Ricordando Pio La Torre, ideatore della prima legge antimafia
Luca Grossi 30 Aprile 2021
Oggi si ricorda il Segretario Regionale del Partito Comunista in Sicilia Pio La Torre ucciso in un vile attentato il 30 aprile del 1982 assieme al suo autista e amico Rosario Di Salvo. Una vita, quella di La Torre, dedicata alle lotte contro quel grande male che è la mafia senza dimenticare anche il suo grande impegno per la pace, concretizzato nella sua ferma opposizione contro l’istallazione dei 112 missili nucleari di media gittata, Cruise, nell’aeroporto siciliano di Comiso, una vera e propria scintilla che avrebbe potuto far esplodere un conflitto atomico in quella Santa Barbara che era diventato il mondo durante la Guerra Fredda.
Un’attività politica intensa, per la sua terra e la sua gente, che lo aveva messo in cima alla lista nera di uomini appartenenti al mondo della criminalità organizzata e probabilmente anche di quelli provenienti da certi ambienti occulti, questi ultimi ostacolati dalle posizioni del sindacalista siciliano in merito ai missili da crociera.
Un vero attivista politico a cui la classe politica non prestò orecchio neanche nel momento in cui fu palese che la mafia decretò la sua morte.
Scrisse su di lui l’editorialista Saverio Lodato, “tra tutti i delitti politico mafiosi di quegli anni, è difficile trovarne uno che sia stato più ‘annunciato’ di questo”.
Erano le nove e venti di mattina, Palermo, Pio La Torre e Rosario Di Salvo salirono sulla Fiat 131 per recarsi alla sede del Partito, i killer si misero in posizione già delle otto e mezzo circa. Ad un certo momento, in via Generale Turba, Pino Greco, detto “Scarpuzzedda”, vedendo l’auto arrivare diede il segnale, fu questione di attimi e la macchina di La Torre dovette frenare perché una moto di grossa cilindrata gli tagliò la strada mentre la macchina con i sicari prese posizione al suo fianco, “Rosario! – gridò l’onorevole – Ci vogliono ammazzare!”, i killer spararono i primi colpi e La Torre morì subito; “Vigliacchi! Vigliacchi!” urlò Di Salvo mentre cercò di far retromarcia e di sparare qualche colpo per difendersi, ma non ci riuscì. I killer una volta compiuto il massacro scapparono via.
L’omicidio fu rivendicato dai Gruppi proletari organizzati. Dopo nove anni di indagini, nel 1991, i giudici del tribunale di Palermo chiusero l’istruttoria rinviando a giudizio nove boss mafiosi aderenti alla Cupola di Cosa Nostra. Per quanto riguarda il movente vennero fatte varie ipotesi, ma nessuna ha avuto riscontri oggettivi. Nel 1992, un mafioso pentito, Leonardo Messina, rivelò che Pio La Torre fu ucciso su ordine di Totò Riina, capo dei corleonesi, a causa della sua proposta di legge riguardante i patrimoni dei mafiosi. Al funerale parteciparono centomila persone tra cui Enrico Berlinguer, il quale fece anche un discorso, il presidente Giovanni Spadolini e il ministro dell’Interno, Virginio Rognoni.
Per l’omicidio del segretario del PCI sono stati condannati i boss Salvatore Cucuzza e Pino Greco, grazie anche alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia Gaspare Mutolo, Tommaso Buscetta, Francesco Marino Mannoia e Pino Marchese. Sempre grazie a quest’ultimi, con l’aggiunta delle dichiarazioni di Cucuzza, venne ricostruito il quadro dei mandanti identificati poi nei boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Antonino Geraci.
Punto numero 11 del ‘Papello di Riina’: “Misure di prevenzione e sequestro di beni”
A Pio La Torre dobbiamo molto. A partire dalla sua relazione di minoranza del 1976 con cui, andando contro l’opinione di maggioranza in Parlamento, descrisse in maniera minuziosa il modus operandi della mafia siciliana e i suoi collegamenti con il potere politico.
Ma soprattutto per il disegno di legge che poi divenne il 416 bis, anche conosciuto come legge “Rognoni-La Torre” che per la prima volta nella storia giudiziaria Italiana inseriva nel codice penale il reato di associazione mafiosa disponendo anche il sequestro obbligatorio dei beni.
“Occorre spezzare il legame esistente tra il bene posseduto ed i gruppi mafiosi, intaccandone il potere economico e marcando il confine tra l’economia legale e quella illegale”, disse Pio La Torre quella frase che oggi ci sembra più che mai attuale.
La legge venne approvata solo dopo l’omicidio del prefetto di Palermo Carlo Alberto della Chiesa, avvenuto cinque mesi dopo quello di Pio La Torre.
Il primo utilizzo di questo strumento normativo fu proprio nel maxi-processo contro Cosa nostra, istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che portò alla sbarra l’intero ‘gotha’ della mafia.
Ma, nonostante i numerosi benefici che ha portato il 416 bis sul fronte della lotta al crimine organizzato, la recente decisione della Consulta, in cui è stato dichiarato incostituzionale “il carcere duro” (41 bis) fa formulare lecitamente una domanda: lo stesso destino toccherà anche al 416 bis? Si cercherà di abolire anche questa normativa magari appellandosi ancora una volta alla C.E.D.U? Oppure verrà ‘svuotato di efficacia’ rendendolo praticamente inutile?
Non dobbiamo permettere che i frutti del sacrificio di uomini come Pio La Torre, Carlo Alberto della Chiesa, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone vadano persi nella sonnolenza e nell’indifferenza del potere politico per quanto riguarda il pericolo, ora più che mai presente, delle organizzazioni mafiose.