Cosa ci dice del crimine a Roma l’arresto del presunto killer di Fabrizio Piscitelli detto Diabolik
Giovedì è stato fermato Raul Esteban Calderon, precedenti per furto e rapina, che secondo gli investigatori sarebbe il runner che ha sparato all’ultras e narcotrafficante. E ora gli inquirenti vogliono capire il riassetto del parterre criminale nella città
di Massimiliano Coccia
20 DICEMBRE 2021
“Non esistono delitti perfetti. Semmai esistono colpevoli molto fortunati” dichiarava Rocco Schiavone, il vicequestore di stanza ad Aosta, nato dalla penna di Antonio Manzini e devono averlo pensato le donne e gli uomini della Squadra Mobile di Roma che congiuntamente ai Carabinieri del Nucleo di Frascati, hanno scandagliato i filmati delle telecamere di sorveglianza di via Lemonia, davanti al Parco degli Acquedotti li dove il 9 agosto del 2019, ha trovato la morte Fabrizio Piscitelli, narcotrafficante, uomo di congiuntura di vari mandamenti criminali, capo carismatico degli Irriducibili Lazio. Un delitto che sembrava essere stato compiuto da un fantasma, che con la sua tuta da runner e la pistola Calibro 9 parabellum aveva messo fine alla vita, le opere e i crimini di Piscitelli detto “Diabolik”.
Nel corso dei mesi si sono moltiplicate le ipotesi investigative sull’identità del killer, dalla pista albanese a quella della camorra passando per la ‘Ndrangheta, ma il presunto killer arrestato il 13 dicembre secondo gli inquirenti sarebbe Raul Esteban Calderon, argentino, classe 1969, accusato, dai magistrati della Dda di Roma, di omicidio aggravato dal metodo mafioso.
Fondamentali per gli inquirenti le riprese delle telecamere di un’abitazione su via Lemonia e i riscontri tassonometrici della corsa di Calderon, ripresa in vari pedinamenti dagli agenti della Mobile e confrontati con quelli dell’omicidio.
Un nome non di rango nella criminalità romana, un criminale di piccola levatura che in passato si rese responsabile di rapine, furti in appartamento nel Lazio e in Toscana, a cui è stato affidato di uccidere Piscitelli ormai divenuto scomodo a tutti. Facendo un passo indietro la morte di Piscitelli è stata succeduta cronologicamente da una serie di eventi di importanza cruciale a livello strategico per le geometrie criminali della Capitale; in primis l’inchiesta e gli arresti generati da “Grande Raccordo Criminale”, che qualche mese dopo l’omicidio di Diabolik ha di fatto messo dietro le sbarre tutto il suo cartello criminale (51 persone), raccontando il contesto in cui l’omicidio era maturato. Usura, traffico di droga, recupero crediti per conto della camorra erano gli asset economico del mandamento criminale ma su questi spiccava proprio il ruolo di Piscitelli che si ergeva a figura di controllo del territori, di garanzia e di affidabilità.
Proprio queste ultime due caratteristiche nei mesi precedenti al suo assassinio sarebbero venute meno, tanto da mettere tutti gli attori criminali che si spartiscono Roma al centro di una decisione univoca che avrebbe portato alla sua uccisione. Il suo omicidio non può secondo gli investigatori essere infatti passato per una decisione solitaria di una delle organizzazione che si spartiscono la città e la sua morte ha aperto scenari nuovi e diversi rispetto a quanto preventivato.
Piscitelli, secondo i suoi più stretti sodali, era in una situazione di difficoltà dovuta ad investimenti sbagliati, soldi da restituire e dalla scarsa protezione di cui godeva dopo la fine obbligata del sodalizio con Massimo Carminati e Riccardo Brugia. La debolezza di Piscitelli sarebbe stato il voler continuare a giocare su un tavolo di spartizione e trattative avendo al suo fianco alleati infedeli, che puntavano più al suo ruolo, che al mantenimento dell’equilibrio. Anche la modalità dell’omicidio avvenuto in un parco pubblico, in pieno giorno, nel lessico criminale è apparsa più come l’esecuzione di un infedele che la fine di un capo.
In questi mesi, dopo l’estradizione dall’Albania, Dorian Petoku, figura di vertice dell’organizzazione di Diabolik, ha scelto di rispondere alle domande degli inquirenti, in cerca di protezione Petoku avrebbe raccontato che gli arresti della batteria di Piscitelli avvenuti con l’operazione “Grande Raccordo Criminale” hanno evitato l’innesco di una guerra di mafia su Roma.
L’albanese, uomo di collegamento con la criminalità di Tirana, avrebbe ricostruito le dinamiche criminali che per anni hanno dominato Roma, le alleanze e la capacità di penetrazione di Piscitelli in vari settori della città, utilizzando il vettore della tifoseria, del condizionamento psicologico che questo creava in molti. Piscitelli aveva creato una fitta rete di relazioni, di indotto economico in grado di finanziare anche “La voce della Nord”, storica trasmissione radiofonica del tifo laziale. Un po’ di lotta e un po’ di governo, interlocutore per alcuni, traditore per altri, pranzava spesso a Ponte Milvio con Giuliano Castellino, ora detenuto insieme a Roberto Fiore per l’assalto alla sede della Cgil dello scorso ottobre, era visto girare sullo scooter a tinte giallorosse di quest’ultimo quando doveva spostarsi verso il centro storico per evitare di essere intercettato visivamente.
Dopo l’omicidio di Via Lemonia secondo quanto si apprende da fonti investigative, si era creata la frazione dei cosiddetti “lealisti”, coloro che avrebbero voluto lavare subito col sangue la morte del loro capo, innescando così potenzialmente una reazione a catena dalla scarsa prevedibilità. In questo contesto si comprende anche il video di Fabio Gaudenzi, detto Rommel, sodale di Piscitelli e amico di Carminati, che il 4 settembre del 2019, quindi neanche un mese dall’omicidio pubblicò un filmato delirante in cui con un passamontagna e una pistola parlava di una fantomatica organizzazione “I fascisti di Roma Nord” e della sua imminente costituzione in carcere per paura di fare la stessa fine di Diabolik.
Gaudenzi, in molte occasioni aveva chiesto di parlare con il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, per riferire del ruolo della ‘Ndrangheta nella gestione della droga a Roma. Da segnalare che assieme a Raul Esteban Calderon, è stato spiccato un mandato di arresto anche per Enrico Bennato, 53 anni, nipote di Walter Domizi, boss della zona Casalotti detto “Il gattino”. Bennato era già in cella per stalking contro la sua ex compagna, a cui aveva reso la vita un inferno, con minacce, striscioni, colpi di pistola esplosi contro il portone di casa. Colpi esplosi proprio da una pistola calibro 9 parabellum, la stessa che avrebbe ucciso sia Fabrizio Piscitelli che Shehaj Selavdi il 20 settembre del 2020 sulla spiaggia di Torvajanica, omicidio che avrebbe visto la partecipazione di Bennato e dello stesso Calderon.
Gli inquirenti puntano, grazie proprio alla posizione di fragilità dentro le dinamiche criminali dei due presunti killer, a comprendere fino in fondo il riassetto del parterre criminale nella città, un riassetto che sembra appena iniziato.