Cerca

La narrazione retorica di un Governo a caccia di ”toghe contro”

Alberto Castiglione 23 Ottobre 2024

Non è più un problema di colori evidentemente: le toghe rosse, arancioni, verde o fucsia che siano, se applicano la legge, ispirate dalla carta costituzionale e dai nostri codici, sono “contro”, lo sono e basta!
Questa è un po’ la narrazione alimentata, da diverso tempo, da un governo che, evidentemente, non fa altro -con sistematica puntualità – che attuare provvedimenti palesemente anticostituzionali per poi, una volta “richiamati” da unione europea ed opinione pubblica, dà la colpa alle opinioni politiche dei magistrati che, doverosamente, intervengono.
E allora tutti contro i “giudici rossi”, da Salvini e Tajani fino al Guardasigilli di via Arenula che, attraverso il ddl che separa le carriere, sta già preparando, e non da ora, la mossa per il contrattacco.
E’ chiaro che, al di là della retorica di cui è intrisa questa narrazione “di comodo”, c’è un principio che va chiarito, ed è quello delle opinioni politiche del magistrato: in cosa risiede la legittimazione della delega che i componenti di una comunità affidano ai loro magistrati per giudicare ed essere giudicati? Le risposte che, nella storia della giustizia, sono state date a questa domanda sono  tante, ma la prevalente, e più convincente consiste nella pretesa che essi garantiscano i loro diritti ed amministrino i loro interessi secundum ius, con impegno, professionalità ed imparzialità, cioè senza pre-giudizio dettato da posizioni o convincimenti personali o di parte.
Da qui nasce la domanda: ma un giudice per essere imparziale, cioè per rispondere correttamente a quella delega, deve anche apparire imparziale? E soprattutto: qual è il limite di una condotta da non superare per garantire l’immagine di imparzialità? Se hai un figlio licenziato per giusta causa, sarai un buon (i.e. imparziale) giudice del lavoro? Se sei in lite con il tuo condominio, lo sarai in un analogo procedimento civile? E gli esempi possono essere innumerevoli. Ma, cambiando registro: se sei orientato politicamente, se fai parte di un’associazione di volontariato per l’assistenza ai senza tetto, o ai detenuti, o ai migranti? Se scrivi articoli sui diritti delle persone LGBTQ? Sarai un buon giudice? Risponderai a quella pretesa della tua comunità che è alla base della terribile delega che ti è stata affidata?
A questo punto è la domanda delle domande si evidenzia in maniera naturale, quasi scontata: qual è il giudice ideale? Pensare che esista una risposta a questa domanda è impensabile. Come è possibile non avere idee politiche? Eppure c’è davvero chi è convinto di non averle, o almeno di averne poche e confuse. E allora sarà un buon giudice questo? Cosa sarebbe la società italiana, cosa il diritto, se non avessimo avuto figure di ‘rottura’ di orientamenti consolidati quali i pretori che contrastarono i monopoli dei petrolieri? O altri monopoli, quelli dell’informazione? O che protessero lo stesso nostro ambiente prima di qualsiasi legislazione, procedendo ad esempio contro gli inquinatori? O che elaborarono una giurisprudenza in materia di sicurezza sul lavoro alla fine tradotta in normativa? E si potrebbe continuare su argomenti quali il fine vita o la procreazione assistita. Questo breve articolo non ha la pretesa di dare risposte, risposte che forse non esistono, perchè la verità è che solo la fedeltà ed il rispetto ai valori della nostra Costituzione hanno consentito, ad una magistratura che andava sempre più abbandonando l’ingannevole mito del giudice indifferente, di spezzare cattive prassi consolidate, e di dare un senso al valore tanto mitizzato, e tanto ingannevole se declinato in astratto, d