“Dietro l’omicidio dei Carabinieri Fava e Garofalo ci sono i servizi segreti e la massoneria deviata”
di Angela Panzera
“Dottore io alla fine di tutto ho capito che sono stato usato. Di questi attentati non se ne doveva parlare per paura. Ho capito che erano azioni pilotate”. È ancora una volta Consolato Villani, il collaboratore di giustizia gravitante nella cosca Lo Giudice e autore degli omicidi e dei tentati omicidi dei Carabinieri avvenuti a Reggio Calabria negli anni Novanta, a rispondere alle domande del procuratore aggiunto, Giuseppe Lombardo, durante l’esame testimoniale che è proseguito stamani presso l’aula bunker di Viale Calabria. Come accaduto nella scorsa udienza, celebrata venerdì scorso, Villani sta ricostruendo, dinnanzi alla Corte d’Assise reggina, presieduta da Ornella Pastore, tutti i retroscena criminali che portarono ai delitti compiuti da lui e da Giuseppe Calabrò, controverso collaboratore di giustizia, nipote del presunto “mammasantissima” Rocco Filippone.
Sia Villani che Calabrò sono stati riconosciuti colpevoli in via definitiva, negli anni scorsi, degli omicidi dei carabinieri Antonio Fava e Giuseppe Garofalo ed i tentati omicidi dei carabinieri Vincenzo Pasqua, Silvio Ricciardo, Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra.
Entrambi furono riconosciuti essere gli esecutori materiali, ma adesso la Dda sta processando i presunti mandanti. Si tratta proprio, secondo l’accusa, di Giuseppe Graviano, boss del mandamento palermitano di “Brancaccio” e Rocco Filippone, di 77 anni, di Melicucco, indicato dagli inquirenti come colui che, per conto della potente cosca Piromalli di Gioia Tauro, teneva i rapporti con la destra eversiva e la massoneria occulta. Villani all’inizio della propria collaborazione indicò un movente diverso, rispetto a quanto dichiarato successivamente ai pm antimafia reggini. Sia lui che Calabrò ricondussero la vicenda su un altro fronte. Parlarono di “scontri” avvenuti poiché i militari scoprirono un traffico d’armi organizzato da Calabrò e coadiuvato da Villani. Ma la Dda ha continuato a indagare sul reale motivo delle stragi dei carabinieri calabresi.
Per gli inquirenti infatti, gli attentati vanno inseriti nella strategia messa in atto da Cosa nostra tra il 1993 ed il 1994 con gli attentati a Firenze, Roma e Milano. La ‘ndrangheta avrebbe siglato un’alleanza con le organizzazioni mafiose siciliane per portare a compimento la strategia stragista. Dietro quindi all’eccidio degli uomini delle Istituzioni non ci sarebbe “solo” la spregiudicatezza di due ragazzini cresciuti a pane e ‘ndrangheta bensì un disegno molto più ampio che abbraccia i vertici di cosa nostra e della mafia calabrese insieme a pezzi dei servizi segreti deviati e della massoneria deviata. “Qualcuno ha organizzato gli agguati e ha mandato al macello me e Calabrò- ha affermato Villani da dietro il paravento posizionato all’aula bunker di Viale Calabria. Calabrò non aveva la testa per progettare tutto. Era infatti, descritto come un poveretto a livello mentale. Nessuno mi parlò del disegno grande che c’era dietro a quello che abbiamo fatto”.
Villani non sa, e questo lo ha detto più volte, chi ha ordinato le stragi di Stato e non si spinge a fare nomi e indicare responsabilità, ma le sue conoscenze – insieme ad altri riscontri investigativi e ad altre dichiarazione rese da altri collaboratori di giustizia- hanno permesso all’Antimafia dello Stretto di sostenere in dibattimento come in queste vicende siano coinvolti i vertici di mafia siciliana e calabrese, ossia proprio Graviano e Filippone.
Quest’ultimo, rimasto sconosciuto per anni agli uffici giudiziari sarebbe proprio uno dei rappresentanti della ‘ndrangheta il quale avrebbe acconsentito alle richieste formulate dai siciliani. “Filippone era molto potente a livello di ‘ndrangheta- ha dichiarato Villani. Era un Piromalli anzi era uno che aveva permesso ai Piromalli di essere quello che sono.
Aveva la «santa», una dote elevata. È sempre stato dietro le quinte. Era un invisibile, uno che aveva contatti con gente ad alti livelli sia si ‘ndrangheta che della massoneria deviata. Tutto questo me lo disse il nipote Calabrò, ma lo capii anche io in quegli anni”. All’inizio dell’udienza il collaboratore di giustizia ha delineato invece, i giorni successivi all’omicidio dei Carabinieri Fava e Garofalo, avvenuto a Scilla nel febbraio del 1994. “Sono stato io a rivendicare l’attentato ai carabinieri Fava e Garofalo. Me lo chiese Calabrò; una minaccia tipo quella delle falangi Armate, che doveva essere un atto terroristico contro lo Stato». Villani fece infatti, una telefonata da una cabina vicina all’istituto tecnico “Ferraris”, nel quartiere di Modena, alla periferia sud della città. All’operatore che rispose non solo rivendicò l’attentato ma, affermò che non si sarebbero fermati e che sarebbe stato solo l’inizio.
