E’ UNA BRUTTA STORIA QUELLA DEL SUICIDIO DEL POLIZIOTTO NELLA QUESTURA DI LATINA,UNA STORIA CHE SI VA AD AGGIUNGERE ALLE DICHIARAZIONI DI UN ALTRO ISPETTORE , SEMPRE DELLA STESSA QUESTURA PONTINA,ALLA STAMPA CHE HA PARLATO DEGLI IMPEDIMENTI FRAPPOSTIGLI IN RELAZIONE ALLE INCHIESTE CHE STAVA SVOLGENDO SUI CLAN E A QUELLE DEL PROCURATORE DI ROMA PRESTIPINO CHE HA PARLATO DELL’IMPOSSIBILITA’ DI SVOLGERE INDAGINI IN TERRA PONTINA.
NOI DELLA CAPONNETTO ABBIAMO SEMPRE SOSPETTATO DELL’ESISTENZA A LATINA DI QUALCOSA DI GROSSO E DI OSCURO CHE HA FATTO IN MODO CHE LA PROVINCIA DI LATINA DIVENTASSE UNA SORTA DI “ALCOVA” DELLA MAFIA E DOVE CRIMINALITA’ ORGANIZZATA,POLITICA CORROTTA,MASSONERIA E SERVIZI DEVIATI,GRAZIE AD UN PATTO MAFIA-STATO ALLA STREGUA DI PALERMO,POTESSERO METTERE IL CAPPELLO SU TUTTO E TUTTI.
CI HANNO INDOTTO A PENSARLO l’ESITO DEI “FATTI DI FONDI “,CON TUTTI GLI ANNESSI E CONNESSI, E,A SEGUIRE,ANCHE ALTRI.
CIO’ CHE CORROBORA I NOSTRI SOSPETTI E’ IL FATTO CHE SU QUESTA SITUAZIONE DI LATINA NESSUNO CI VUOLE METTERE LE MANI, A COMINCIARE DALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA,LA QUALE ,AL DI LA’ DI QUALCHE PUNTATA DI RITO,NON SI DECIDE A PRENDERE IL TORO PER LE CORNA.
SENATORE MORRA,CHE RISPONDE ??????????
Noi sosteniamo i Testimoni di Giustizia
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«IL POLIZIOTTO, IL PENTITO E IL GIALLO
DELLA MORTE. LA PROCURA DI LATINA: FU SUICIDIO» di Vittorio
Buongiorno
L’ispettore capo Antonio D’Onofrio fu
trovato morto, riverso su un terrazzo della questura di Latina, la mattina del
25 dicembre del 2018. La pistola d’ordinanza era accanto al cadavere. Suicidio
si disse nell’immediatezza, ma l’inchiesta su quel decesso è ancora aperta.
«Solo per fare luce su aspetti collaterali -spiega oggi il procuratore della
Repubblica, Giuseppe De Falco – Fu un suicidio, su questo non ci sono
dubbi».
Ma nei mesi scorsi un pentito di mafia che
stanno ascoltando i magistrati di quattro diverse procure ha raccontato – come
ha rivelato Pietro Finocchiaro in un servizio andato in onda su Rainews 24 – che
lui al suicidio non crede. Il pentito è Pietro Riggio, «ex agente penitenziario
poi affiliato in Cosa nostra» come si legge su Antimafia2000, uno dei siti più
attenti alle vicende della criminalità organizzata siciliana.
Durante il processo Double Face, in corso a
Caltanissetta, Riggio ha raccontato molte cose, spiegando di essere vissuto per
un periodo sotto protezione a Latina. È qui che ha incrociato Antonio D’Onofrio,
l’ispettore che per anni, è stato il referente dei collaboratori di giustizia
che dimoravano nel nostro territorio. Un controllore, uno che risolveva i
problemi, a volte anche un amico se ci può essere amicizia in simili vicende. Va
detto che la mattina della morte di D’Onofrio uno dei collaboratori saputa la
notizia è corso in questura ed è rimasto a lungo, in lacrime, fuori dal
portone.
Ma torniamo alle rivelazioni del pentito
riportate da Finocchiaro. In aula racconta le minacce che ha subito. «Sono stato
agganciato da un personaggio nei pressi del Tribunale di Latina, che era la
città dove mi trovavo in località protetta, pochi giorni prima che io avessi
l’udienza presso il Tribunale di Roma che doveva stabilire se potessi ottenere
la detenzione domiciliare o no». Era il 2016. «Pensavo che mi volessse chiedere
un’indicazione stradale, invece mi disse: Lascialo stare a Montante». Ovvero il
presidente degli Industriali in Sicilia, paladino dell’antimafia, poi travolto
dalle inchieste e condannato in abbreviato a 14 anni di
reclusione.
«Feci le mie rimostranze all’allora
referente di pubblica sicurezza, l’8 giugno, che mi accompagnò al carcere per la
pena definitiva», racconta ancora Riggio. Il referente era Antonio D’Onofrio. Il
capo della segreteria di sicurezza del Questore, un ruolo delicatissimo. «Quella
mattina mi cambiarono la sede e fui portato a Rebibbia, questo fatto mi
allarmò». Secondo il racconto del pentito, D’Onofrio durante il viaggio gli
avrebbe detto più volte «di lasciare perdere Montante, di non nominare le
persone con la divisa, di non dire nulla di tutto quello che sapevo»,
aggiungendo: «Vedi che ti faranno fare la stessa fine di
Gioé».
Riggio racconta anche della morte di
D’Onofrio. «Dicono che si è sparato in testa, ma io non ci credo». Alla luce di
tutto ciò la Procura di Latina ha deciso di sentire Riggio, come conferma il
procuratore De Falco. Secondo il magistrato però ci sono pochi dubbi che
D’Onofrio si sia ucciso. Quel giorno, sul terrazzo della questura, fu trovato il
bossolo ma non l’ogiva del proiettile che lo uccise. De Falco spiega: «Può
succedere, un’ogiva può spizzare un muro e finire chissà
dove».
Ma Riggio racconta anche che fu agganciato
anche da Niccolò Pollari, generale della Finanza, già direttore del Sismi, nello
studio di un avvocato di Latina. Quelle carte sono rimaste omissate per oltre un
anno e mezzo e depositate nell’autunno scorso nel processo di Appello sulla
trattativa Stato Mafia. Riggio ha anche fatto il nome dello studio legale di
Latina, molto noto, a un passo dal Tribunale: «Fui sollecitato a un sussulto di
dignità». Ma Pollari ha detto al giornalista di Rai News, Finocchiaro, di non
sapere chi sia Riggio e di non averlo mai incontrato a Latina. Insomma, un
mistero. Proprio come la morte di Antonio