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Blitz ‘ndrangheta, Cesa e l’intreccio tra vecchie indagini e nuovi candidati

Blitz ‘ndrangheta, Cesa e l’intreccio tra vecchie indagini e nuovi candidati

22 GENNAIO 2021

De Magistris in campo per la presidenza della Regione Calabria a 15 anni dall’indagine Poseidone che condusse da pm sempre sul leader Udc

CONCHITA SANNINO

Cinque lustri dopo, molte cose – con gli stessi nomi – ritornano. Tra la Calabria e Roma. Tra politica e aule giudiziarie. Tra le trattative in corso sull’instabilità del governo centrale e le elezioni che si aprono, aprile è dopodomani, per il Palazzo regionale ormai intitolato a Jole Santelli e acefalo da quasi cento giorni.

Lorenzo Cesa, il segretario dell’Udc oggi dimissionario perché raggiunto da avviso di garanzia nel blitz antimafia di due giorni fa di Catanzaro, fu uno dei primi indagati nell’inchiesta Poseidone dell’allora pm Luigi de Magistris. Era il 2005, Cesa ne uscì indenne, l’istruttoria nasceva su presunti illeciti nella captazione di fondi regionali e anche europei destinati alla depurazione delle acque. E da chi era difeso, Cesa, all’epoca? Dall’avvocato dei big, dal senatore di Fi Giancarlo Pittelli: che oggi, per altro contesto ed altre ipotesi di reato compare alla sbarra, tra gli imputati del processo Rinascita-Scott appena apertosi in Calabria.

Pittelli finisce a processo con questo inquietante impianto accusatorio: “aver messo sistematicamente a disposizione” degli ambienti vicini alla ‘ndrangheta “il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano politico-istituzionali, imprenditori e professionisti. Anche per acquisire informazioni” su indagini in corso.

Più di tre lustri dopo, tutto torna. O si ripete soltanto. Magistrati che non smettono di dare la caccia a ‘ndranghetisti e massoni corrotti: come il procuratore Gratteri, e la sua distrettuale. Ed ex magistrati che inseguono legittimamente le proprie affermazioni politiche, anche per impegno antimafia: come lo scattante de Magistris, non ancora scaduto come sindaco di Napoli (finirà a maggio) e già candidato alla presidenza della Calabria. Intrecci sui quali de Magistris non ha timore di tornare, nonostante i tanti proscioglimenti. “Giustizia a orologeria? Gratteri? Ma scherziamo. Lo escludo al cento per cento”, commenta con Repubblica.

Caso Cesa, le parole di Gratteri dividono Parlamento e magistratura di Liana Milella

E sulle candidature dotate di tempismo? “Il tempo è davvero galantuomo. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare si tornasse al voto in Calabria per la prematura scomparsa della sua presidente. Ma una cosa emerge: a distanza di oltre 15 anni, le indagini sono diverse, il sistema è quello lì. Risorse pubbliche, nomine, un sistema in cui gli affaristi legati alle cosche si fanno avanti e offrono coperture eccellenti. L’unica differenza è che, allora, io ero un isolato. Oggi, in quegli stessi uffici ci sono magistrati che vanno avanti. Lo sa perché mi fu avocata l’inchiesta? Dopo che avevo appunto indagato Pittelli, difensore del mio ex procuratore capo, che aveva fatto assumere un suo parente”.

De Magistris versus Pittelli. E viceversa. Ma il duello stavolta è tra due politici. Non è bizzarro che ogni battaglia elettorale in Calabria debba passare per le inchieste? L’attuale sindaco di Napoli alza le mani. “Non è certo colpa di chi indaga. Si parla di supplenza, ma è dovere della magistratura cercare reati: c’è una Calabria pulita che non aspetta altro”.

Tre volte parlamentare Fi e già coordinatore del partito, Pittelli, fu appunto accusato nel 2005 di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio. Ipotesi poi archiviata dai pm che subentrarono a de Magistris: il quale, sollevato dall’inchiesta, denunciò quel parlamentare alla Procura di Salerno per corruzione in atti giudiziari. Altra accusa da cui l’ex senatore fu assolto nel 2016, tanto da aver chiesto il risarcimento allo Stato. Eppure.

È lo stesso Pittelli mandato in carcere dalle indagini di Gratteri, nel dicembre del 2019, tra i nomi più in vista del maxi processo che va in scena nell’aula bunker di Lamezia Terme. Ed è, incidentalmente, ancora il Pittelli accusato in alcune dichiarazioni rese il 5 febbraio 2020 ai pm di Salerno, da un giudice arrestato per corruzione, Marco Petrini. Che poi ha ritrattato le sue parole: “Ammetto di aver accettato la promessa di ricevere la somma di 2.500 euro dall’avvocato Pittelli in cambio dell’assoluzione dell’imputato da lui assistito”, dice Petrini. Poi dirà che si è sbagliato. Verbali finiti, appunto, tra i faldoni del maxi processo Rinascita-Scott. Tre lustri dopo, stesso intrico. Stessi nomi. E nulla sembra cambiato.

Fonte:https://rep.repubblica.it