Nove bombe in nove giorni. La mafia foggiana attacca lo Stato
dal nostro inviato Giuliano Foschini
Dopo gli arresti e i commissariamenti dei Comuni più importanti, i clan hanno alzato lo scontro. Colpiti negozi e mandati segnali interni. Ma salgono le denunce per estorsione. Oggi il vertice con il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese
17 GENNAIO 2022
FOGGIA – “Il mare è nostro!” gridava agli uomini del clan qualche mese fa un boss di queste parti, Pietro La Torre. Ed è loro anche il fuoco di queste notti, nove bombe in nove giorni, nove boati che hanno spaccato vetrine e fatto tremare vetri, distrutto progetti e spaventato futuri. Il punto è che da qualche tempo a questa parte la terra, e l’aria, non sono più cosa soltanto della mafia foggiana, la quarta mafia, quella senza un nome ma con forza e potere sterminati, “la più urgente emergenza criminale del Paese” l’ha definita qualche settimana fa, davanti alla gente di questa terra, il ministro della Giustizia, Marta Cartabia.
Che sta accadendo in Puglia, o meglio, in provincia di Foggia? Succede che da qualche tempo è arrivato finalmente lo Stato. Che ha arrestato mafiosi e fiancheggiatori, commissariato comuni (compreso quello di Foggia) e aziende. E ora, come risposta, la mafia gli ha dichiarato guerra.
I numeri: in nove giorni, in questo 2022, la criminalità organizzata ha piazzato nove bombe diverse tra Foggia e la provincia. Hanno distrutto negozi e parrucchieri, hanno punito commercianti onesti e regolato conti interni con il chiaro obiettivo di lanciare messaggi. Perché tutti capiscano che nulla è cambiato. Che chi comandava, comanda. “La mafia sta provando a reagire ai colpi che la squadra Stato ha inflitto ai clan in questi mesi: ai successi della polizia giudiziaria, a quelli dell’antimafia sociale che ora finalmente c’è” ragiona il procuratore distrettuale antimafia, Roberto Rossi.
Fino a qualche anno fa, le statistiche raccontavano che l’80 per cento dei commercianti e degli imprenditori locali pagavano il pizzo. Oggi i numeri dicono che ci sono segnali da cui ripartire: le denunce per estorsione, ha documentato Tano Grasso, nell’ultimo anno sono aumentate dell’11 per cento a fronte di un calo della delittuosità del 9. E se non bastano i numeri a spiegare, ci sono le parole. Le mafie foggiane non conoscevano pentiti. Perché, come ha spiegato il sostituto procuratore antimafia Giuseppe Gatti che vive da un decennio sotto scorta perché i foggiani volevano ucciderlo, rubando proprio le parole a un mafioso, “qui il pentito non esce perché è tutta una famiglia: una famiglia significa il sangue. E più fiducia del sangue non ce ne sta”. Ora invece anche il sangue ha cominciato a tradire. Qualche pentito è apparso. Repubblica ha potuto leggere le dichiarazioni di uno di loro, Orazio Coda, uomo del clan Raduano: “Dopo che si è creato l’antiracket – ha detto – nessuno ha mai toccato questi imprenditori perché si sapeva che era galera sicuro. Perché i commercianti erano tutelati dallo Stato”.
Bisognava dunque colpire gli altri, subito. Perché non seguissero l’esempio. “Ma è ora che bisogna reagire, e non lasciarci soli” grida il sindaco di San Severo, Francesco Miglio. Perché se è vero che questa dei clan è una reazione allo Stato, ora lo Stato non può fermarsi. San Severo in questi giorni si è svegliata quattro volte con le bombe che hanno distrutto saracinesche e vetrine. Ma il cuore della città si è accartocciato quest’estate: mentre tutta l’Italia era per strada per festeggiare la vittoria dell’Italia al campionato europeo di calcio, la mafia uccideva Mario Anastasio, pregiudicato. Accanto a lui c’era suo nipote, Dodo, 6 anni. Ha preso una pallottola e, forse, non camminerà mai più. E siccome il sangue chiama sangue, dopo Anastasio nell’estate di San Severo è morto Luigi Bonaventura: secondo gli inquirenti è stata una risposta all’omicidio di luglio.
“Non lasciateci soli”, ripete Miglio, accanto a chi dice “basta” alla mafia. C’è, però, anche chi dice soltanto “basta”: a Foggia qualcuno comincia a storcere il naso per il commissariamento del Comune, nelle amministrazioni dove si è da poco votato si cominciano a rivedere amici di mafiosi. “Questo è il momento più delicato: non bisogna abbassare la guardia”, ha spiegato, non a caso, il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, che oggi sarà a Foggia al fianco del ministro degli Interni, Luciana Lamorgese. Chiederanno alla gente di avere coraggio, ma c’è chi chiede loro di non fermarsi.
Ieri il Procuratore Rossi – che lavora al fianco del capo dell’ufficio di Foggia, Ludovico Vaccaro – ha scritto al Csm chiedendo i sette magistrati e il personale che manca in organico. L’antimafia – Libera, le associazioni degli imprenditori, le scuole – stanno facendo sforzi straordinari. Ma è un fatto che il presidente regionale di Confindustria, Sergio Fontana, che tanto si è speso per l’antiracket di questa terra, sia stato oggetto qualche settimana fa di un’intimidazione, e ora la Procura sta proprio valutando se ci sia un filo con Foggia. “Noi non ci arrendiamo” ha detto Massimo, uno dei commercianti che ha visto saracinesca e negozio saltare in aria. “Ma, per favore, non lo fate nemmeno voi”.