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Don Piddu, don Paolino e don Vincenzo

Don Piddu, don Paolino e don Vincenzo

25 Ottobre 2019

Si è detto come le indagini sul conto di MONTANTE fossero state inizialmente articolate intorno all’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa. Nei paragrafi che seguono verranno, dunque, ripercorsi i principali passaggi dell’incipit dell’indagine, evidenziando gli elementi illo tempore emersi.

La matrice genetica dell’attività di indagine può individuarsi nelle dichiarazioni di plurimi collaboratori di giustizia, i quali, in periodi temporali diversi, riferivano di un particolare rapporto di prossimità tra MONTANTE e la famiglia mafiosa di Serradifalco (CL), rappresentata dagli ARNONE. Detto rapporto, inizialmente di carattere personale (come si vedrà, gli ARNONE furono testimoni di nozze di MONTANTE), avrebbe, ad un certo punto, inciso sulla scalata dell’imprenditore, oggi imputato, all’interno delle associazioni degli industriali, nonché sulla longevità delle sue attività commerciali, poste al riparo da pretese estorsive.

E’ stato, altresì, ipotizzato, in sede di indagine, che MONTANTE avesse remunerato gli appartenenti alla mafia, che lo avevano appoggiato, mediante dazioni di denaro derivanti da fondi neri ricavati dalle sue attività imprenditoriali.

Tale ipotesi, tuttavia, nonostante le “nitide opacità” – sia concessa la licenza ossimorica – riscontrate nella contabilità delle società esaminate riconducibili a MONTANTE, non è mai assurta alla dignità di certezza (con giudizio ovviamente limitato allo stato degli atti confluiti nell’odierno procedimento), a causa del sistematico boicottaggio, da parte dello stesso MONTANTE e dei

suoi accoliti, dell’attività di indagine in corso di espletamento, che ha ostacolato l’approfondimento della pista investigativa.

In ogni caso, a prescindere dall’aspetto eventualmente sinallagmatico della vicenda, non può tacersi come le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sui rapporti tra MONTANTE e soggetti appartenenti all’associazione mafiosa siano state integrate da quelle rese da Marco VENTURI, mentre rivestiva la carica di presidente di Confindustria Centro Sicilia (e già assessore regionale sotto il Governo LOMBARDO), e da Alfonso CICERO, presidente dell’I.R.S.A.P. (istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive), entrambi fuoriusciti dal “sistema MONTANTE”, nel quale, con diverso grado di (in-)consapevolezza, avevano militato, assumendo variamente cariche politiche, associativo-imprenditoriali o amministrative.

Il momento di formale cesura di VENTURI e CICERO con il sistema MONTANTE, con le loro prime propalazioni innanzi alla D.D.A. nissena, si colloca nella data del 17 settembre 2015, subito dopo che, all’esito di articoli giornalistici che avevano raccolto fughe di notizie sull’indagine in questione (vd. supra), veniva pubblicato, sul quotidiano La Repubblica, un articolo intitolato “Trame e affari torbidi la svolta antimafia di Confindustria è solo un inganno”, riguardante il contenuto di una intervista, fortemente critica nei confronti di MONTANTE, rilasciata proprio da VENTURI (cfr. articolo in atti).

§ 3.2. Le dichiarazioni di Salvatore Ferraro

Le dichiarazioni che, con maggiore raggio retrogrado, interessano la biografia di MONTANTE venivano rese in data 18 maggio 2016 da Salvatore FERRARO, già appartenente a Cosa Nostra e soggetto particolarmente vicino a Paolino ARNONE, boss di Serradifalco (vd. verbale in atti).

Invero, secondo FERRARO, negli anni 1984-1985, MONTANTE, descritto attraverso una serie di riferimenti biografici (attività economica illo tempore svolta, stato coniugale, paternità, autovettura posseduta), gli sarebbe stato presentato da Paolino ARNONE, indicato come il rappresentante della famiglia mafiosa di Serradifalco, nonché esponente di rilievo di Cosa Nostra a livello provinciale. ARNONE, infatti, ad avviso di FERRARO, aveva frequenti incontri con Giuseppe MADONIA, detto Piddu, capo storico di Cosa Nostra della provincia di Caltanissetta.

Aggiungeva il collaboratore che sarebbe stato proprio Paolino ARNONE a confidargli di essere avvinto da un forte legame affettivo (“lo aveva nel cuore”) a MONTANTE, tanto che:

~ il figlio di Paolino ARNONE, Vincenzo, anche lui uomo d’onore, sarebbe stato il testimone di nozze di MONTANTE (circostanza riferita a FERRARO anche dallo stesso Vincenzo ARNONE);

~ il predetto Paolino ARNONE avrebbe finanziato l’espansione economica di MONTANTE, quando questi era ancora agli arbori della carriera imprenditoriale.