Villani ha poi ricordato che, subito dopo l’attentato, ci fu un brindisi a casa Calabrò, cui partecipò anche Francesco Calabrò, fratello di Giuseppe. «Francesco da quel momento sapeva tutto quanto. Quando scomparve, suo padre venne da me pensando fossi stato io ad ucciderlo. Erano convinti che fosse stato ucciso per i fatti dei carabinieri e mi disse almeno di fargli ritrovare il corpo». Il pm Lombardo ci vuole vedere chiaro ed è per questo che gli ha chiesto se Calabrò morì per questi fatti, ma il pentito non è stato in grado di affermarlo con certezza. “Dottore mi vergogno raccontare certe cose”. Ma Villani è obbligato a rispondere, l’invito del presidente Pastore non si fa attendere. Si tratta infatti, di alcuni episodi che riguardarono il giorno dei funerali dei due militari. Un vero e proprio oltraggio che i due Carabinieri hanno dovuto subire persino da morti. I due killer, Calabrò e Villani, infatti andarono addirittura nella camera mortuaria a trovare le salme e pure ai funerali.
“Li abbiamo visti stesi all’obitorio- ha detto Villani. Ricordo che uno dei due aveva il capo coperto da un lenzuolo. Tutto questo ora lo vivo come un oltraggio. Abbiamo fatto cose terribili. Anche gli altri due carabinieri, quelli dell’ultimo attentato, dovevano morire, ma le cose non andarono come avevamo previsto. Grazie a Dio poi ci furono gli arresti altrimenti avremmo continuato ad uccidere. Noi andavamo proprio a caccia di Carabinieri. Dopo il terzo agguato, in cui i militari non morirono, si era deciso che dovevamo aumentare la potenza delle armi. Addirittura dovevamo andare a prendere un bazooka. Se non facevano gli arresti avremmo continuato”. Ed ecco che gli inquirenti strinsero le indagini intorno ai nuclei familiari di Villani e Calabrò. Il primo ad essere fermato fu Giovanni Calabrò e ai magistrati disse che vide proprio Villani, e lo zio Pietro Lo Giudice fuggire dopo la consumazione del terzo agguato.
“Ha mentito- ha detto Villani- per coprire il fratello. Mio zio tra l’altro non c’era proprio a Reggio in quel periodo”. Anche Giuseppe Calabrò venne portato incaserma e poco dopo iniziò la sua, “controversa”, collaborazione. “Io venni arrestato- ha riferito Villani- ma non sapevo cosa stava facendo Calabrò. Mi ricordo solo di averlo visto nei corridoi. Mi vide e diventò rosso. Ho capito subito che stava collaborando. Lui mi ha accusato solo dei tentati omicidi. Non parlò affatto dei Filippone, né del padre né del figlio Antonio, ossia quello che ci aveva dato l’arma per compiere gli attentati. Non parò né dello zio né del cugino e non lo fece sia perché erano familiari sia per paura. Disse però, delle bugie. Affermò che sulla macchina c’erano due soggetti ossia Maurizio Carella e Vittorio Quattrone. Loro non c’entravano nulla. Carella ci diede le armi, ma non uccise nessuno”. Carella e Quattrone, proprio in seguito a queste dichiarazioni furono coinvolti nell’inchiesta, ma poi furono assolti e Calabrò ritenuto inattendibile su questo punto. Villani poi verrà scarcerato e in lui inizierà a cresce l’odio verso Giuseppe Calabrò e la sua famiglia. “Ai miei zii dirò che volevo sterminare tutta la famiglia Calabrò. Dovevano morire tutti. Il padre di Giuseppe, Giacomosanto Calabrò un giorno è venuto da me. Sicuro aveva qualche microspia addosso, gliela avranno data le forze dell’ordine. Dovevo cadere nelle sue provocazioni così poi se succedeva qualcosa mettevano me in mezzo. Mi disse che se toccavo qualcuno di loro io sarei stato arrestato. Io lo mandai via, ma la mia rabbia cresceva sempre di più. Ho organizzato infatti un attentato. Dovevano morire tutti. Mi sono procurato dei candelotti di esplosivo potentissimo e lo posizionai sul davanzale della finestra della stanza in cui Calabrò dormiva. L’innesco però non partì e decisi di non proseguire. Anche mio zio Nino Lo giudice era informato sualla mia volontà di uccidere Calabrò e mi appoggiava. Solo che prendeva tempo, mi disse infatti che era meglio attendere la fine del mio processo in Cassazione. Sono passati più di dieci anni e poi decisi, anche perché iniziai a collaborare, di non fare più alcun attentato. Al termine della prima parte della sua deposizione odierna Villani riferirà inoltre, il coinvolgimento della ‘ndrangheta cittadina nel piano criminale ordito dalla mafia siciliana. “A ridosso dell’anno duemila- ha continuato il collaboratore di giustizia- ci fu una riunione in cui erano presenti anche i De Stefano. Si voleva riprendere la strategia contro le Istituzioni e c’erano anche uomini dei servizi segreti e della massoneria deviata coinvolti. La massoneria deviata è il vero cervello della ‘ndrangheta; il vero potere ce l’ha lo ‘ndranghetista massone. Se sei solo ‘ndranghetista hai un potere a metà”. Villani ha fatto alcuni nomi di persone di massimo livello massonico-mafioso. Si tratta, secondo quanto dichiarato dal “pentito” di “Paolo Romeo, Giorgio De Stefano e poi alcuni politici come Mimmo Crea.
“Solo Romeo e De Stefano erano in grado di aggiustare processi sia a Reggio Calabria che in Cassazione”.
Fra gli ‘ndranghetisti massoni, Villani inserisce anche Rocco Santo Filippone, l’imputato ritenuto mandante degli agguati ai carabinieri. “Filippone ha cresciuto i Piromalli. Era sullo stesso livello di Paolo Romeo e Giorgio De Stefano”. Il processo scaturito dall’inchiesta “‘ndrangheta stragista” è stato aggiornato al 15 gennaio quando Villani verrà contro-esaminato dai difensori degli imputati.
Lunedì, 18 Dicembre 2017
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