Luca Grossi 03 Ottobre 2023
Depositate le motivazioni della sentenza di condanna per l’ex senatore di Forza Italia
Il 13 dicembre 2022 è diventata definitiva la condanna a sei anni di carcere per l’ex senatore ed ex sottosegretario agli interni di Forza Italia Antonio D’Alì, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa in rapporti consolidati con i Messina Denaro, padre e figlio.
Come scritto nelle 24 pagine di motivazioni della sentenza della suprema corte depositate nei giorni scorsi (Presidente Morini Stefano e Relatore Casa Filippo) D’Alì ha “contribuito al sostegno di Cosa Nostra mettendo a disposizione le proprie risorse economiche e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di Senatore della Repubblica e di Sottosegretario di Stato presso il Ministero dell’interno, avendo ottenuto sostegno elettorale dai primi anni ’90 ed avendo intrattenuto, a fronte del richiesto appoggio, rapporti diretti o mediati con esponenti di spicco dell’associazione, tra i quali Matteo Messina Denaro, Vincenzo Virga, Francesco Pace, Antonino Birrittella e Tommaso Coppola“.
La Cassazione ha così rigettato il ricorso presentato dal legale dell’ex senatore Fabrizio Merluzzi accogliendo, invece, la richiesta del sostituto procuratore generale Simone Perrelli.
La sentenza d’Appello impugnata e ora diventata definitiva riporta che “il D’Alì ha concluso nel 2001 (dopo una invero già ventennale disponibilità verso il sodalizio mafioso) un patto (l’ennesimo) politico/mafioso con Cosa Nostra in forza del quale il sodalizio gli ha garantito l’appoggio elettorale che ha consentito all’imputato di essere nuovamente eletto al Senato (elezione che poi ha costituito da viatico per l’acquisizione dell’incarico di Sottosegretario al Ministero dell’Interno)”.
L’ex senatore, scrive la Cassazione, ha “certamente assunto degli impegni seri e concreti a favore dell’associazione mafiosa” ponendo in essere condotte di concorso esterno “in favore di Cosa nostra e di suoi esponenti apicali del calibro di Totò Riina e di Matteo Messina Denaro” e ciò è indicato dalla “sua già stabile, affidabile, comprovata e ventennale disponibilità a spendersi in favore di Cosa Nostra”.
Nelle motivazioni si legge che “non risulta che il D’Alì abbia mai reciso i propri rapporti” con l’organizzazione mafiosa e “abbia mai revocato la propria disponibilità ad agire in favore del sodalizio o di soggetti con esso collusi”.
La vicenda della Calcestruzzi Ericina e le minacce al Prefetto Fulvio Sodano
D’Alì, si legge nel documento, “si è in concreto speso per il sodalizio anche dal 2001 in poi, cercando di vanificare gli sforzi delle istituzioni di aiutare la Calcestruzzi Ericina (a tutto vantaggio di Cosa Nostra), minacciando e rimproverando il prefetto Sodano affinché smettesse di aiutare la Calcestruzzi Ericina, adoperandosi per il trasferimento del Sodano (il cui operato in favore della Calcestruzzi Ericina era inviso a Cosa Nostra e foriero di danni economici per il sodalizio), promettendo interventi in favore del Pace affinché riottenesse la disponibilità di beni sequestratigli nell’ambito di misure di prevenzione, manifestando disponibilità ad intervenire in favore delle imprese del Coppola – ancora agli inizi del 2006 – nonostante costui fosse in carcere per mafia (mentre solo in un secondo momento tale disponibilità è stata prudenzialmente – non negata o revocata ma semplicemente – rinviata a quando le ‘acque’ si fossero ‘calmate’, cioè a quando l’attenzione – dell’opinione pubblica e delle autorità amministrative e giudiziarie – sul Coppola si fosse attenuata)”.
Le accuse riportate dalla Cassazione
I giudici hanno riportato nelle motivazioni che l’ex senatore è stato accusato di “aver ceduto un terreno di sua proprietà a Francesco Geraci (prestanome di Salvatore Riina, su espresso mandato di Matteo Messina Denaro), restituendo il prezzo ricevuto attraverso la materiale dazione di somme in contanti a componenti dell’associazione criminale, con ciò contribuendo sia all’intestazione fittizia del terreno a soggetti mafiosi, sia al riciclaggio delle somme versate quale pagamento del prezzo”; “di essere intervenuto ripetutamente presso organi istituzionali ed uffici pubblici per ostacolare o inibire le iniziative a sostegno di imprese sequestrate o confiscate alla mafia, tra cui la “Calcestruzzi Ericina” s.r.I., con ciò contribuendo all’espansione economica e al controllo del mercato del calcestruzzo da parte di imprese riferibili ad esponenti mafiosi”; “di essere intervenuto, su sollecitazione di esponenti mafiosi, nel procedimento amministrativo relativo ad appalti, lavori pubblici e finanziamenti, con ciò contribuendo a rafforzare il controllo delle attività economiche da parte di Cosa nostra che su tale sostegno faceva affidamento nell’operare le proprie scelte criminal-imprenditoriali. A titolo esemplificativo, nel capo di imputazione sono citate la formazione della commissione di gara per l’aggiudicazione dell’appalto per la costruzione della funivia di Erice, la valutazione di congruità del canone di locazione della caserma dei carabinieri di San Vito Lo Capo, l’erogazione dei finanziamenti relativi al patto territoriale Trapani nord e le forniture per la messa in sicurezza del porto di Castellammare del Golfo”.
Le accuse erano state contestate dalla difesa di D’Alì che aveva chiesto l’annullamento senza rinvio ma i giudici hanno deciso diversamente contestando anche le argomentazioni fornite dai legali dell’ex senatore.
ARTICOLI CORRELATI
Tonino D’Alì, il borghese della mafia ”a disposizione” di Messina Denaro
D’Alì e la mafia, in mezzo la storia a cavallo di due secoli
In carcere l’ex senatore D’Alì, condanna definitiva a sei anni per concorso esterno
Processo D’Alì, i giudici: l’ex senatore era a disposizione di Cosa nostra fino al 2006
Condannato a 6 anni l’ex senatore di Forza Italia Antonio D’Alì