[…] Al fine di verificare l’attendibilità delle dichiarazioni rese da FERRARO, gli inquirenti ricercavano una serie di riscontri. Da tale punto di vista, a parte la verifica dell’effettivo possesso, da parte di MONTANTE, della vettura che gli veniva attribuita da FERRARO (vd. file excel,

in cui risultano annotati un acquisto per leasing e un ulteriore acquisto, nel 1988, da parte di Luigi MONTANTE, padre di Antonio, di due vetture di quel marchio; cfr. annotazione della squadra mobile di Caltanissetta del 27 gennaio 2016, in atti, sull’effettiva disponibilità della vettura da parte del predetto Luigi MONTANTE), veniva puntualmente accertato che non solo Vincenzo ARNONE, come ricordato da FERRARO, ma anche lo stesso Paolino era stato testimone di nozze di MONTANTE (cfr. annotazione della squadra mobile di Caltanissetta n. 862/15 del 26 marzo 2015).

E’ appena il caso di osservare, a tal proposito, come MONTANTE, escusso quale persona informata dei fatti in altro procedimento (n. 636/11 R.G.N.R. mod. 21-bis) il 12 dicembre 2011 (cfr. verbale in atti), avesse provato ad accreditare la tesi della propria ignoranza della caratura mafiosa di Paolino

ARNONE e del figlio Vincenzo, di cui egli era stato soltanto compagno di scuola, cercando di spostare in avanti – nel 2000-2001 – le lancette della sua conoscenza delle vicissitudini giudiziarie di Paolino ARNONE.

MONTANTE, inoltre, aveva escluso di avere mai avuto rapporti lavorativi con gli ARNONE, sminuendo anche il significato della loro partecipazione “qualificata” alle sue nozze e sostenendo cli non ricordare neppure chi, nella concitazione dei preparativi, ebbe poi a firmare, quale testimone, l’atto di matrimonio.

[…]

Pretermettendo ogni considerazione sulla professione di amnesia di MONTANTE circa l’identità dei testimoni di nozze, professione che supera abbondantemente la soglia della verosimiglianza, l’assunto della sopravvenuta conoscenza dello status di indagato per mafia dell’amico Vincenzo ARNONE è certamente smentito dalle cronache dell’epoca, che avevano dato ampio risalto alle vicissitudini giudiziarie del predetto ARNONE e, in particolare, al suo coinvolgimento nella c.d. operazione Leopardo.

ARNONE, infatti, era stato indicato dal collaboratore di giustizia Leonardo MESSINA quale appartenente a Cosa Nostra di Serradifalco con dichiarazioni che, rese nel corso delle indagini preliminari (cfr. verbale di interrogatorio del 7 luglio 1992; verbale di interrogatorio del 1 dicembre 1992) e confermate dalla individuazione fotografica dell’accusato (cfr. verbale di interrogatorio del 14 ottobre 1992), erano state ribadite nel corso dell’udienza dibattimentale, celebratasi nell’ambito del processo scaturito dall’operazione Leopardo, l’11 gennaio 1995 (cfr. verbale di udienza dell’11 gennaio 1995, con la deposizione dibattimentale di Leonardo MESSINA in seno al procedimento penale n. 59/94 R.G.N.R. a carico di Vassallo Calogero + altri).

Ebbene, quelle dichiarazioni accusatorie, già durante la fase delle indagini preliminari e, dunque, ancor prima della pubblicità dibattimentale, erano state ampiamente divulgate dai quotidiani dell’epoca (cfr. atti allegati all’annotazione n. 3677/16 del 17 dicembre 2016 redatta da appartenenti alla Squadra Mobile di Caltanissetta), con articoli che, tra l’altro, in qualche caso, riportando le interviste degli abitanti di Serradifalco, avevano ricordato la carcerazione patita anche dal padre dell’odierno imputato, Luigi MONTANTE, sia pure nel contesto di un diverso procedimento penale.

[…] Del resto, l’annotazione, presente nel file excel di MONTANTE, della morte per “suicidio”, nel 1992, di Paolino ARNONE, dopo il suo arresto nell’operazione Leopardo, dimostra in maniera scarsamente controvertibile che il predetto MONTANTE avesse seguito le disavventure giudiziarie dei suoi testimoni di nozze.

Tra l’altro, anche l’ulteriore asserzione negatoria di MONTANTE circa l’esistenza di pregressi rapporti di lavoro con gli ARNONE non risulta corrispondente al vero. Infatti, le dichiarazioni di FERRARO, secondo cui egli aveva appreso da Paolino ARNONE dell’iniziale finanziamento economico, da parte di quest’ultimo, in favore dell’attività d’impresa di MONTANTE, appaiono congruenti con le dichiarazioni rese da altri collaboratori, ed in primis da Aldo RIGGI e Pietro

RIGGIO.

