Cerca

Esclusiva Marano. Processo Bertini- Simeoli- Cesaro- Santelia: le motivazioni della sentenza. “L’ex sindaco ampiamente compromesso con la camorra”

Da Redazione -8 Gennaio 20250

E’ stata depositata ieri la sentenza con la quale sono stati condannati in primo grado:

* l’ex sindaco di Marano Mauro Bertini (concorso esterno con il clan Polverino  corruzione aggravata dalla finalità mafiosa); – 12 anni e 6 mesi di reclusione;

* Armando Santelia, capo dell’ufficio tecnico comunale durante la gestione Bertini, per alcune vicende amministrative che risalgono ai primi anni del Duemila: tangenti intascate per la vicenda Pip e le controverse modalità di acquisizione da parte del Comune di Palazzo Merolla. – 12 anni di reclusione;

* i fratelli Aniello e Raffaele Cesaro, che nel corso del processo hanno a più riprese sostenuto di aver elargito somme di denaro a Bertini e ad altri politici non indagati per corruzione e concorso esterno con il clan Polverino. – 3 anni di reclusione;

* Angelo Simeoli, meglio noto come “Bastone”, uno dei principali palazzinari di Marano per corruzione e concorso esterno con il clan Polverino. – 3 anni di reclusione;

Il Tribunale ha rese note quelle che sono le motivazioni. Innanzitutto i Giudici hanno ritenuto dimostrate, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sussistenza del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Bertini Mauro e Santelia Armando, esaminando tre diverse vicende amministrative, oggetto di puntuale contestazione nel capo di imputazione ed hanno ritenuto dimostrata la sussistenza delle due vicende corruttive aggravate dal fine di agevolare il Clan Polverino, rispettivamente contestate a Bertini Mauro e Simeoli Angelo al capo B) e a Bertini Mauro, Simeoli Angelo, Cesaro Aniello e Cesaro Raffaele al capo C). A carico di Bertini Mauro e di Santelia Armando, secondo il parametro dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, sussiste il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa con il clan Polverino, in considerazione del fatto che ponevano in essere dei precisi e circostanziati comportamenti finalizzati ad agevolare le descritte speculazioni di interesse della predetta organizzazione criminale, concorrendo, dunque, a rafforzarne la solidità e la forza, ampiamente percepita anche dalla società civile, che veniva soggiogata anche con l’ausilio dei pubblici funzionari. In particolare, il Tribunale ha ritenuto ampiamente dimostrata la sussistenza del delitto di corruzione aggravata sull’intervento edilizio relativo alla Masseria Galeota, per il quale, tuttavia, è stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per maturata prescrizione.

Analogamente è stata dimostrata la sussistenza del delitto di corruzione aggravata perla vicenda Pip in cui sono coinvolti Bertini Mauro e gli imprenditori Cesaro Aniello, Cesaro Raffaele e Simeoli Angelo, in virtù del quale, pattuita la somma di € 200.000,00 Bertini Mauro riceveva la somma di 125.000,00 euro in cambio del suo intervento per le vicende amministrative legate al PIP di Marano. Si è agevolmente dimostrato, inoltre, che Cesaro Aniello e Cesaro Raffaele versavano la complessiva somma di € 125.000,00 in 2 ratei rispettivamente € 75.000,00 nell’anno 2006 ed ulteriori € 50.000,00 nell’anno 2009.

Il Tribunale ha anche approfondito la vicenda relativa all’acquisto da parte del Comune di
Marano del Palazzo Meroila dalla proprietaria Tiziana Costruzioni di Chiarolanza Ferdinando di cui era titolare sostanzialmente Simeoli Antonio, soggetto condannato con sentenza ormai divenuta irrevocabile per il delitto di partecipazione al clan Polverino, come imprenditore del clan. Quest’ultima è una vicenda amministrativa apparentemente ineccepibile, ma che manifesta un evidente contributo in favore del clan Polverino in quanto Simeoli Antonio, uno dei maggiori imprenditori attraverso i quali Polverino Giuseppe effettuava i suoi investimenti maturava una plusvalenza pari ad 635.000.000 di lire. Accertate e ricostruite queste peculiari e significative vicende, è stato possibile verificare la
sussistenza di tre precisi contributi offerti da Bertini Mauro e Santelia Armando in favore del Clan Polverino per il tramite dei suoi principali imprenditori di riferimento Simeoli Angelo, detto bastone, e Simeoli Antonio detto ciaulone.

La posizione di Angelo Simeoli, detto “Bastone” e di Antonio Simeoli, alias “Ciaulone”:

Nel corso del dibattimento è emersa la caratura criminale di Simeoli Angelo, che deve essere definito un imprenditore del clan Polverino, come si evince chiaramente dalle plurime chiamate in correità, precise e circostanziate dei collaboratori escussi, tra le quali assumono deciso pregio e valore probatorio le dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia di rilevante spessore, trattandosi di soggetti che hanno ricoperto ruoli apicali all’interno del sodalizio di appartenenza: da un lato, infatti, assume rilievo il dichiarato di Perrone Roberto, Simioli Giuseppe e Ruggiero Giuseppe, relativamente al clan Polverino, e dall’altro di Schiavone Nicola e Bidognetti Raffaele, con riferimento al clan dei Casalesi.

