Da Iacchite -25 Ottobre 202
(di Davide Milosa – ilfattoquotidiano.it) – Dollarino, al secolo Emanuele Gregorini uomo del clan campano-romano diretto da Michele Senese, non ha dubbi: “Qua è Milano! Non ci sta Sicilia, non ci sta Roma, non ci sta Napoli, le cose giuste qua si fanno!”. Dollarino sta parlando con Gioacchino Amico, siciliano con residenza lombarda, vicino ai Senese e agli uomini di Cosa nostra, sia palermitani che trapanesi. Amico aggiunge: “Abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzare tutto da Milano, passando dalla Calabria da Napoli ovunque”. Le ambientali nascoste negli uffici della Seven Space di Busto Garolfo registrano tutto e fissano un punto: oggi esiste un sistema mafioso lombardo che raggruppa clan siciliani, calabresi e campani in una unica associazione, che condivide affari e società, gestite da professionisti comuni. E’ questa la rivoluzione copernicana proposta dalla procura di Milano, dal pm Alessandra Cerreti e dal Nucleo investigativo dei carabinieri di via Moscova diretto dal colonnello Antonio Coppola.
La federazione della mafia sotto al Duomo – Non più dunque diverse associazioni, ma una super-associazione al cui tavolo milanese siedono i rappresentanti più influenti di Cosa nostra, ndrangheta e camorra. Una federazione, insomma, o meglio, come si ascolta nelle intercettazioni, “il consorzio”, termine già usato negli anni Novanta proprio per descrivere un’altra federazione mafiosa cresciuta e nata sotto al Duomo. Così come ha spiegato il pentito Salvatore Annacondia, detto manomozza riferendosi al passato: “Il Consorzio era la mamma di tutti i gruppi. Una realtà che andava oltre la ’ndrangheta e ricomprendeva ‘ndrangheta, pugliesi, siciliani, campani. Milano e la Lombardia erano la terra di elezione di questo Consorzio”. E se allora erano quintali di droga, oggi sono milioni di euro. I protagonisti di questo nuovo patto hanno in testa un solo obiettivo: fare soldi senza creare allarme sociale, e intimidendo solo quando è proprio indispensabile.
I nomi degli arrestati – Ora l’ipotesi dell’accusa è stata bocciata dal giudice per le indagini preliminare Tommaso Perna che nella sua ordinanza di oggi, circa duemila pagine (scritta a partire da aprile), ha accolto undici richieste di arresto su ben 153 proposte dalla Procura in una richiesta monster di oltre cinquemila pagine. Finiscono così in galera: Gioacchino Amico, Francesco Bellusci, Rosario Bonvissuto, Giacomo Cristello, Giuseppe Fiore, Pietro Mazzotta, Dario e Francesco Nicastro, Massimo Rosi, Sergio Sanseverino, Giuseppe Sorce. I reati contestati a vario titolo sono: porto d’armi, due estorsioni aggravate dal metodo mafioso, una minaccia aggravata, traffico di droga, spaccio, ed evasione fiscale. Un dato senza precedenti e certo incomprensibile, visti gli atti dell’indagine, che non sminuisce la ricostruzione del pm, il quale contro questa ordinanza ha già proposto appello al tribunale del Riesame di Milano. Il gip ha disposto il sequestro di oltre 200 milioni di euro. Centinaia le perquisizioni in corso. Mentre la Procura sta notificando ai 154 indagati l’avviso di conclusione indagine.
Le cinque derivazioni del sistema – L’accusa individua ben cinque derivazioni che compongono il nuovo sistema mafioso lombardo. Da qui il nome dell’indagine: Hydra. L’inchiesta nasce a partire dal monitoraggio sulla riattivazione della locale di ‘ndrangheta a Lonate Pozzolo e si allarga seguendo un caso di lupara bianca. E cioé la scomparsa di Gaetano Cantarella, legato al clan Mazzei di Catania, ma secondo il pentito Emanuele De Castro collegato a Massimo Rosi, il quale su ordine del boss Vincenzo Rispoli, stava riattivando la locale di Lonate. Sceso a Catania il 3 febbraio 2020 e dopo aver incontrato Gioacchino Amico, Cantarella detto Tanu u Curtu scompare per sempre. Il fatto è rilevante perché apre nuovi scenari alla Procura che inizia a ricostruire le componenti del Consorzio. La prima è quella palermitana rappresentata da Giuseppe Fidanzati, detto Ninni, figlio del defunto Gaetano, già a capo del mandamento dell’Arenella, e da suo zio Stefano Fidanzati, ritenuto oggi il reggente del clan a Palermo. La componente trapanese porta il nome di Bernardo Pace e dei suoi due figli.