Essi, infatti, pur non parlando di finanziamenti economici da parte di Paolino ARNONE a beneficio di MONTANTE, riferivano dell’esistenza di rapporti di lavoro tra quest’ultimo e la famiglia degli ARNONE.

§. 3.3. Le dichiarazioni di Aldo Riggi

Aldo RIGGI, sentito nell’interrogatorio del 13 marzo 2009 e, amplius, in un successivo atto istruttorio del 19 marzo 2009, affermava che, nei primi anni ’90, in epoca antecedente all’operazione Leopardo, MONTANTE, impegnato – in società con altro soggetto di Serradifalco – nella costruzione di un palazzo a Caltanissetta, in via Amico Valenti, aveva commissionato allo stesso RIGGI il compimento delle opere di sbancamento e il trasporto del materiale. Tuttavia,

successivamente, in spregio degli accordi iniziali, MONTANTE lo aveva esonerato dall’attività di trasporto per affidarla a Paolino e Vincenzo ARNONE, i quali avevano nel frattempo perso buona parte delle commesse legate alla miniera di Pasquasia.

Nell’occasione MONTANTE aveva replicato alle rimostranze di RIGGI spiegando che gli ARNONE, oltre ad essere suoi amici e compaesani, erano anche soggetti mafiosi, ai quali non poteva “dire di no” (“a tanti punti di vista, io non gli posso dire di no, no, sia da un punto di vista che siamo paesani e amici e poi, dici, non gli posso dire di no, quindi, nel frattempo, entra in qualità di…, di mafioso”). RIGGI, inoltre, forniva un dettaglio afferente alla gestione della società di

MONTANTE, ossia il coinvolgimento in essa del fratello di quest’ultimo, Gioacchino, del quale tuttavia il collaboratore non ricordava la presenza in cantiere.

[…]

I risultati delle indagini eseguite dalla squadra mobile di Caltanissetta (cfr. annotazione n. 862/15/Cat. II-MOB/SCO 3° Gr. del 26.3.2015) offrivano, inoltre, importanti riscontri all’aspetto nucleare delle dichiarazioni di RIGGI, ossia quello relativo all’esistenza di rapporti lavorativi prima tra Antonio C. MONTANTE e lo stesso RIGGI, titolare della ditta Edil.Fin, e poi tra il citato

MONTANTE ed ARNQNE, nonché all’ulteriore dato, non certo secondario sul piano ricostruttiva, della flessione, a partire dall’agosto del 1990, delle commesse ordinate dall’ITALKALI – società che gestiva la miniera di Pasquasia – agli ARNONE per il trasporto del materiale estratto dalla predetta miniera (con ciò spiegandosi l’imprevisto subentro della ditta di ARNONE a quella di Aldo

RIGGI nella esecuzione dei trasporti necessari al cantiere nisseno di via Amico Valenti, condotto dalla Italia Costruzione s.r.l. dei MONTANTE).

In particolare, venivano rinvenuti:

un preventivo redatto, in data 18 gennaio 1990, dalla ditta Edi/.Fin s.r.l. In favore della Italia Costruzioni s.r.l., avente ad oggetto il “nolo mezzi, sbancamenti di terra, fornitura e trasporto di inerti nei Vs. cantieri di Caltanissetta”;

una dichiarazione, datata 18 giugno 1990, con la quale Gioacchino MONTANTE, nella qualità di amministratore unico della Italia Costruzioni, comunicava alla Edil.Fin che il “materiale edile o prestazione fornita da codesta ditta serve per la costruzione di fabbricati di civile abitazione non di lusso” e di conseguenza chiedeva che “il materiale o prestazione” venisse “assoggettato all’aliquota agevolata del 4%”;

una dichiarazione, datata 15 marzo 1991, con la quale Gioacchino MONTANTE, nella medesima qualità, comunicava alla Edil.Fin. s.r.l. L’avvenuta variazione della sede legale e amministrativa della Italia Costruzioni s.r.l.;

un appunto manoscritto relativo ai “clienti” della Edil.Fin., tra i quali figura, al n. 14, anche la Italia Costruzioni s.r.l., quale società che fruiva dell’Iva agevolata al 4%;

una copia del libro giornale dell’AUTOTRASPORTI ARNONE VINCENZO & C. s.r.l. (società confiscata) per il periodo dall’1 agosto 1990 al 31 dicembre del 1993, dalla cui consultazione si ricava che la società in questione aveva emesso in favore della Italia Costruzioni s.r.l. la fattura n. 390 del 30 novembre 1990 (con relativo versamento del 28 dicembre 1990) e la fattura n. 158 del 31 maggio 1991;

