L’INTRODUZIONE DI FRANCESCO DE NOTARIS ,VICE SEGRETARIO NAZIONALE DELL’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO,AL CONVEGNO DEL 7 A NAPOLI.
Palazzo de’ Liguoro
Un saluto e un grazie.
La vostra partecipazione sia partecipazione ad un progetto perché la nostra Città diventi più civile.
Si. Più civile. Grazie ad ognuno di voi. Voi né presenzialisti, né conferenzieri, ma attivi protagonisti .
Grazie agli operatori dell’informazione.
Noi non siamo cultori di convegni, non antimafiosi di professione. Per tale motivo ho il dovere di dire qualche parola.
La Caponnetto è ispirata ad Antonino Caponnetto non chiede soldi, non si interessa di beni sottratti alla camorra, non giardino del palazzo.
Non dobbiamo fare carriere.’ Legalità e solidarietà’ scrisse nella prima pagina del suo diario nonno Nino a 20 anni. Lo chiamava così nonna Betta e noi de ‘la Rete per la Democrazia’ alla quale aderiva. E lui aveva due figli: Giovanni e Paolo, Falcone e Borsellino. E costituì il pool antimafia a Palermo. Nel 1993 candidato da ‘la Rete’ fu eletto e fu il Presidente del Consiglio comunale di Palermo con Leoluca Orlando Sindaco. E da questo grande Magistrato il Segretario dr.Elvio Di Cesare ha preso l’ispirazione per costituire l’Associazione che ha nell’on. avv.Alfredo Galasso, amico di Caponnetto, il Presidente onorario.
Desideriamo contribuire a sollecitare l’educazione dei concittadini.
Ci troviamo dinanzi ad un fenomeno di grande rilevanza. Si deve intervenire in ogni ambito della società se si vuole incidere sulla condizione dei giovani.
Due punti fermi che non sviluppo , visto i Partecipanti autorevoli:
Occorre prevenzione. L’intervento dello Stato deve avvenire nelle sue diverse competenze ed articolazioni.
C’è una politica dimezzata, anche deviata. In questa realtà impegnarsi per rispettare, per conoscere la Costituzione non è un optional come non lo è l’impegno personale contro la illegalità. Occorre educare e formare perché ‘i propositi del male nascono dal cuore dell’uomo (Mt VII.20-23).
La mafia ruba il bene comune, la corruzione è contagiosa e fa altrettanto. Fare giustizia sociale e reprimere quando occorre. Più giustizia, meno violenza.
I giovani sono in crisi perché è in crisi una intera società, una intera epoca perché si sfaldano le speranze.
Il problema dei giovani non possiamo recintarlo, porlo in un contenitore, confinarlo in uno spazio chiuso.
La realtà giovanile è tutta immersa nelle contraddizioni più profonde di un intero assetto sociale e culturale e quindi va vista e letta legandola al tessuto sociale nel tessuto strappato, tarlato.
Invece di chiedere cosa vogliono i giovani chiediamoci che cosa sperimentano nella loro quotidianità.
E allora forse non guarderemo alla realtà giovanile come parte potenzialmente patologica della società.
Guarderemo ai giovani come si guardano i propri figli.
Quando si immagina di intervenire sui giovani si dovrebbe porre attenzione a ciò che è intorno ai giovani. Ci si concentra sui giovani per realizzare interventi istituzionali su di loro e non con loro. Si vuol fare sempre qualcosa per i giovani, per i ragazzi e mai con i giovani, con i ragazzi.
Abbiamo mai pensato, quando si programmano interventi istituzionali alle esigenze esistenziali ed affettive dei giovani?
Vi sono forme di disadattamento che non appartengono soltanto alle fasce povere e marginali, come ci dicono gli schemi tradizionali. C’è un disadattamento del ceto medio.
Si apre il tema dell’urgenza formativa che deve considerare il cittadino nella sua interezza e non il giovane come utente di un servizio. Educare poi alla dimensione sociale , a creare una personalità sociale., non basta educare l’individuo , quasi indottrinarlo come monade e non considerandolo un tassello di un mosaico, una pietra vivente nella Città.
E la stessa scuola educa poco alla socialità, a vivere la dimensione del gruppo e della collaborazione….(la mia scuola)
Ma questa è un’altra storia.
Una città per nulla fatta a misura d’uomo, una società fondata sul profitto fanno sentire sui più deboli la violenza. E la violenza non è soltanto la mafia, la camorra. Per i bambini la violenza è mancanza di spazio, di scuole, di serenità, di attenzione educativa. E’ costrizione al lavoro. E’ denutrizione.
Insomma esiste una immoralità più vasta fatta di sfruttamento e di ipocrisia.
C’è l’esplosione di una violenza apparentemente inspiegabile. Non mi meraviglio affatto. Mi meraviglierei se sotto un acquazzone la gente rimanesse asciutta.
Siamo talmente immersi in questa realtà che non comprendiamo, anche quando ne vediamo le manifestazioni, quanto essa sia dentro di noi.
Han Fortmann scrisse: se i pesci si mettessero a fare delle scoperte, l’ultima cosa che scoprirebbero certamente sarebbe l’acqua quando già si trovassero sul banco del pescivendolo’.
