L’Espresso
Olanda, addio Stato modello. Ormai il Paese è nelle mani delle mafie
Cocaina, omicidi, sindaci sotto scorta, camere di tortura. La criminalità la fa da padrona. Obiettivo? Il controllo dei porti della droga
di Floriana Bulfon
16 AGOSTO 2021
C’era una volta la terra idilliaca di mulini e tulipani, modello di tolleranza e benessere. Adesso li chiamano “I Paesi caduti in basso”, travolti da un’ondata di droga e omicidi. L’Olanda si scopre la Narcolandia d’Occidente, dove sbarcano tonnellate di cocaina che intossicano tutta l’Europa e fanno fiorire gang sempre più violente. Un’emergenza nazionale, che mette in discussione i cardini della società olandese.
A MANO ARMATA
«Un pitbull: se morde un caso, non lo lascia andare». Definivano così Peter R. de Vries: un ex poliziotto diventato reporter, con una fama insuperabile nell’indagare sui casi criminali. A luglio lo hanno assassinato con un’esecuzione spettacolare: cinque colpi di pistola sparati alla testa, in pieno giorno all’uscita degli studi tv di Rtl. Due anni prima, la stessa sorte era toccata all’avvocato Derk Wiersum, crivellato davanti a moglie e figli sulla soglia di casa in un tranquillo quartiere di Amsterdam. Il segno che l’underworld olandese ormai è tracimato ovunque, con un campionario di orrori che sembra non conoscere fine. Ci sono stati regolamenti di conti nelle strade; attacchi contro le sedi dei giornali, prese di mira lanciandogli contro furgoni-ariete; sindaci messi sotto scorta e nascosti in “case protette” per salvarli dai killer. A Wouwse Plantage, un villaggio tra i boschi nel Brabante settentrionale al confine con il Belgio, sono stati scoperti container trasformati in camere di tortura: stanze insonorizzate con le poltrone da dentista trasformate in lettini della morte. Una macelleria messicana nel cuore dell’Europa: gang crudeli e spietate lasciano la testa decapitata di un giovane davanti a un locale, lanciano granate per minacciare i concorrenti e arruolano ragazzini pronti a uccidere per poche migliaia di euro. I pochi sicari identificati non avevano nessuna relazione con le vittime: lavorano per conto di agenzie che offrono servizi violenti, dalla riscossione dei crediti all’omicidio.
Wiersum e De Vries, le due “vittime eccellenti”, erano legati a doppio filo a Nabil Bakkali: un ex killer che nel 2017 ha deciso di collaborare con la giustizia nel più grande processo alle organizzazioni criminali nella storia olandese. Bakkali è il testimone-chiave contro Ridouan Taghi, il signore della droga ed esponente più noto della Mocro maffia ossia la nuova generazione di criminali che dagli anni Duemila ha scalato il potere. «Mocro è il modo in cui i giovani marocchini si chiamano nello slang di strada», ha spiegato Wouter Laumans che con Marijn Schrijver ha scritto il libro “Mocro maffia”. «Ma non sono solo di marocchini. Si tratta di ragazzini che crescono in zone di Amsterdam dove i turisti non vanno mai». Non i canali e il museo Van Gogh, ma i palazzoni di cemento dove da mezzo secolo sono state relegati gli immigrati asiatici delle ex Indie Olandesi e i profughi della ex Jugoslavia. Non importa l’etnia, conta il desiderio di fare soldi facili. A qualunque costo.
Taghi è accusato di essere il mandante di molti omicidi della guerra che si è consumata negli ultimi anni. Una battaglia per conquistare il monopolio della rotta principale della droga, che dal Sud America sbarca nei porti di Rotterdam e Anversa. Un business redditizio che non deve essere condiviso. I margini dei guadagni sono grandi e tutti sono pronti a impugnare il kalashnikov per difendere i propri interessi. I boss della Mocro hanno imparato in fretta dal confronto con i loro referenti colombiani e messicani, maestri di ferocia ma anche di tecnologia: usano solo telefonini con chat criptate, che non si possono intercettare. Ma nella primavera 2018 gli investigatori hanno aggirato l’ostacolo e sono penetrati nel server usato per le comunicazioni in codice. E così hanno scoperto che Taghi aveva intenzione di «far dormire» tutti quelli che erano legati a Bakkali.
