Jamil El Sadi 04 Novembre 2024
Una salma riesumata e una moglie indagata. L’ex parlamentare di Forza Italia è stato ucciso?
La vita di Amedeo Matacena, ex armatore e monopolista dell’attraversamento dello Stretto, si intreccia con vicende politiche, mafiose e di intrighi familiari. L’ex parlamentare di Forza Italia, morto latitante a Dubai nel 2022, si è portato sottoterra una storia complessa, fatta di intrighi e misteri che, come ha scritto Alessia Candito su Repubblica, per comprenderli vanno incasellati con cura.
Negli ambienti ‘ndranghetisti, Matacena era conosciuto come “il Pelato”. Negli anni Ottanta e Novanta, mentre si muoveva tra l’élite calabrese, partecipava a summit mafiosi e sosteneva il nuovo progetto politico di Silvio Berlusconi, agevolando gli interessi dei clan nella politica nazionale. Nel settembre del 1991, inoltre, era presente quando durante un summit di ‘Ndrangheta venne comunicato che bisognava “appoggiare” il nuovo partito. Ovvero Forza Italia.
L’ex parlamentare di FI, deceduto all’età di 59 anni, per dieci anni si era rifugiato nel lusso dell’emirato tra il Burj al-Arab e il Burj Khalifa, per evitare l’arresto dopo la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, comminatagli dalla Corte d’appello di Reggio Calabria e confermata dalla Cassazione. La sua fuga dalla giustizia era quasi riuscita. Se non fosse morto improvvisamente, infatti, avrebbe potuto godere del suo immenso patrimonio da uomo libero. A giugno del 2023, la condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa sarebbe diventata inesigibile, e senza vincoli Matacena avrebbe potuto disporre delle società congelate nel corso dell’inchiesta Breakfast.
La Procura di Reggio Calabria, nelle persone del procuratore facente funzioni Giuseppe Lombardo, l’aggiunto Stefano Musolino e il sostituto procuratore Sara Parezzan, sospetta un avvelenamento e vuole vederci chiaro; anche sulla morte della madre dell’ex parlamentare, Raffaella De Carolis, avvenuta tre mesi prima, sempre negli Emirati Arabi. Per entrambi i decessi e per altri reati è indagata Maria Pia Tropepi, con la quale Matacena si sarebbe sposato con il rito islamico pochi mesi prima della morte.
Di Matacena e della signora De Carolis, di certo c’è solo che sono morti. Nuove indagini sono state aperte alla ricerca di possibili avvelenamenti e controversie ereditarie. Il patrimonio di Matacena era gestito tramite società all’estero, ora al centro di indagini per presunti falsi testamenti e operazioni illecite legate alla latitanza.
Il 1° ottobre, la salma di Amedeo Matacena, sepolta nella cappella della famiglia dell’ex moglie Alessandra Canalenel cimitero di Minturno, in provincia di Latina, è stata riesumata su disposizione della Procura della Repubblica di Reggio Calabria e trasferita nell’istituto di medicina legale della Sapienza, dove l’anatomo-patologo Aniello Maiese e la tossicologa Maria Chiara David l’hanno sottoposta ad autopsia. A destare sospetto sono state le condizioni ‘anonime’ in cui è stata trovata la salma: nessun nome, nessuna lapide e un mazzo di fiori finti; la bara aveva ancora i sigilli del consolato di Dubai.
Tropepi è sospettata dalla Procura di Reggio di aver favorito la latitanza del marito e di aver cercato di garantirsi l’eredità. Come ha sottolineato Alessia Candito su Repubblica, la rete di protezione di Matacena annoverava anche personaggi del calibro dell’ex ministro Scajola e del faccendiere Vincenzo Speziali, entrambi coinvolti in indagini giudiziarie.
Anche Martino Politi risulta indagato nell’ultima inchiesta. Si tratta dell’amministratore di fatto di una delle “teste” italiane della holding di Matacena. La procura antimafia di Reggio gli contesta un falso in testamento olografo e l’indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti. Una vicenda che, probabilmente, interessa la vendita della nave Athos, che per anni è stata ormeggiata al porto di Reggio Calabria.
Una delle piste più importanti per la nuova indagine è senza dubbio quella del passaporto nigeriano di cui era in possesso Matacena. Emesso il 15 gennaio 2020 e valido fino al 14 gennaio 2025, era nella disponibilità dell’ultima moglie. Gli investigatori stanno indagando sull’autenticità del documento. Quel passaporto potrebbe essere stato il lasciapassare che ha permesso a Matacena di continuare a muoversi e fare affari.
Tornando all’eredità di Matacena, c’è un dato che ha scatenato le polemiche di Tropepi: il certificato di matrimonio. Quest’ultimo, infatti, porta nell’intestazione “Repubblic of Kenya”. Secondo il legale della donna, “il rito religioso con il quale la mia assistita si è legata al compianto Amedeo Matacena si è svolto regolarmente ed è stato officiato da un Ministero di culto Keniota”. “Il certificato – ha aggiunto il difensore – reca nell’intestazione Republic of Kenya in ragione della nazionalità dell’officiatore (l’imam, ndr)
Secondo gli inquirenti, però, c’è da accertare se nei suoi ultimi due anni di vita Matacena si sia allontanato dal suo “rifugio dorato” di Dubai e se sia stato aiutato nella sua latitanza anche dopo l’inchiesta del 2014, che aveva coinvolto addirittura l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, condannato in primo grado e poi prescritto in Appello nell’ambito del processo “Breakfast”, dove era imputato per procurata inosservanza della pena a favore dell’ex parlamentare di Forza Italia.
Il caso Matacena svela un sottobosco politico e criminale fatto di accordi con la ‘Ndrangheta e influenze su un sistema che ha mescolato interessi mafiosi, imprenditoriali e politici. Gli inquirenti indagano su possibili complicità anche internazionali, coinvolgendo personaggi legati al Libano e alla politica italiana. La vicenda è considerata un tassello di un più ampio mosaico di alleanze tra la ‘Ndrangheta e pezzi delle istituzioni italiane negli anni delle stragi mafiose. Non un semplice “soggetto in odor di mafia”, ma – secondo la Procura di Reggio Calabria – un vero e proprio “riservato” della mafia calabrese: un uomo di riferimento, a disposizione dei clan e in grado di muoversi ad altissimi livelli in diversi ambienti per conto dell’élite della ‘Ndrangheta.
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