Il dispositivo della sentenza è stato letto a notte inoltrata, dopo quindici ore di camera di consiglio, un caso da inserire nella lista delle più lunghe camere di consiglio della storia della giustizia napoletana. La sentenza è stata di condanna per i boss di San Giovanni a Teduccio che sono però già tutti liberi in questo processo, per via della scarcerazione per decorrenza dei termini decisa tra maggio e giugno del 2015 perché si erano superati i cosiddetti termini di fase, cioè i tempi per il processo di primo grado, non potendo includere nel calcolo i due mesi e 23 giorni di astensione dalle udienze complessivamente accumulati per gli scioperi degli avvocati.
Il processo. Questo al clan D’Amico, per le estorsioni imposte costringendo commercianti e imprenditori ad acquistare i loro gadget a prezzi tutt’altro che convenienti e per altre attività illecite legate anche al traffico di droga, è stato infatti un dibattimento lunghissimo, con un gran numero di testimoni da ascoltare, tra le vittime delle estorsioni, i collaboratori di giustizia, gli investigatori che curarono le indagini, e poi ancora per le intercettazioni da analizzare e le perizie sulle trascrizioni. Iniziato nella primavera 2012, il processo si è concluso ieri. Stabilire le condanne non deve essere stato facile, visto che i giudici sono rimasti in camera di consiglio circa quindici ore e solo intorno all’una e mezza di notte sono usciti con il verdetto. Ad assistere alla lettura del dispositivo in aula c’erano il pubblico ministero della Dda Francesco De Falco, qualche avvocato della difesa, una decina di parenti degli imputati e i boss collegati in videoconferenza.
La sentenza. Trenta anni di carcere è stata la pena decisa per Luigi D’Amico e ventisette anni quella per Gennaro D’Amico, entrambi considerati al vertice del clan camorristico che porta il nome di famiglia e già in carcere per altri reati. Diciannove anni di reclusione, invece, è stata la condanna che ieri i giudici hanno deciso per Salvatore D’Amico, alias ‘o pirata, tornato in libertà per decorrenza termini a giugno 2015 e salito alle cronache quando, in occasione degli arresti avvenuti il 14 giugno 2011 nell’ambito dell’inchiesta dell’Antimafia su racket e camorra, uscendo in manette dalla caserma, baciò sulla bocca il figlio minorenne con un gesto plateale e pieno di significati nel gergo della malavita. L’elenco delle condanne prosegue con i 26 anni e 6 mesi di reclusione per Ciro Ciriello, 10 anni per Vincenzo Acampa, 11 anni per Antonio Boccia, 13 anni per Gennaro Improta, 13 e mezzo per Giovanni Improta, 12 anni per Umberto Luongo, 13 anni e sei mesi di carcere per Antonio e Luigi Marconicchio, stessa pena per Maria e Salvatore Marigliano, Marco Notturno e Luigi Varlese. L’assoluzione è stata decisa per Umberto D’Amico, Emanuele Balzano, Salvatore Corrao, Antonio Reale e Ciro Russo.