GLI EFFETTI POSITIVI DELL’OPERAZIONE “DAMASCO” A FONDI: L’AVER FATTO EMERGERE LA PARTE PURULENTA DEL TESSUTO POLITICO, SOCIALE, CULTURALE DELLA PROVINCIA DI LATINA
Oggi, dopo l’operazione “Damasco”, si conoscono, nome e cognome, uno per uno.
Collusi, contigui, fiancheggiatori.
La parte purulenta, fetida della società pontina.
La mafia più pericolosa, quella che fornisce alimento a quella violenta- la cosiddetta ala “militare”-, la manovalanza.
L’operazione “ Damasco” ha avuto lo stesso effetto dei gas lanciati nelle fogne per stanare ed uccidere i topi.
E i topi sono scappati dalle fogne, per non morire. Per ora sono salvi. Sembra!
Diciamo che le indagini delle DDA, oltre agli effetti pratici- gli arresti, i processi, i sequestri e quant’altro ancora ci dovrà essere ancora – hanno portato alla realizzazione di una sorta di muro di Berlino in provincia di Latina, una netta linea di demarcazione nella società pontina:
la parte purulenta, corrotta, collusa da una parte, quella sana dall’altra.
Chi con la mafia, chi contro la mafia.
Questo è per noi il risultato più importante, quello, purtroppo, non riconosciuto ed apprezzato anche da parte di chi – la parte sana appunto – dovrebbe.
Oggi gli elementi, emersi prima dalla “ Formia Connection “ (della quale, però, aspettiamo gli esiti per quanto attiene alla parte del “voto di scambio”) e poi dalla “ Damasco” –che, si badi bene, è appena agli inizi –, per tirare le fila e ricomporre il puzzle del putridume pontino, ci sono tutti.
Il lavoro dei Magistrati delle DDA e di investigatori capaci, quali hanno dimostrato di essere quelli della DIA soprattutto e, non ultimi, del Comando Provinciale dei Carabinieri di Latina, specialmente durante la fase di comando del Col. Rotondi;
la denuncia puntuale, quotidiana, profonda – si abbia l’onestà intellettuale di riconoscerlo pubblicamente, al di là di ogni eventuale pregiudizio- dei coraggiosi giornalisti di “ Latina Oggi “ e, in particolare, del loro Direttore Sandro Panigutti;
l’opera silenziosa di scavo e di collaborazione –ci si consenta questa sorta di autoesaltazione, una volta tanto – che da anni svolgiamo anche noi sul territorio,
hanno portato alla definizione del quadro cui ci troviamo di fronte in provincia di Latina quando parliamo di mafie.
Noi siamo sempre più convinti della necessità di parlare di mafia indigena, locale, formatasi e consolidatasi negli anni, non più d’importazione, annidata nei gangli vitali della nostra società.
Non solo di questa, per carità, perché il ruolo criminale degli “altri”, di quelli venuti da fuori -cioè, campani, calabresi, siciliani e quant’altri. , -è ancora significativo.
Ma se ci fosse stata un’azione di… prosciugamento delle risorse e non di sostegno da parte dei “locali”, come si è verificato, non saremmo arrivati al punto in cui siamo arrivati.
Quello che ci inquietano –e sentiamo il dovere di denunciarlo – sono la freddezza, , talvolta il disinteresse e la pavidità, di quella parte del tessuto culturale, sociale, politico, religioso pontino che non è corrotto e colluso con le mafie ma nemmeno minimamente attivo.
E questo è grave perché comportamenti del genere rasentano, sul piano oggettivo, la collusione con le mafie. Quelle mafie che si trovano nei consigli comunali e nelle altre assisi, a tutti i livelli ed ambienti, nella Pubblica Amministrazione, nei partiti politici e così via.
Le più pericolose.