rubrica telefonica, rinvenuta nei locali della società di ARNONE e, perciò, da ritenersi funzionale a finalità lavorative, recante i numeri di “MONTANTE ANTONELLO AMMORTIZZATORI GIMON S/DIFALCO” e “MONTANTE ANTONELLO CL”. Inoltre, l’esame delle fatture emesse da AUTOTRASPORTI ARNONE VINCENZO & C. s.r.l. verso l’ITALKALI, nonché di un altro documento rinvenuto nella ditta di ARNONE, conduce a ritenere che dall’agosto 1990 la parabola dei rapporti commerciali tra vettore e mittente avesse iniziato la fase discendente. Per un’analisi dettagliata delle evidenze investigative, può essere utile il richiamo ad un passo dell’ordinanza cautelare (da p. 47), che, in quanto meramente ricognitivo di dati documentali oggettivi, non merita particolari considerazioni argomentative:

Infine si riusciva anche ad accertare – attraverso attività esperite presso l’ITALKALI di Palermo (società che aveva in gestione la miniera di Pasquasia) e, in particolare, mediante l’acquisizione in copia dei tracciati informatici e dei movimenti contabili – che la “AUTOTRASPORTI ARNONE VINCENZO & C. s.r.l.” aveva intrattenuto con tale società un rapporto lavorativo, iniziato in data 10.02.1990 (giorno in cui veniva emessa la prima fattura in favore della ditta “Autotrasporti ARNONE Vincenzo & C. s.r.l.”, avente nr. 34, per un importo di £ 300.000 per costi accessori – in genere trasporti – di acquisto di materiali per esercizio di pronto impiego) e terminato in data 27.12.1993 (giorno in cui veniva emessa l”ultima fattura n. 195 per trasporti vari per un importo di £ 1.300.000).

[…] In ogni caso, dal libro giornale della ditta di autotrasporti di ARNONE si evincono, senza tema di smentite, pregressi rapporti contrattuali tra la stessa e altra società riconducibile a MONTANTE, ossia la GIMON Italia s.r.l., poi divenuta M.S.A. s.r.l. (MEDITERR SHOCK ABSORBERS), società diversa dalla GIMON s.r.l., costituita solo nel 1994.

Altri documenti (fatture e liste clienti), segnalano, poi, il dato della prosecuzione delle relazioni commerciali tra gli ARNONE e MONTANTE, tramite la citata società M.S.A. s.r.l.

Ecco quanto ricostruito in sede di indagine (e confluito nell’ordinanza cautelare, da p. 48), sulla base delle evidenze del libro giornale in questione e delle annotazioni contenute nel più volte citato file excel. Ed invero:

la consultazione del libro giornale della società dell’ARNONE – riportante le relative scritture per il periodo riferibile dall’1.8.l990 al 31.12.1993 – consente di rilevare che la società GIMON Italia s.r.l. figurava, nell’arco di tempo di che trattasi, tra le ditte interessate da apertura e chiusura di conti patrimoniali (cfr. annotazione nr. 862/ 15 del 26.3.2015 redatta da appartenenti alla Squadra Mobile di Caltanissetta in atti).

A tal proposito va evidenziato, onde evitare di operare una indebita commistione, che GIMON ITALIA s.r.l. era la precedente denominazione dell’attuale M.S.A. e che, quindi, si tratta di soggetto giuridico ben diverso dalla quasi omonima GIMON s.r.l., altra società sempre nella disponibilità del MONTANTE, ma che veniva però costituita nel 1994.

[…]

Si spiega, perciò, adeguatamente poiché tali rapporti con GIMON ITALIA s. r. l. si datino in un arco di tempo in cui l’altra (e distinta) società (sia pure avente denominazione simile e cioè la GIMON s. r. l.) non era ancora costituita.

Veniva, altresì, rinvenuta traccia di una fattura emessa dalla AUTOTRASPORTI ARNONE in favore della MSA. in data 31.7.1999, che sta, quindi, ad attestare rapporti lavorativi instaurati anche in epoca successiva e più recente rispetto a quelli poc’anzi descritti (cfr. allegato nr. 31 all’annotazione nr. 1709/15 del 26.6.2015 redatta da appartenenti alla Squadra Mobile di Caltanissetta);

inoltre, all’interno dei locali ove era custodita la documentazione riferibile alla ditta delllARNONE (che è, ormai, in amministrazione giudiziaria), veniva rinvenuta una lista clienti (con su apposta la data del 10.11.2007) nella quale è indicata, tra le altre, le società MEDITERR SHOCK ABSORBERS (cfr. allegato nr. 41 all’annotazione nr. 1709/15 del 26.6.2015 redatta da appartenenti alla Squadra Mobile di Caltanissetta).