L’ombra di Messina Denaro – E poi c’è quella di Castelevetrano legata all’ex latitante Matteo Messina Denaro (catturato il 16 gennaio 2023 a Palermo) e rappresentata dal suo parente Errante Parrino, boss alla vecchia maniera che da decenni dirige i suoi affari dai tavoli del bar Las Vegas di Abbiategrasso e che qui incontrerà, con Denaro ancora fuggiasco, Antonio Messina detto l’avvocato, uomo vicinissimo all’ex primula rossa che stando alle indagini era coinvolta direttamente nella gestione degli affari lombardi. E questo per due motivi: la vicinanza diretta di Errante ai familiari del boss e diversi incontri che si tengono in Sicilia tra i protagonisti principali del Consorzio e Antonio Messina. Uno, quello del 2 febbraio, si terrà a Campobello di Mazara al bar San Vito a cento metri dal luogo che poi si scoprirà essere uno dei covi di Matteo Messina Denaro. Di Castelvetrano sono anche gli imprenditori Rosario e Giovanni Abilone che mettono a disposizione del cartello oltre duecento società, anche estere, per riciclare denaro e accumulare milioni di euro con crediti fittizi. Poi ci sono i fratelli Nicastro, legati alla mafia di Gela, da anni presenti nella zona di Varese, i catanesi della famiglia Mazzei, già collegati alla ‘ndrangheta. In particolare alla locale di Lonate Pozzolo, rinata per volere del boss Vincenzo Rispoli, oggi in carcere, e grazie all’opera di Massimo Rosi. La parte reggina è rappresentata dalla famiglia Crea, Santo e il figlio Filippo, legati alla cosca Iamonte di Melito Porto Salvo, storicamente insediata nell’area brianzola di Desio. Infine la parte romana, certo la più numerosa, rappresentata da Vincenzo Senese, figlio di Michele e presente a Milano in moltissime occasioni, dallo stesso Amico e da Giancarlo Vestiti, il quale prima del suo arresto era l’uomo-cerniera per tenere assieme tutti i gruppi. Tanto che Filippo Crea gli dirà: “Guardate che voi siete al centro siete come epicentro di molti equilibri – voi siete l’epicentro di molti equilibri, per i figlioli, per noi per tutti!”.
Cosa nega il giudice – Eccolo allora il Consorzio che si riunisce, decide, apre società con capitali interamente versati da oltre 300 milioni di euro (International petroli spa) , investe nel settore petrolifero, lucra sull’Ecobonus, sul Covid, tra Dpi e sanificazioni, e anche si infiltra all’Ortomercato, nelle Rsa e nei parcheggi di notissimi ospedali lombardi, pubblici e privati, appalti anche all’interno delle carceri, aggancia parlamentari di Fratelli d’Italia, tiene rapporti con i sindaci, con esponenti regionali della Lega e anche con personaggi come Lele Mora. Eppure per il giudice non c’è mafia. Non solo: per supportare la bocciatura del Consorzio si arriva a negare la presenza (storicamente accertata) in Lombardia del clan Fidanzati o degli Iamonte. Manca, si legge nell’ordinanza, la forza d’intimidazione tipica dell’associazione mafiosa.
Facce da matrimonio – Dimentica, forse il giudice, che anche altri elementi mostrano l’esistenza dell’associazione. I matrimoni ad esempio. E qui le intercettazioni fissano un dialogo storico. A parlare è Gioacchino Amico assieme alla compagna. Stano organizzando il pranzo del loro matrimonio e stilano la lista degli invitati. “I sanlucoti li possiamo mettere in campagna, che sono due famiglie, cognati”. E i romani, Vincenzo Senese e Dollarino. “Quelli di Roma non vengono? – E certo che vengono!”. E poi c’è Enrico Nicoletti, nipote omonimo del cassiere della Banda della Magliana: “A sto piccolino l’ho cresciuto io”. E poi il clan Fidanzati: “Ma Zi Ninni stesso! Il padre di Acquasanta! Ninni! Lo zio Stefano, il fratello di Acquasanta la bonanima!”. E poi Antonio Romeo, nipote del boss Romeo U staccu di San Luca, parente di Giuseppe Giorgi detto “la capra”: “Giorgi! Il parente della “Pecora“, quello che hanno preso latitante, quello che era capo là, reggente di “Gambazza” Che ci posso fare io! Se è mio compare! Lavoriamo insieme!”. E poi “tutti quelli di Castelvetrano”. E qui la compagna chiede ad Amico: “E parlando del latitante, Antonio Messina, che dobbiamo fare?”. Senza dimenticare i napoletani e Giancarlo Vestiti, indagato e ritenuto al centro degli affari del Consorzio: “Un bordello ci sarà! La famiglia di Giancarlo che gli dici no? Quelli di Secondigliano, quelli di Torre Annunziata! E qua siamo”. Sarà presente anche Massimo Rosi, l’uomo che ha ricostituito la locale di Lonate-Pozzolo. Alla fine di questo elenco, Amico confessa, secondo l’accusa, l’esistenza stessa del Consorzio: “Minchia napoletana è! Calabrese è! Siciliana sei! Che minchia devo fare di più di questo! Per davvero con l’elicottero devono venire (le forze dell’ordine, ndr) questa giornata! E se vengono con il drone, che minchia vogliono! Mi sto sposando!”.