La caratura criminale di Simeoli Angelo e di Simeoli Antonio sono chiaramente conosciute da Bertini Mauro sin dal 1999 almeno, quando egli stesso durante un interrogatorio richiesto e voluto dallo stesso, reso innanzi alla DDA di Napoli alla presenza dei suoi difensori affermava: “alle ultime elezioni provinciali la camorra ha sostenuto due candidati. I SIMEOLI (Angelo ‘e bastone) sostenevano Marrazzo a Qualiano. Peppe e Antonio SIMEOLI sostenevano invece DI GUIDA”. Ne deriva inequivocabilmente che Bertini Mauro quando interagiva con Simeoli Angelo e Simeoli Antonio era perfettamente consapevole di relazionarsi con due imprenditori del clan Polverino, nella piena consapevolezza del loro spessore criminale e di agevolarli nello svolgimento della loro attività imprenditoriale, così agevolando gli affari del clan.

È appena il caso di sottolineare che, come si vedrà meglio nel prosieguo della presente disamina, si tratta di affari per centinaia di migliaia di euro, guadagnati da Simeoli Antonio nella vendita del fatiscente Palazzo Merolla, non più suscettibile di speculazione edilizia, in quanto sottoposto a vincolo in conformità della Legge 1089/1939, ma anche da Simeoli Angelo nella realizzazione della masseria Galeato.

La posizione di Armando Santelia

Ancora più significativo è l’intervento di Bertini Mauro nella vicenda relativa al PIP, che vedeva il coinvolgimento in sinergia con Simeoli Angelo dei fratelli Cesaro. Lo strumento attraverso cui Bertini Mauro poteva agevolare gli interessi degli imprenditori di riferimento era Santelia Armando, ingegnere e tecnico comunale nella amministrazione Bertini dal 2000 al 2006, più volte coinvolto nel delitto di abuso di ufficio per vicende che hanno visto coinvolto sia Simeoli Antonio che Simeoli Angelo, come si vedrà nel prosieguo.

Il Tribunale ha ravvisato elementi univocamente significativi nel profondo legame con
Bertini Mauro, che si coglie plasticamente nella durata dell’incarico fiduciario; nel coinvolgimento negli affari dei Simeoli, Antonio ed Angelo, con significative e macroscopiche illegittimità amministrative; nella disponibilità dimostrata in comportamenti opachi e apparentemente privi di una ratio giustificativa, che l’istruttoria ha cristallizzato
inequivocabilmente, come nel caso della falsa attestazione relativa alla procedura di aggiudicazione del PIP e dell’utilizzo della cassaforte nella vicenda relativa alla gara per la ristrutturazione di Palazzo Merolla; nell’incontro con Bertini prima di essere sottoposto ad interrogatorio; nella preoccupazione captata durante la conversazione ambientale in auto,
durante la quale temeva la contestazione dell’associazione.

In particolare, la valutazione congiunta di tutti questi elementi consente di ricostruire la piena consapevolezza di Santelia Armando di porre in essere illeciti amministrativi e penali a tutto vantaggio di soggetti di spicco della criminalità organizzata, favoriti dallo stesso Sindaco.

Il Tribunale ha, dunque, ritenuto che l’istruttoria dibattimentale abbia dimostrato secondo il parametro dell’al di là di ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti, disvelando uno spaccato preciso di cointeressenze tra il clan, l’amministrazione comunale e l’imprenditoria sul territorio di Marano.

Rilevante, ai fini del dibattimento, anche la testimonianza rese al processo (teste della pubblica accusa, dottoressa Maria Di Mauro) dal nostro direttore Fernando Bocchetti, in relazione ai rapporti tra Angelo Simeoli e Mauro Bertini. Il teste ha riferito di un incontro, avvenuto nel 2011 nella fattoria didattica di Bertini tra lo stesso ex sindaco e il noto imprenditore, che in questo processo è stato condannato per corruzione.

Era la primavera del 2011, poco prima delle elezioni che si tennero in quell’anno a Marano, e mi recai, come facevo spesso in quel periodo da Bertini per intervistarlo. Mi presentai al cancello della sua fattoria didattica e fui accolto, come sempre, da alcuni cani, i maremmani di proprietà di Bertini. L’ex sindaco mi venne incontro poiché i cani, seppur docili, erano comunque di grossa taglia. Ricordo come se fosse oggi che mi disse: hai visto chi è uscito ora? Ricordo di aver visto un uomo con i capelli brizzolati, che riconosco in aula in Angelo Simeoli. Bertini aggiunse: è venuto Angelo Bastone. Io gli dissi: e cosa vuole da te Bastone? Lui mi rispose, lo ricordo come se fosse oggi, quando si muove la camorra, qualcosa vuole”.