Oggi Ridouan Taghi è a processo, estradato da Dubai dove aveva trovato il suo buen retiro. L’Olanda è riuscita a convincere gli Emirati a consegnare il ricco trafficante. Mentre il nostro governo non ottiene l’arresto di Raffaele Imperiale, il boss di camorra asso del narcotraffico e del riciclaggio che proprio con Taghi scambiava messaggi criptati: il napoletano continua a godersi i grattacieli emiratini.
LA GENESI
Taghi è arrivato in Olanda con i genitori dal Marocco nel 1980. Quando ha avviato la sua prima attività, spaccio di hashish nel cortile della scuola, è stato derubato da ragazzi più forti. Ma non si è scoraggiato. Ha preso il controllo di una batteria e ha fatto il salto con la cocaina, guadagnando un sacco di soldi. Pronto a far fuori chi si metteva in mezzo, ha eliminato dalla sua strada ogni avversario. E per farlo ha schierato un esercito di giovanissimi, poveri e spesso senza alcuna istruzione. Postano sui social le foto con pacchi di soldi e droga e non hanno paura di morire né di venir arrestati. Gang sempre più fluide, un ramo tagliato ne fa germogliare altri.
Al centro dell’ascesa ci sono i porti di Rotterdam e Anversa: due dei principali snodi europei per l’arrivo della cocaina in Europa. Basti pensare che le forze dell’ordine solo nel 2020 ne hanno scovato oltre 100 tonnellate. Lo scorso febbraio un’operazione congiunta tra la polizia belga e tedesca ha portato al più grande sequestro mai fatto in Europa: polvere bianca per un valore di ben 4,3 miliardi di euro, nascosta dentro latte di stucco e travi di legno provenienti da Panama. Per i narcos si tratta di un rischio calcolato: viene controllato meno del 2 per cento dei container. Le forniture sono destinate a più organizzazioni con loghi e confezioni diverse, intermediari le recuperano per poi distribuirle nel resto d’Europa e reclutatori avvicinano portuali e doganieri per corromperli. Il prezzo su piazza è rimasto lo stesso, ma la coca è sempre più pura.
Ma l’Olanda non ha solo il primato nell’importazione di coca: è leader nella produzione di droghe sintetiche, con numerosi laboratori presenti sul territorio. Un settore che crea minore allarme ma garantisce percentuali di profitto più alte della cocaina, grazie alla diffusione di numeri enormi di pasticche. La somma dei due business è impressionante. Secondo uno studio dei ricercatori Pieter Tops e Jan Tromp nel 2018 l’industria della droga ha incassato quasi 20 miliardi di euro, tanto quanto la più grande catena di supermercati olandese Albert Heijn.
Due anni fa c’è stata una valutazione profetica e choccante: «Abbiamo sicuramente le caratteristiche di un narco-Stato», ha dichiarato il presidente del più grande sindacato di polizia olandese. «Certo che non siamo il Messico. Non abbiamo 14.400 omicidi. Ma se si guarda alle infrastrutture, ai grandi soldi guadagnati dalla criminalità organizzata, all’economia parallela. Sì, abbiamo un narco-Stato». Il delitto De Vries adesso obbliga tutti a fare i conti con queste parole. C’è una società sconvolta per la crudeltà degli omicidi senza quartiere e analisti che si interrogano su quanto i capitali dei narcos stiano contaminando l’economia nazionale: riciclano sempre più soldi in negozi, progetti immobiliari e diamanti. Anversa è la capitale mondiale del taglio e della lavorazione dei preziosi, che possono assolvere alla duplice funzione di mezzi di pagamento della droga acquistata nel Sud America dai cartelli colombiani e di bene di investimento.