Il Consorzio a pranzo – I matrimoni, dunque, ma anche i cosiddetti summit. Tutto avvalorerebbe l’ipotesi del nuovo Consorzio. I carabinieri coordinati nelle indagini dal tenente colonnello Cataldo Pantaleo, uno non nato ieri, uno che ha fatto tutta l’indagine Infinito del 2010, uno che conosce nomi, fatti, circostanze della mafia a Milano, registrano e filmano ben 21 incontri all’interno degli uffici delle società riconducibili in buona parte ad Amico. Incontri tra Dairago, Busto Garolfo, Abbiategrasso, Cinisello Balsamo, Inveruno. E uno che si tiene nel terreno di Castano Primo di Giacomo Cristello, uomo di fiducia di Rosi e, secondo l’accusa, affiliato alla locale. Si tratta di una vera e propria “mangiata” che i carabinieri riescono a filmare per intero e alla quale partecipano calabresi e siciliani, tutti ricompresi negli assetti del Consorzio.
Gli affari immobiliari – Gli affari, poi, il bonus facciate, il cosiddetto 110, gestito per conto del gruppo dal siciliano Pietro Mannino, persona vicina ai Fidanzati. Tra i vari lavori anche quelli nel carcere di Vigevano, grazie alla conoscenza dei Crea con l’ex vicesindaco Antonello Galiani (non indagato) da poco nominato vice commissario regionale per Forza italia. E sempre grazie ai contatti di Galiani, i Crea, per conto del Consorzio, progettano la ristrutturazione di oltre duemila alloggi popolari in Piemonte. In via generale, le parole di Amico chiariscono ulteriormente il quadro: “Faremo l’immobiliare, acquisteremo tutte le cose che ci va a costare, asse non asse…costruiremo tutto…sempre dove con i proventi di Milano, Milano…con i proventi di Roma, Roma.. con i proventi di Calabria, Calabria…con i proventi di Sicilia, Sicilia…certo così noi sul territorio non abbiamo discordanze…tu prendi i soldi da Milano da investire a Roma”.
I rapporti con la leghista Rizzi – Sempre lo stesso Amico per programmare i lavori di sanificazione Covid in Regione Lombardia si interfaccia con Monica Rizzi (non indagata), già assessore al Pirellone, leghista della prima ora. Dice Amico: “Quel lavoro sarà solo mio amore..lo sai?”. Risponde il politico leghista: “Ovviamente ci sono anche degli Assessori che hanno..eee..degli interessi però tu mi dai una presentazione cartacea..fatta bene..dell’azienda..ok?”. Con una delle tante società riferibili ad Amico, la Logistica 2000 in cui sarà assunto Giuseppe Fidanzati, il gruppo ottiene la gestione dei parcheggi all’interno dell’Humanitas di Bergamo, dell’ospedale di Desio e della esclusiva clinica privata milanese Columbus, dove effettuano le visite mediche i calciatori del Milan. Infiltrazione che però non passa inosservata. Tanto che in una intercettazione si ascolta: “Questi son convinti che la mala si è presa tutto il parcheggio, no questi sono convinti che i parcheggi ce li ha in mano la mafia”. Alla faccia della non visibilità la cui presunta assenza secondo il gip è motivo per bocciare l’idea del Consorzio.
