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Dal calvario al coraggio: la storia di Lea Garofalo continua a ispirare la lotta alle mafie

Giuseppe Cirillo 24 Novembre 2024

Un sacrificio che ha suscitato interrogativi sulla reale capacità dello Stato di proteggere chi si ribella alla mafia

Sono trascorsi 15 anni dalla morte di Lea Garofalo, la giovane donna coraggiosa che ha deciso di sfidare la ‘Ndrangheta, il cui ricordo oggi rivive nelle battaglie di chi continua a lottare contro le mafie. Da giovane madre della piccola Denise, concepita insieme a Carlo Cosco, uomo di ‘Ndrangheta, Lea decide di sottrarre sua figlia a una vita terribile che aveva già segnato in maniera profonda la sua infanzia e adolescenza. Garofalo, infatti, era cresciuta in un ambiente familiare legato alla ‘Ndrangheta, al punto che la sua vita venne segnata profondamente dall’uccisione del padre, Antonino, durante la “faida di Pagliarelle”. Quando si innamorò di Cosco aveva appena quattordici anni, ma scoprì del suo coinvolgimento nelle attività mafiose della cosca calabrese solo diversi anni dopo, quando, insieme al compagno, si trasferì a Milano. È qui che il suo calvario iniziò, ed è sempre qui che, purtroppo, arrivò alla fine nel peggiore dei modi. Quando scoprì la verità sulla doppia vita del suo compagno, Lea decise di diventare testimone di giustizia. Una svolta radicale che la portò a entrare a far parte del programma di protezione testimoni e al suo trasferimento in provincia di Campobasso. Purtroppo, il 24 novembre 2009, Lea venne attirata a Milano con la falsa promessa di discutere del futuro della piccola Denise. Era fermamente convinta che il compagno e i suoi sodali non le avrebbero fatto del male. Ma quello che trovò una volta giunta a Milano fu un atto di efferata violenza: Lea venne rapita, torturata e uccisa dai complici di Cosco. Il suo corpo venne poi bruciato per diversi giorni fino alla completa distruzione. Tuttavia, le indagini, iniziate nel 2012, riuscirono a portare all’arresto di Cosco e degli altri responsabili: Vito Cosco, il fratello di Carlo, Massimo SabatinoCarmine Venturino, successivamente divenuto collaboratore di giustizia, e Rosario Curcio, morto suicida all’interno del carcere di Opera, a Milano. La sua vicenda ha messo in luce le gravi lacune del sistema di protezione dei testimoni di giustizia in Italia. La sua tragica fine solleva interrogativi ancora oggi sulla capacità dello Stato di tutelare chi, con coraggio, decide di opporsi alla criminalità organizzata. Parchi, biblioteche e iniziative culturali portano il suo nome, celebrandone il sacrificio e il valore. Recentemente, don Luigi Ciotti, intervenuto in Commissione Antimafia, ha parlato dei pericoli che affrontano le donne coraggio che decidono di cambiare vita e recidere i legami con gli ambienti legati alla criminalità organizzata. Ha ricordato anche Lea Garofalo. “Ricordo il suo funerale – ha raccontato don Ciotti – la sua bara era leggerissima perché del suo corpo non era rimasto quasi niente”. E aggiunge: “Dopo il funerale di Lea abbiamo scoperto che molte altre donne come lei erano venute alla cerimonia funebre; e questo perché, grazie a lei, avevano scoperto che c’era qualcuno disposto a dare loro una mano”.

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fonte:https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/229-ndrangheta/102874-dal-calvario-al-coraggio-la-storia-di-lea-garofalo-continua-a-ispirare-la-lotta-alle-mafie.html