L’insieme di tali elementi consente di affermare che, diversamente da quanto sostenuto da MONTANTE e coerentemente con quanto dichiarato da FERRARO e RIGGI, il predetto MONTANTE aveva intrattenuto rapporti di lavoro con gli ARNONE.

§ 3.4. Le dichiarazioni di Pietro Riggio e Dario Di Francesco

Anche Pietro RIGGIO, organico alla famiglia di Cosa Nostra di Caltanissetta dalla fine del 2000-inizi del 2001, rendeva dichiarazioni (interrogatori del 19 dicembre 2008 e del 17 maggio 2016) sul conto di MONTANTE, riferendo fatti appresi tramite Dario DI FRANCESCO, divenuto, dal marzo

del 2001, il reggente della famiglia di Serradifalco a seguito dell’arresto di Vincenzo ARNONE.

Lo spunto colloquiale tra RIGGIO e DI FRANCESCO nasceva dalle intenzioni del primo di sottoporre ad estorsione i fratelli MONTANTE per le attività economiche svolte nella città capoluogo.

Nell’occasione DI FRANCESCO avrebbe riferito a RIGGIO di avere intercesso, intorno alla metà degli anni ’90, presso Totino RIGGI, esponente di vertice della famiglia mafiosa di San Cataldo, per garantire ad Antonio Calogero MONTANTE, ivi impegnato nella realizzazione di un fabbricato, di potere eseguire le opere in maniera indisturbata rispetto agli appetiti di Cosa Nostra. In quel caso, la famiglia mafiosa di San Cataldo, pur “autorizzando” i lavori nel suo territorio, avrebbe richiesto di potere effettuare le forniture necessarie per il cantiere (interrogatorio del 19 dicembre 2008).

DI FRANCESCO aveva anche precisato, parlando con RIGGIO, che il cantiere di MONTANTE, per cause sopravvenute, non era riuscito, di fatto, a concludere le opere intraprese.

[…]

Orbene, le indagini compiute sull’attendibilità delle dichiarazioni di RIGGIO consentivano di raccogliere numerosi riscontri oggettivi ed esterni.

Infatti, proprio nel territorio di San Cataldo e nel luogo indicato dal predetto collaboratore, si accertava la realizzazione, tra il 7 marzo 1994 (data inizio lavori) e il 17 aprile 1997 (data fine lavori), di un edificio, destinato ad abitazione di tipo civile, ad opera della società AN.CO EUROPA s.r.l. (voltura della concessione edilizia in suo favore nell’ottobre del 1993), della cui compagine MONTANTE aveva fatto parte fino al 1996 (cfr. annotazione n.2855 del 26 settembre 2014 della squadra mobile di Caltanissetta, e relativi allegati, tra i quali visura camerale della società).

Anche il dettaglio circa la incompiutezza delle opere eseguite trovava uno specifico riscontro, posto che un’annotazione della Guardia di Finanza del 23 maggio 2002, confluita del procedimento n. 774/2000 R.G.N.R. Mod. 21 (di cui meglio si dirà nel prosieguo), evidenziava che, alla data di redazione dell’atto di polizia giudiziaria, “l’immobile non risulta ultimato” poiché, tra le altre cose, “gli appartamenti ….si trovano privi di ogni rifinitura ad eccezione dei pavimenti”.

Un ulteriore riscontro veniva ricercato nella fonte primaria della conoscenza di RIGGIO, ossia Salvatore Dario DI FRANCESCO, già reggente, come detto, della famiglia di Serradifalco, determinatosi alla collaborazione dopo l’operazione di polizia c.d. Colpo di grazia (11 marzo 2014), che aveva portato all’arresto di numerosi appartenenti a Cosa Nostra. DI FRANCESCO, se inizialmente aveva escluso di essere a conoscenza di notizie su lavori edili eseguiti da MONTANTE nel territorio di San Cataldo (interrogatorio del 17 maggio 2016), in sede di confronto, eseguito con RIGGIO in data 18 maggio 2016, ricordava la vicenda, pur affermando, diversamente da quest’ultimo, che l’intercessione presso Totino RIGGI, nell’interesse di MONTANTE, fosse da attribuire non a sé stesso, ma a Vincenzo ARNONE. Versione, quest’ultima, la cui correttezza, sempre in sede di confronto, non veniva smentita da RIGGIO, il quale, dopo avere confermato di avere appreso della vicenda, di cui si tratta, da DI FRANCESCO, dichiarava di non potere ricordare con certezza se l’intervento di mediazione anticipata fosse stato esperito da Vincenzo ARNONE ovvero dallo stesso DI FRANCESCO (cfr. registrazione audio del confronto del 18 maggio 2016 tra Pietro RIGGIO e Dario DI FRANCESCO, in atti).