“Eravamo io, Lele Mora e Dell’Utri” – Ma proseguiamo. Nella lista delle infiltrazioni, non manca certo l’Ortomercato di Milano. Qui si registra tra l’altro l’amicizia tra Giancarlo Vestiti e l’ex direttore generale di Sogemi, la società pubblica che controlla la struttura, tra le più grandi d’Europa, Stefano Zani, già arrestato nel 2019 in una inchiesta per corruzione. Con Zani, il proconsole a Milano del boss Senese ha rapporti confidenziali. Tanto che l’ex dirigente pubblico gli racconta la vicenda di una cena: “Volevo far ridere Giancarlo perché siamo andati l’altra sera a cena no…dalla mia amica che è l’avvocato (…) e allora sembrava le mie prigioni no, poi gli manderò la foto…c’ero io Lele (Mora) e Dell’Utri”. Inoltre da segnalazioni di Banca d’Italia emerge che Amico, attraverso sue società, ha preso lavori per oltre 3 milioni di euro.
Gli affari coi crediti Iva – E poi ci sono crediti fittizi con l’erario venduti con denaro incassato in contanti e frutto di fatture per operazioni inesistenti emesse dagli imprenditori lombardi. Su questo fronte, l’epicentro è l’ufficio di Cinisello Balsamo riconducibile ai Pace. Una vera banca clandestina, dove i carabinieri filmano centinaia di mazzette che passano da una mano all’altra e finiscono ai Pace e in parte ai fratelli Abilone: in quattro giorni oltre centomila euro. Gli stessi Pace, a dimostrazione di una rete di rapporti, prometteranno di corrispondere il 10% degli incassi mensili a Paolo Errante Parrino, il boss silenzioso. Ed è grazie ai crediti d’Iva che gli stessi Abilone creeranno il gioiello societario da mettere a disposizione del nuovo sistema mafioso lombardo. Si tratta della International Petroli spa con sede spostata da Milano a Roma. E nelle cui casse come capitale sociale vengono accreditati oltre 300 milioni di euro, frutto di crediti d’iva in mano agli stessi Abilone.
“Il primo che sbaglia prende un colpo di pistola” – Il loro sistema è così descritto dal pm: “Gli Abilone utilizzano 200 ‘società cartiere’ ubicate sia nel territorio nazionale che all’estero, al fine di generare fittiziamente crediti d’imposta, sfruttando anche le opportunità che fornisce la normativa del Reverse Charge, applicata negli scambi commerciali comunitari tra società nazionali e società estere”. Intercettato Abilone spiega ai Pace: “Qua c’è tutto il mio archivio”. Al che l’altro risponde: “Minchia questo computer ci rovina a tutti”. Abilone lo rassicura: “ Io non sono come gli altri, io con questa… oh! (mostra la chiavetta usb che si passa dalla mano sinistra alla mano destra) c’hai duecento società qua dentro, oh! Questa qui sta fuori di casa, ne ho tre copie per sicurezza, ogni tanto l’aggiorno, non saprà mai nessuno del rapporto tra me e te, nessuno!”. Per creare la provvista della International, Abilone sposta oltre 200 milioni di crediti da una sua società già finita indagata in passato e li gira a una società americana, la Phoneix Llc che a sua volta controlla la londinese Sirio Group che detiene le quote della International Petroli. L’obiettivo della società è quello di “realizzare un imponente apparato societario strumentale all’evasione dell’IVA generata dalla commercializzazione di prodotti petroliferi”. Il commento di Abilone sulla Petroli spa da solo rappresenta l’intera vicenda societaria gestita dagli uomini del Consorzio: “E’ giusto che lo sai perché io rispetto a tutti gli altri, il primo che sbaglia qui prende un colpo di pistola, non ci sono chiacchiere… perché qui nessuno… siamo gli unici in Italia a lavorare con 250 milioni di sospensione di Iva”.
Il nuovo Mondo di mezzo – Insomma, ci troviamo davanti al nuovo mondo di mezzo. Dove il mutuo soccorso dagli atti d’indagine risulta chiaro. Come avviene per l’episodio di un imprenditore che per non farsi portare via la società chiede aiuto a un calabrese, dopodiché ne parla con Vestiti, il quale, rispondendo, svela l’essenza stessa del Consorzio: “Hai visto quello? Io sono della Jonica, ehee sei della Jonica, come ha sentito che era un compare mio ehee…ho detto ma quello è una famiglia con me..! Mongoloide, quello si siede al tavolo con me per decidere le cose, lo sai? Mongoloide. E quello glielo dice? Quello si siede al tavolo e decide le cose insieme a me? Ah? E’ uno di quei tre o quattro che si siede con me, lo sai tu questo?” Non lo sai. “E tu gli hai detto di no, a posto”.