Casapesenna, arrestati gli intoccabili di Zagaria
Nessuno del clan poteva avvicinarli, a proteggere A. E. e i fratelli G.D. e R.D. c’era il boss. Il pentito Pellegrino: “Ripulivano i soldi della cosca con l’attività edilizia”
Di Giuseppe Tallino -22 Gennaio 2021
CASAPESENNA – Erano ‘intoccabili’. Nessuno del clan poteva avvicinarli, perché a proteggerli c’era Michele Zagaria: A. E. e i fratelli Diana per la sua cosca avrebbero svolto un ruolo importantissimo. Quale? La holding toscana e il sistema di false fatturazioni che avevano messo in piedi, alla mafia casertana, dice la Dda, garantivano liquidità e un canale solido per investire al nord. Insomma, erano funzionali, preziosi e per questa ragione andavano tutelati.
I tre imprenditori, insieme a Guglielmo De Mauro, mercoledì mattina sono stati arrestati dalle fiamme gialle di Firenze e dallo Scico di Roma. Adesso, in attesa di essere interrogati dal Gip, si trovano nel carcere di S. Maria Capua Vetere con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata a commettere frodi per agevolare i Casalesi.
A puntellare la tesi degli inquirenti, coordinati dal procuratore Giuseppe Creazzo, ci sono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Michele Barone, ex affiliato degli Zagaria, ai pm della Dda di Firenze, a giugno del 2017, ha parlato di A.E. detto ‘o surcillo. “Si era trasferito al nord – ha raccontato il pentito – e ogni volta che tornava a Casapesenna faceva un regalo a noi del clan, anche in denaro, nei periodi di Pasqua, Natale e Ferragosto. In un’occasione Michele Zagaria ci disse che questa persona non doveva fare alcun regalo al clan e che doveva essere lasciato stare, lasciando intendere che era a lui collegato direttamente”.
L’anno successivo Barone è tornato sul tema: “Venni anche a sapere che si era avvicinato con Antonio Ardente e Pasquale Piccolo a Nicola Schiavone per gli affari illeciti del clan nel nord Italia, in particolar modo nel settore della falsa fatturazione”.
Su Antonio ‘o surcillo ha riferito nel 2018 pure Giuseppe Misso, killer dei Casalesi: “L’ho incontrato nel 2013, nel periodo natalizio insieme a Giuseppe Garofalo e Raffaele De Luca, appartenenti al gruppo di Zagaria. Se non erro stava in Toscana – ha spiegato il pentito – ed era il collettore di denaro per conto del clan in quel territorio che poi riversava nelle mani di Giuseppe Garofalo. Nell’occasione mi incontrai proprio con Giuseppe Garofalo (‘o marmular, fratello di Giovanni, ndr) per parlare degli investimenti di Michele Zagaria in Toscana e del denaro che doveva confluire nella cassa del clan. E Garofalo si accompagnava con tale persona (Esposito, ndr). Lui, così come altri che si trovavano in Toscana o in Emilia Romagna, consegnavano una somma di denaro che entrava nelle casse del clan tramite Garofalo”.
Anche i fratelli Diana sono legati ai marmulari. E a rimarcarne la parentela è stato Barone: “Peppe ‘o biondo (G.D., ndr) – ha dichiarato il collaboratore – era una persona organica al clan. La sua era una famiglia che non si poteva toccare, nel senso che non potevamo chiedergli estorsioni”.
Il profilo di G.D. tracciato dalla Dda è quello di un comune colletto bianco. Ma secondo il collaboratore si sarebbe anche sporcato le mani (fisicamente) partecipato ad un raid di piombo. “Giovanni Garofalo – ha raccontato – insieme a Peppe ‘o biondo andò a sparare dei colpi di pistola fuori l’abitazione di un ragazzo di Casapesenna e di un altro soggetto”.
G.D., fidanzato della figlia di Elvira Zagaria (sorella del capoclan Michele), è stato accusato anche da Attilio Pellegrino, ex cassiere del gruppo Zagaria: “Ripuliva i soldi del clan attraverso le attività edilizie. Come ritorno di utilità, il gruppo riceveva dal Diana il 50 percento degli utili delle attività imprenditoriali”.
Cemento a parte, Esposito e i cugini dei Garofalo si sono dedicati pure alla costruzione di una holding capace di controllare una rete di società cartiere usate per emettere fatture per operazioni mai eseguite. In questo modo avevano la possibilità di procurarsi liquidità. “Le cartiere – ha chiarito Pellegrino – emettevano fatture nei confronti del Diana, il quale riprendeva la provvista decurtata della provvigione e versava a noi il 50 percento di quello che aveva monetizzato esclusivamente in contanti”.
I pentiti si sono concentrati anche su Guglielmo Di Mauro. A tirarlo in ballo è stato Nicola Schiavone, primogenito del capoclan Francesco Sandokan: “Aveva diverse società e si occupava di questo sistema della falsa fatturazione. Era un punto di riferimento del clan in questo settore criminale che ci consentiva di creare provviste di denaro a nero. Guglielmo era un nostro affiliato, non dal punto di vista militare, ma dal punto di vista economico”.
Parole che vengono confermate da Generoso Restina, ex vivandiere di Zagaria “Era a disposizione di tre gruppi criminali, così come Ferri (Vincenzo, coinvolto in un’altra indagine per concorso esterno ai Casalesi) e tale Enzo Galluccio di Gricignano. Guglielmo si occupava del cambio assegni, anche soprattutto del sistema delle false fatturazioni, mediante il quale riciclava i soldi illeciti delle cosche tramite operazioni finanziarie anche all’estero”.
Fonte:https://cronachedi.it/2021/01/22/casapesenna-arrestati-gli-intoccabili-di-zagaria/