Cassazione conferma le condanne ai fedelissimi di Messina Denaro
AMDuemila 07 Luglio 2021
La suprema corte ha rigettato o dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dagli avvocati difensori e confermato in via definitiva altre 8 condanne inflitte lo scorso anno dalla Corte di appello di Palermo nei confronti di uomini accusati di essere fedelissimi di Matteo Messina Denaro. La pena più alta – 15 anni di reclusione – è stata inflitta a Vincenzo Marrella, 66 anni di Montallegro. Dodici anni ciascuno, invece, sono stati inflitti ad Antonino Abate, 34 anni, di Montevago; Stefano Marrella, 65 anni, di Montallegro; l’omonimo Vincenzo Marrella, 47 anni, di Montallegro e Francesco Tortorici, 42 anni, di Montallegro. Ad Antonino Grimaldi, 54 anni, di Cattolica Eraclea, i giudici hanno inflitto 13 anni. Quattro anni ciascuno, infine, a Carmelo Bruno, 53 anni e Roberto Carobene, 44 anni, entrambi di Motta Santa Anastasia. Il processo è scaturito nell’ambito della maxi inchiesta antimafia, eseguita dalla Squadra mobile, denominata “Icaro” con la quale è stata smantellata fra il dicembre del 2015 e i mesi successivi la nuova organizzazione mafiosa agrigentina intenta a riprendersi dopo i pensanti colpi subiti dall’operazione “Nuova Cupola” e della cattura dei super latitanti Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina. Altre dodici condanne sono diventate definitive. In appello c’era stata una riduzione di pena per quasi tutti gli imputati. I difensori (fra gli altri gli avvocati Antonino Gaziano, Barbara Garascia, Teo Caldarone e Michele Giovinco) hanno impugnato il verdetto in Cassazione dove, con motivazioni differenti, è stato confermato. Inoltre l’inchiesta aveva svelato il ruolo in seno a Cosa nostra di alcuni personaggi della vecchia Mafia, rimasti sempre in auge. Un’intercettazione eseguita dal Ros, talmente riservata da restare a lungo secretata anche dopo l’esecuzione dell’ordinanza, rivelava che il boss Pietro Campo (condannato a 14 anni nello stralcio abbreviato del processo) aveva incontrato il capomandamento Leo Sutera e che gli aveva raccontato in quell’occasione di avere incontrato il superlatitante Matteo Messina Denaro. Le telecamere a distanza della polizia hanno documentato il colloquio in aperta campagna, avvenuto il 22 maggio del 2012, con tutti i commenti dei due protagonisti. Tuttavia il gli sviluppi investigativi successivi non hanno portato all’esito sperato. Il Ros, che indagava sul legame fra le famiglie agrigentine e quelle trapanesi, aveva chiesto alla Dda di rendere segreta quella nota perché conteneva indicazioni preziose sulla localizzazione del latitante.