Due cerimonie e i manifesti commemorativi finiscono nelle informative della Polizia. Uno dei “capi” celebrato come «uomo d’onore» e il conto saldato dalla cosca
Pubblicato il: 20/04/2023 – 14:37
di Pablo Petrasso
CATANZARO La carrozza è trainata da quattro cavalli bianchi condotti da due cocchieri. La banda musicale suona la colonna sonora del film “Il Camorrista”. È il 6 giugno 2016 e la chiesa di Santa Maria, nel quartiere di viale Isonzo, è strapiena. Si celebrano i funerali di uno dei capi della comunità rom, morto per cause naturali. Questione privata che finisce nelle carte dell’inchiesta sulla cosca dei rom di Catanzaro per il suo valore simbolico. Per i magistrati della Dda del capoluogo le cerimonie funebri sono un elemento «che qualifica il clan», un «momento nel quale convergono le diverse anime della consorteria, per manifestare rispetto nei confronti dei defunti e delle famiglie». La cerimonia funebre secondo gli inquirenti sarebbe «avvenuta con le stesse modalità in cui vengono fatti gli onori a un vero e proprio capi di ‘ndrangheta o di mafia». La Dda sottolinea le «polemiche» e l’«imbarazzo istituzionale per l’eccesso di sfarzo e pomposità», poi evidenzia alcuni frame estrapolati da un video pubblicato su YouTube e divenuto, all’epoca, virale.
Il divieto deciso da Abramo dopo le polemiche
Un articolo di “Catanzaro Informa” che appare nella richiesta di misure cautelari racconta che «l’utilizzo di carrozze, nei quartieri a Sud della città, tanto per cerimonie funebri quanto per quelle nuziali, è sempre stato un fatto normale, un fatto che fa parte della tradizione della comunità». Il collegamento con i funerali dei “capi” dei Casamonica a Roma è immediato. Il sindaco Sergio Abramo interviene con un’ordinanza, firmata il 9 giugno, che ordina «il divieto su tutto il territorio comunale per motivi di ordine pubblico di svolgere i cortei funebri a piedi e mediante veicoli e/o altri mezzi; di effettuare il trasporto della salma su qualsiasi altro mezzo che non sia l’auto funebre in dotazione delle agenzie/imprese funebri».
Il defunto celebrato un anno dopo come «uomo d’onore»
Un anno dopo, il 4 giugno 2017, sempre nell’area di Catanzaro Sud, appaiono manifesti funebri che annunciano la ricorrenza del nomade scomparso, «rinnovando alla cittadinanza la figura di “uomo d’onore” del defunto». Questo il passaggio appuntato dagli inquirenti: «Attraverso questa pubblicazione, la comunità nomade ha voluto ulteriormente inviare un messaggio a dimostrazione dell’esistenza, al loro interno, di persone che rivestono un “prestigio” e godono di una “fama” paragonabili a personaggi appartenenti a delle consorterie di ‘ndrangheta».
Il conto del funerale pagato dal clan Bevilacqua Passalacqua
Tre anni più tardi: altro funerale e nuove informative. Muore un 30enne, «nipote del boss Luigi Vecceloque Pereloque», e le intercettazioni riportano le reazioni della comunità alla richiesta della polizia. Gli agenti avevano infatti «contattato il responsabile delle onoranze funebri e il patrigno del giovane ammonendoli affinché la cerimonia si svolgesse senza la presenza della banda musicale», senza «cavalli, evitando di gettare fiori in strada ed effettuare processioni con il defunto in spalla». Le conversazioni intercettate avrebbero poi svelato che «l’intero costo del funerale» sarebbe stato «pagato dal loro clan (il clan Bevilacqua-Passalacqua, ndr), come atto di solidarietà». Per i magistrati è un fatto che «ha rappresentato ulteriormente il vincolo associativo tra i membri della consorteria».
I pm: «Nelle cerimonie si manifesta rispetto per la famiglia»
Nelle considerazioni di sintesi sul “capitolo” dei funerali i pm antimafia sottolineano che «questo aspetto costituisce un ulteriore tassello rispetto al tema di prova». Al di là della «valenza meramente folkloristica», per l’accusa «i funerali costituiscono sicuramente una manifestazione di vitalità del clan». «Questo – continua il ragionamento – costituisce sicuramente un indice fattuale significativo della forza delle consorterie mafiose, poiché quello è il momento nel quale deve essere manifestato rispetto nei confronti della famiglia del detenuto e nel quale convergono esponenti di altre famiglie, per manifestare la propria vicinanza. È sicuramente un dato che contribuisce a cementare i rapporti tra i sodali». (p.petrasso@corrierecal.it)