Quel carico di cocaina «sparito» dal porto di Napoli
12 Gennaio 2021
I VERBALI INEDITI La droga imbarcata su una nave proveniente dal Sudamerica
di Giancarlo Tommasone
E’tra i collaboratori di giustizia, che attraverso le loro dichiarazioni, hanno aiutato a scompaginare i clan di camorra dell’area vesuviana. E’ Fiore D’Avino, che al principio della sua collaborazione con lo Stato, racconta anche di un carico di cocaina, proveniente dal Sudamerica. Una partita scomparsa, e successivamente intercettata e recuperata solo in parte. Il verbale – che Stylo24 pubblica in esclusiva – è del primo giugno 1995. «Voglio riferire di un episodio di traffico di stupefacenti nel quale sono rimasto coinvolto un po’ controvoglia», afferma il collaborante. La storia ha a che fare con tale zio Michele (deceduto), all’epoca dei fatti ultra50enne, e legato da vincoli di parentela a un potente gruppo malavitoso di Nola.
«(Zio Michele) viveva tra la Campania e l’Argentina – spiega D’Avino –, aveva precedenti per droga ed era stato detenuto negli Stati uniti insieme con un uomo di Roma, tale Dino o Tino, e che ora dovrebbe abitare in Spagna, a Marbella. Michele insisteva molto per chiudere affari di importazione di cocaina, incontrando la mia ostilità e l’ostilità (dei capi del gruppo di Nola)». «Un giorno – continua il racconto –, Michele ci fece trovare di fronte al fatto compiuto e ci disse che stavano arrivando 10 chili di cocaina dal Sudamerica con una nave. (Della cosa) fu informato Carmine Aflieri (anche lui passato a collaborare con la giustizia), il quale pure ne rimase contrariato. Si decise comunque che ormai questa cocaina andava ritirata e commercializzata».
Allo scopo, D’Avino afferma che prese «contatti con un siciliano che lavorava al porto di Napoli. Il siciliano era persona che aveva difficoltà economica, non mi constava che avesse precedentemente operato in attività illecite, ma lo conoscevo e lo frequentavo nel circolo sociale e posso dire che lo stesso si “atteggiava” un po’ a malavitoso. Non ebbi problemi a proporgli l’affare e in effetti, si stabilì che questi, insieme a Dino, doveva entrare nel porto (approfittando del fatto che egli lì lavorava) e ritirare questa merce. La droga, come noi sapevamo, era affidata ad un macchinista argentino, che era persona di fiducia di zì Michele».
Proprio quest’ultimo (zì Michele, ndr) «era con noi perché attendeva la droga in campagna. Sta di fatto che questi 10 chili scomparvero, in quanto il pacco non si trovò nel posto che Dino e l’argentino avevano stabilito. Io avevo messo in contatto il siciliano con Dino, ma il siciliano, dopo aver favorito l’ingresso di Dino nel porto, si tirò indietro tanto che noi sospettammo di lui, per la sottrazione. Dino e il macchinista argentino già si conoscevano».
Il macchinista argentino convocato sul Monte Somma
«Naturalmente – fa mettere ancora a verbale, D’Avino –, sospettammo anche dell’argentino e zì Michele, con uno stratagemma, lo fece salire in auto e lo portò in un terreno di (un mio parente) sul Monte Somma». All’appuntamento «eravamo presenti io, lo stesso zio Michele, e altre persone. Il macchinista corse il rischio di essere ucciso, cosa che non avvenne solo grazie al mio intervento perché mi convinsi della sua innocenza». Ma che ne fu del carico di cocaina sparito dal porto di Napoli? Grazie all’intervento di un malavitoso, spiega il collaboratore di giustizia, «riuscimmo a recuperare 9 dei 10 chili di cocaina. Non ci fu mai detto chi avesse sottratto la droga, né come fosse stata recuperata».
Fonte:https://www.stylo24.it/quel-carico-di-cocaina-sparito-dal-porto-di-napoli/