con un altro cognome, all’ospedale di Anzio. Insomma quello che potevo fare per loro l’ho fatto, mi sono sempre fatto i cazzi miei e loro i loro”. Gloriosi ricordi di un passato democristiano. Ora quindi, malgrado di lui si dica essere finito in mano a cravattari che vogliono portargli via il lido, mostra serenità e rivendica i suoi legami coi Perronace, pronti a ricambiare, ove mai necessitasse, antichi favori.
Così ad Anzio gli affari vanno avanti. La storia del Meo Beach è emblematica. Si tratta di un lido completamente abusivo gestito dalla famiglia Monti. Sorge su un terreno privato che i vecchi proprietari hanno ceduto ad altri imprenditori, con Monti annessi. Già, perché non intendono sloggiare. Tanto più che dalla loro vantano appoggi importati.
Di casa al Meo Beach erano i big dei Casalesi, latitanti ad Anzio con la benedizione del clan dei Casamonica. Il fondatore del Meo Beach è stato Pennacchietta al secolo Romeo Monti, affiancato dai suoi 10 figli, due dei quali morti. “È tutto in regola, abbiamo un contratto d’affitto”, spiega Alessandra Monti, la capostipite che ha preso le redini del feudo abusivo sul mare impiantato da papà. Il contratto effettivamente c’è, con tanto di carta bollata: 2.500 euro da maggio a giugno per una struttura che invece di funzionare come spiaggia libera attrezzata è a tutti gli effetti uno stabilimento. Cinque euro un lettino, altrettanto un ombrellone.
“Nessuno va mai a fargli controlli: la finanza viene solo da noi”, spiega a bassa voce un balneare. “Questa è gente che ti viene sotto con la pistola e se sgarri e non stai alle loro condizioni ti minacciano e non fanno mistero del fatto che sono legati ai Casalesi “. “Casalesi? Camorra? Ma stiamo scherzando?”, sbotta lady Monti. “Io lavoro in una scuola e questi nomi mi fanno paura e non voglio neanche sentirli”. Tuttavia un suo impiegato segue il cronista per tutta la giornata ad Anzio e si incarica di controintervistare gli interlocutori: cosa chiedeva, cosa voleva, cosa avete risposto? (1.continua)