Il ragazzo non è qualcuno che diventerà grande. Non è un piccolo uomo. E’ se stesso. Deve vivere da protagonista la sua storia.
Noi facciamo dell’età infantile e della fanciullezza un periodo di frustrazione, una stagione infelice, vista la tentazione che abbiamo di non ascoltare e non accogliere.
Non ci confrontiamo con quei segnali che il minore invia perché desidera comunicare e vivere questa fase essenziale della natura umana..
Esistono educatori persuasi che nel contatto con i ragazzi si giocano realtà rilevantissime?
La crisi dello Stato sociale è crisi di partecipazione
Ci lamentiamo del disorientamento. Non possiamo fermarci al lamento. Per quale modello di sviluppo opera la nostra ‘classe dirigente’ per quale società’?
La violenza. I giovani. I giovani che pagano più di tutti. Ammessi alla vita e nei fatti respinti. I giovani ai quali tutto è richiesto. E come è attrezzata la nostra società per ascoltarli, accoglierli? Quali modelli abbiamo messo dinanzi alle giovani generazioni? Quali progetti?
La nostra società si trasforma mentre si affievolisce il senso dello Stato e tramontano le regole della convivenza civile.
Dinanzi al fenomeno della violenza della quale molti sono artefici e non tutti allo stesso modo consapevoli si deve prospettare una questione adulti che non hanno più nulla da dire con autorevolezza. In un momento in cui appare una parziale dissolvenza delle figure di autorità.
Vedi la condizione della famiglia, della scuola, dell’istruzione anche alta.
Il mondo degli adulti appare inconsistente. Il rischio è perdere la democrazia. La democrazia ogni tanto si
perde diceva de Louis Antoine de Saint Just perché chiede ai molti la virtù che è dei pochi.
La classe dirigente deve restituire spessore a questa società frammentata indicando obiettivi e mostrando credibilità. Ci sono valori da affermare ed una realtà storica concreta da vivere.
Forse c’è da cominciare da noi stessi acquisendo il dubbio sulla nostra capacità di essere costruttori di una società che desideriamo migliore e che necessita della nostra azione. E dovremo moltiplicare , rivolte ai giovani, occasioni di studio, confronto, ricerca, lettura, azioni in gruppi, in circoli culturali veri.
Noi siamo in una Città nella quale l’illegalità è diffusa. La camorra lotta contro di noi contro il futuro della nostra gente contro il desiderio di vita. Lotta più la camorra contro noi che noi contro la camorra.
Essa espropria i nostri diritti.
Una mentalità ed una prassi di sopraffazione taglia orizzontalmente la nostra società e colpisce nei vari ambienti il debole di turno.
La camorra organizzata dei criminali spara ed uccide, violenta e ricatta, gestisce il mercato della droga, taglieggia, investe il denaro sporco e suscita altra dipendenza.
La camorra dei colletti bianchi rallenta ogni processo di crescita civile, tende a conseguire e mantenere un sistema che la consolida.
Un popolo che non si indigna, che non dissente è condannato alla soggezione.
Ed alla soggezione anche da parte di un modo di fare politica ormai diffuso e che è declassato a gestione, amministrazione dell’esistente che tende ad ingessare la realtà e ad accedere alle richieste senza discernere pur di conservare il potere gestionale e tende a comporre interessi che lasciano prevalere quelli forti. Ed allora non si inserisce alcuna autentica carica innovativa in nome di un pragmatismo che nega valori, ideali, ragioni, bisogni dei soggetti deboli e marginali e non soltanto ma anche i cosi detti appartenenti alle famiglie normali.
Non basta contro la camorra l’opera delle forze dell’ordine. Non basta richiamarsi all’etica in maniera astratta.
Bisogna trasformare la conclamata azione moralizzatrice in posizione politica.
E poi bisogna alimentare la politica attraverso la cultura e avvicinare i ragazzi alla cultura, al libro, all’amore per le manifestazioni artistiche , alla sollecitazione per individuare i talenti dei quali sono in possesso.
Bisogna operare con ogni soggetto della Città per restringere gli spazi nei quali si muove il fenomeno camorristico. Ci si misura sui fatti e non sulle parole.
Noi viviamo in un equilibrio di innocente consenso e complicità nei riguardi della camorra. Una sorta di passività.
Come realizzare un itinerario che veda l’impegno del singolo, l’assunzione di responsabilità di ogni soggetto sociale per lavorare in modo coordinato ed integrato con altri che siano ‘soci’ da coinvolgere?
Io immagino la politica che non sia arte del palazzo.
E’ tentare di costruire una civitas più abitabile. Per fare questo occorre sburocratizzare l’Ente locale e renderlo luogo di incontro, non centro decisionale poco incisivo, ma ripeto, piazza che faciliti il confronto tra le realtà territoriali, tra le esperienze vive che possano incontrarsi per fare il punto e ripartire. Quasi ’agorà degli Ateniesi, insomma.
Parlare di cittadinanza vuol dire comprendere e contenere e problematizzare e considerare gli assetti collettivi in una Città come la nostra per cui va tenuto aperto il dibattito tra etica e politica e modo concreto cioè di fare la politica. Ed in questa realtà tenere fede ai progetti promessi è cosa prioritaria.