E’ dunque evidente come l’aspetto centrale dei fatti – intercessione di un esponente mafioso di spicco della famiglia di Serradifalco, presso la famiglia di San Cataldo, nell’interesse di MONTANTE – veniva riferito in maniera sovrapponibile dai due collaboratori, mentre è la questione della individuazione dell’autore della intercessione ad essere controversa, essendo tuttavia comprensibile che, nel fluire dei ricordi sollecitati a distanza di tempo, RIGGIO potesse avere eliso i dettagli della vicenda. In ogni caso, la segnalata discrepanza appare scarsamente significativa sul piano confutatorio, posto che:

1) la rievocazione tardiva dei fatti può comportare un involontario sfrondamento dei ricordi, a fortiori su particolari che, sul piano ricostruttivo, appaiono di esigua rilevanza (l’opera di intercessione è comunque riferita alla medesima famiglia mafiosa di Serradifalco, della quale Di FRANCESCO aveva assunto la reggenza dopo l’arresto di Vincenzo ARNONE);

2) non può ipotizzarsi alcun pactum fraudis, in pregiudizio di MONTANTE, tra i collaboratori RIGGIO e DI FRANCESCO, altrimenti non si spiegherebbero né l’iniziale amnesia del secondo sulla vicenda riesumata dal primo né la persistenza, all’esito del confronto tra i due, di (sia pure) marginali divergenze rievocative, che appaiono distoniche rispetto ad una ipotesi di congiura calunniatoria.

Inoltre, a suffragio dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dagli stessi giova ricordare come, nel periodo in cui dovrebbe collocarsi la descritta intercessione, ossia tra la fine del 1993 (nell’ottobre di quell’anno fu volturata la concessione edilizia in favore della società edile) e il 7 marzo 1994, data di inizio dei lavori, Vincenzo ARNONE, Dario DI FRANCESCO e Totino RIGGI godevano tutti dello stato di libertà (quest’ultimo fu tratto in arresto il 21 dicembre 1994).

Peraltro, la individuazione in Totino RIGGI del referente sancataldese di Cosa Nostra appare validata dal ruolo effettivamente assolto da quest’ultimo all’interno del sodalizio, come tratteggiato dal collaboratore Ciro VARA già nel 2002 (interrogatorio del 18 dicembre 2002: “durante il blitz Leopardo la persona di fiducia a San Cataldo il primo periodo era un certo Petitto che era collettore non era un uomo d’onore collettore dell’estorsione di fiducia di Terminio e poi lì si sono interessati anche i vari Vaccaro quelli di Serradifalco con il Riggio”) e scolpito dalle risultanze dei procedimenti penali a suo carico (vd. sentenze in atti).

Nonostante le numerose conferme alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, gli investigatori non sono riusciti, però, ad accertare, verosimilmente a causa del decorso di un significativo lasso di tempo dai fatti, l’inserimento di ditte mafiose, quale contropartita per l’esonero dal pizzo, in segmenti esecutivi dell’attività di cantiere di San Cataldo, condotta dalla società (almeno in parte) riconducibile a MONTANTE.

§ 3.5. Le ulteriori dichiarazioni di Dario Di Francesco. Le dichiarazioni di Carmela Barbieri e Ciro Vara

Alle dichiarazioni già esaminate di FERRARO, RIGGI, RIGGIO e DI FRANCESCO si aggiungono quelle ulteriori rese da quest’ultimo, nonché quelle rese dai collaboratori Carmelo BARBIERI (cfr. verbale del 15 aprile 2009, in atti) e Ciro VARA (cfr. verbale di interrogatorio del 18 maggio 2016, in atti).

Per ragioni di agilità espositiva, giova richiamare l’ordinanza cautelare (da p. 59), nella parte in cui contiene una sintesi fedele delle dichiarazioni rese dai predetti collaboratori, oltre che la loro riproduzione testuale:

Ulteriore elemento che serve a delineare i rapporti tra il MONTANTE ed esponenti dell’organizzazione criminale denominata “cosa nostra” proviene dalle dichiarazioni rese a questa D.D.A. da Carmelo BARBIERI, il quale, nel corso di un interrogatorio (cfr. verbale del 15 aprile 2009, in atti), ha evidenziato che:

attorno alla fine del 1996, unitamente a Carmelo ALLEGRO ed a Luigi ILARDO, si era trovato, nel corso di una riunione, a discutere di possidenti della provincia di Caltanissetta;

in tale contesto Carmelo ALLEGRO, nel fare riferimento alla famiglia MONTANTE – in specie al padre ed all”odierno indagato – li aveva indicati come “.. un amico nostro e… con suo padre e anche con lui”, facendo, poi un eloquente riferimento al fatto che stessero crescendo economicamente e si volevano espandere “si stavano spostando, dovevano andare fuori a lavorare o stavano investendo fuori”.