LA REPRESSIONE SPUNTATA
La criminalità organizzata non è nuova nei Paesi Bassi. La figura più iconica è stata quella di Willem Holleeder, uno dei rapitori del magnate della birra Freddy Heineken su cui aveva indagato anche De Vries. Le forze dell’ordine si sono concentrate fino agli anni Novanta nella lotta alla vecchia guardia di rapinatori, che poi trafficavano in droga. Poi sono state mobilitate dall’emergenza terroristica, soprattutto dopo l’omicidio del regista Theo Van Gogh. E nel frattempo i giovani della Mocro Maffia si sono fatti sempre più potenti, surclassando gli storici boss locali. «In Olanda non esistono mafie che controllano un territorio, ma gruppi concorrenti che possono facilmente entrare in conflitto: non ci sono “cupole” in grado di risolvere questi conflitti», ragiona il professore di criminologia Cyrille Fijnaut.
Elenca la presenza sul territorio di criminali olandesi, olandesi-marocchini, italiani, albanesi, russi, turchi, sudamericani, caraibici, per cui non conta nazionalità e origine ma solo la voglia di fare soldi. E si muovono rischiando poco: le pene per detenzione di cocaina sono tra le più basse in Europa. Nel 2010 su 400 procedimenti aperti per droga, la procuratrice Greetje Bos – più volte minacciata dai nuovi padrini – ha ottenuto soltanto sei condanne. Una percentuale dell’1,5 per cento. La stessa che nello stesso anno si registrava a Ciudad de Juárez in Messico, una delle capitali della mattanza sudamericana.
Subito dopo l’omicidio dell’avvocato Wiersum, politici, magistrati e investigatori si sono riuniti per affrontare la criminalità organizzata. Hanno creato una nuova unità speciale di polizia, il Multidisciplinary intervention team, ma non è bastato per impedire l’assassinio di De Vries. Per Fijnaut è stato un errore strategico: «Un’unità così separata ha creato divisioni, non è stata la risposta giusta alla violenza delle bande sempre più organizzate. Sarebbe stato più opportuno rafforzare il sistema di indagine penale all’interno della polizia nazionale e incrementare la collaborazione con le autorità fiscali e amministrative per impedire che i boss della droga possono costruire posizioni di potere e fortune finanziarie usando la violenza e l’intimidazione e corrompendo i funzionari». E intanto tutta Europa teme il contagio olandese: «Credo che queste modalità violente ed estreme si estenderanno presto ai Paesi confinanti», avverte Eric Bisschop il vice procuratore generale del Belgio. Lì già dagli anni Novanta, con l’omicidio dell’ex vicepremier André Cools in Vallonia, sono nati nuovi modelli multietnici di criminalità e per il procuratore «è solo una questione di tempo. La difficoltà è quella di individuare il target: se le forze di polizia si concentrano sulle figure più sospette, si lascia spazio alle nuove leve di crescere fino al vertice. Per questo è bene lavorare sull’intera filiera. Negli ultimi anni c’è stato un netto miglioramento nella cooperazione internazionale, attraverso nuovi strumenti e il lavoro operativo, ad esempio, di Eurojust ma rimangono una serie di ostacoli: le grandi differenze tra i sistemi giudiziari in Europa e la mancanza di cooperazione con Paesi che sono considerati un porto franco per i criminali, con cui non è facile collaborare nelle indagini e nelle estradizioni».
Già, finché i padrini potranno starsene in piscina nei grattacieli di Dubai, ordinando spedizioni di coca milionarie e ingaggiando killer per pochi euro, sarà difficile colpire la nuova rete dei traffici. E finché i tribunali europei avranno pene diverse, sarà dura smantellare la filiera. Ma quello che sta accadendo in Olanda dimostra quanto il disinteresse verso le dinamiche criminali possa mettere a rischio la tenuta di un’intera nazione.