A margine di tali dichiarazioni, ha ritenuto la Procura della Repubblica (vd. richiesta di misura cautelare), in passaggi argomentativi che non sono confutati nell’ordinanza cautelare, che “le dichiarazioni del BARBIERI hanno il pregio di restituire la natura dei rapporti esistenti tra il MONTANTE e gli esponenti mafiosi della provincia di Caltanissetta, in specie quelli radicati in territorio di Serradifalco, essendo oltremodo chiaro, in termini mafiosi, il senso della “vicinanza ed amicizia” di cui aveva parlato Carmelo ALLEGRO nell’occasione descritta dal collaboratore. Del resto, si trattava di un incontro – quello cui aveva assistito il BARBIERI – che si era tenuto tra esponenti mafiosi di rilievo della provincia di Caltanissetta (Carmelo ALLEGRO, in quel momento, era capomandamento del territorio in cui insiste, appunto, la famiglia di Serradifalco, Gino ILARDO era soggetto di vertice, assieme ai VACCARO, della provincia mafiosa nissena e Carmelo BARBIERI esponente mafioso di rilievo del clan Emmanuello di Gela e trait d’union tra costoro e la famiglia di sangue di Piddu MADONIA) e ciò rende ben chiaro che i discorsi che si erano affrontati in quell’occasione non potessero che riguardare dinamiche involgenti proprio l’organizzazione mafiosa”.

Tali conclusioni meritano uno spazio di riflessione. Ad avviso di questo giudice, alcune dichiarazioni di BARBIERI, isolatamente considerate e lette esclusivamente in chiave testuale, non paiono segnalare in maniera univoca una prossimità qualificata di MONTANTE all’organizzazione

mafiosa, per esempio nella parte in cui il collaboratore dichiara espressamente che Carmelo ALLEGRO, nell’alludere al rapporto con MONTANTE, “sicuramente si riferiva a un contesto amichevole abbastanza stretto, non… poi se era riferito al contesto mafioso questo non mi sento di confermarlo”. `

Tuttavia, tale affermazione deve essere correlata a quella precedente, in cui BARBIERI parla di una vicinanza di MONTANTE “a loro”, espressione, quest’ultima, che parrebbe riferirsi ad un contesto associativo anziché ad una amicizia di carattere individuale.

L’aspetto che, tuttavia, colpisce maggiormente è che la dichiarazione di “vicinanza”, riferita da BARBIERI, è attribuita a Carmelo ALLEGRO, che, come detto, era al vertice del mandamento che comprende Serradifalco, ossia del mandamento nel quale ricade la famiglia ARNONE.

Lo scenario che si dischiude, dunque, è quello non già di un’amicizia personale di MONTANTE con gli ARNONE (amicizia che, in realtà, aveva importato anche forme di collaborazione economica), bensì quella di un’amicizia del medesimo MONTANTE anche con altri esponenti mafiosi, appartenenti ai diversi livelli della gerarchia nissena.

In effetti, le dichiarazioni di BARBIERI appaiono congruenti rispetto a quelle rese da Ciro VARA, il quale, a sua volta, riferiva degli attestati di stima che gli ALLEGRO riservavano a MONTANTE: […]

Gli accertamenti compiuti dalla squadra mobile (cfr. all. n. 5 all’annotazione di P.G. n. 2062 Cat. E1/12 Mob. SCO 3° Gr. dell’ 8 agosto 2015) hanno condotto alla emersione di elementi di riscontro alle dichiarazioni di VARA, con speciale riferimento all’attività economica svolta da MONTANTE, atteso che quest’ultimo, benché avesse iniziato a produrre biciclette soltanto in data 1 aprile 2011 attraverso la società ITALIAN DESIGN EVENT MONTANTE S.R.L. (costituita con atto del 18 ottobre 2010), aveva veicolato coram populo l’idea secondo cui la Cicli Montante sarebbe stata la più antica fabbrica di biciclette siciliana, sorta già negli anni ’20 dello scorso secolo grazie alla capacità imprenditoriale del nonno Calogero, il quale, in breve tempo, aveva iniziato a distribuire le

biciclette prodotte “in tutto il meridione dotando i reparti dellallora Reale Arma dei carabinieri, della P. S. ” e “divenendo fornitore anche delle nobili case reali” (cfr. annotazione ult. cit.).

Del falso storico creato ad arte da MONTANTE – gli accertamenti compiuti dalla squadra mobile hanno condotto ad acclarare che il nonno dell’odierno imputato aveva soltanto un’attività artigiana di riparazione cicli e moto – vi è riscontro nel menzionato file excel, in cui è accuratamente annotato che il nonno avrebbe creato la prima bicicletta Montante nel 1927 e avrebbe commerciato in

biciclette con una ditta individuale sorta nel 1930: […] Orbene, ciò posto deve evidenziarsi come, nonostante il collaboratore non ricordi esattamente le ragioni dell’apprezzamento riservato dagli ALLEGRO a MONTANTE, il cardine delle dichiarazioni si identifica nell’esistenza di un

rapporto di stima nutrito dai primi verso il secondo, che appare fondato su motivi di riconoscenza (“[…] perché si era prestato ad aiutare economicamente la famiglia di Serradifalco o perché si fosse “comportato bene” per altre situazioni”) .

Tali dichiarazioni, che corroborano quelle di BARBIERI sulla coltivazione dei rapporti di “amicizia” o “vicinanza” tra MONTANTE e gli ALLEGRO, risultano a loro volta armoniche rispetto a quelle provenienti da Dario DI FRANCESCO (interrogatorio del 28 marzo 2015), secondo cui “i rapporti tra Vincenzo ARNONE e Antonello MONTANTE di cui ho parlato erano noti anche ad altri esponenti della famiglia di Serradifalco quali il MISTRETTA e l fratelli ALLEGRO, per come mi fece intendere lo stesso Vincenzo ARNONE anche se non in

maniera esplicita” (aggiungendo: “preciso, infatti, di non aver mai assistito ad alcun discorso inerente i rapporti tra l’ARNONE e il MONTANTE con altri affiliati alla famiglia di Serradifalco, come era normale che fosse non essendo io, al tempo, formalmente organico a cosa nostra ”).

Peraltro, le dichiarazioni di BARBIERI circa gli investimenti che la famiglia MONTANTE si apprestava a fare “fuori” (cfr. verbale del 15 aprile 2009, in atti: “Gliene sentii parlare… stiamo… discutiamo di… sempre intorno al ’96, fine ’96… così… infatti alla… alla presenza di ILARDO pure questo discorso avvenne, perché si parlava di gente… della zona, di possidenti, che avevano attività

artigianali, imprenditoriali e lui citò questo MONTANTE che… non ricordo se disse che il padre si stavano spostando, dovevano andare fuori a lavorare o stavano investendo fuori, non… non ricordo male, […]”), lette in connessione con quelle di FERRARO sull’aiuto ad espandersi dato dagli ARNONE a MONTANTE, spiegano un sinistro effetto sonoro se rilette alla luce dell’importanza degli investimenti effettuati da quest’ultimo proprio nell’ultimo scorcio degli anni ’90.

Infatti, secondo il menzionato file excel, la società M.S.A. s.p.a., in data 30 aprile 1998, operava un aumento di capitale sociale da 40 milioni a 199 milioni delle vecchie lire e, meno di due mesi dopo, realizzava un investimento economico trasferendo l’unità locale (stabilimento di produzione) da San

Damiano d’Asti a Castell’Alfero, mentre, decorsi altri due anni, deliberava un nuovo aumento del capitale sociale, trasformandosi, dopo un ulteriore anno, in società per azioni […].

Preso atto di quanto ricostruito in sede di indagini, è doveroso osservare che il dato secco della “crescita” economica di MONTANTE non assume, isolatamente considerato, valenza determinante, in quanto, allo stato, non si dispone di ulteriori elementi, quali l’ammontare annuo dei redditi prodotti/dichiarati dallo stesso, per verificare una eventuale ipertrofia ingiustificata dei suoi investimenti.

Non è noto, infatti, quali risorse fossero confluite nell’aumento dei capitale sociale, risorse che, in ipotesi, potevano anche derivare da parallele e propedeutiche azioni di disinvestimento.

Per converso, come vedremo nel paragrafo che segue, esistono agli atti importanti dichiarazioni rese da Dario DI FRANCESCO, che valgono a munire di palpabilità materica le asserzioni fin qui esaminate circa la vicinanza di MONTANTE agli ambienti mafiosi, avendo il collaboratore indicato uno specifico percorso attraverso il quale Vincenzo ARNONE, boss di Serradifalco, concorse a gettare le basi del successo industriale ed associativo (il riferimento è all’associazione degli industriali) di MONTANTE.

fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it/