I giudici, nelle circa 300 pagine di motivazioni della sentenza, fanno riferimento anche a un video registrato da Terranostra in piazza della Pace, alla vigilia delle amministrative che videro poi vincere Visconti, in cui Bertini affermò, durante un comizio, di aver “trattato con il prestanome di Ciaulone, per l’acquisto da parte del Comune di Palazzo Merolla”.

Significativi, secondo i giudici, anche le dichiarazioni di Antonio Di Guida (condannato in primo grado in un altro processo, il processo madre Pip), il quale fa riferimento ad alcuni episodi particolarmente importanti, tra cui la vicenda che vide Lello Credentino, defunto ex sindaco, ricevere il via libera dall’amministrazione Bertini per la realizzazione di un fabbricato con l’ex legge 219 post terremoto 1980. Di Guida riferisce che quel favore fatto a Credentino fu ricambiato nell’anno 2001, con l’appoggio in ballottaggio di Credentino a Bertini, il quale in prima battuta era stato superato da Spinosa.

Scrivono ancora i giudici: “Il Sindaco Bertini è ampiamente compromesso con la camorra locale e non esita a scendere a patti con essa sia pure per coltivare ambiziosi fini
pubblici, come già evidenziato trattando della vicenda relativa al Palazzo Merolla e alla Masseria Galeota. Il PIP è una sua creatura, ma è anche un affare da 40 milioni di euro che non solo fa gola a imprenditori del calibro dei fratelli Cesaro, ma interessa al clan Polverino e a Simeoli Angelo, come è ampiamente emerso nell’ambito dell’odierno dibattimento, durante il quale venivano acquisiti numerosi elementi istruttori.
Come si è ampiamente chiarito nelle pagine che precedono, a cui si fa espresso ed integrale rinvio, i fratelli Cesaro, Aniello e Raffaele, sono importanti imprenditori che partecipavano, aggiudicandosela, alla licitazione privata finalizzata alla individuazione dell’azienda che avrebbe dovuto eseguire i lavori per l’esecuzione del PIP.
Concordemente con quanto affermato in più punti dalla sentenza n. 2211/2021 già citata e resa nel processo madre, si tratta di un affare del clan Polverino e l’odierno dibattimento ha offerto numerosi spunti da cui desumere tale circostanza.

Ebbene, dalla lettura delle dichiarazioni degli imputati, Cesaro Aniello, Cesaro Raffaele e Simeoli Angelo, sunteggiate nelle pagine che precedono, emerge univocamente che l’accordo corruttivo maturava dopo l’aggiudicazione dell’appalto e prima della stipula del contratto. L’istruttoria dibattimentale non ha offerto alcun ulteriore elemento probatorio autonomo, né un quadro indiziario chiaro, preciso e concordante che possa far ritenere la sussistenza di una interlocuzione tra i protagonisti dell’odierna vicenda antecedente alla aggiudicazione. Ne deriva che il Tribunale è nella impossibilità di collegare gli atti giuridici individuati nel capo di imputazione con l’accordo corruttivo, nemmeno, andando ad ipotizzare la sussistenza di una corruzione propria susseguente, ovvero sia immaginando un accordo intervenuto successivamente alla realizzazione dell’attività funzionale, presentando con questo un legame causale e non finalistico, in quanto volto alla remunerazione di un’attività già esercitata prima ed indipendentemente dall’accordo stesso. Invero, l’istruttoria dibattimentale, non ha offerto alcun elemento che possa consentire di ritenere che l’accordo maturato nel 2006 fosse una remunerazione dell’attività già espletata dal Sindaco Bertini prima ed indipendentemente dall’accordo, atteso che gli imputati Cesaro Aniello, Cesaro Raffaele e Simeoli Angelo, ma anche Bertini Mauro escludono ogni contatto antecedente al gennaio 2006. La tesi accusatoria fondava il proprio convincimento sulle dichiarazioni rese dal collaboratore di Giustizia, Perrone Roberto, che avrebbero trovato riscontro estrinseco individualizzante nell’attività investigativa condotta dal Ros di Napoli, che si avvaleva anche di consulenti tecnici nominati dal P.M.
Invero, la vicenda PIP è stata oggetto di ampio approfondimento nell’ambito del processo c.d. madre, ma anche del presente processo, avendo acquisito molti atti del primo ed avendo approfondito talune particolari tematiche. Alla stregua dei plurimi e convergenti elementi istruttori raccolti, costituiti dalla testimonianza dei testi di PG, dalla documentazione acquisita, dalle dichiarazioni dei numerosi testi e dalle dichiarazioni degli stessi imputati e come sintetizzata nella stessa sentenza n. 181 2211/2021 è possibile ricostruire agevolmente la scansione temporale ed amministrativa degli eventi. Sebbene la sentenza non sia utilizzabile ex art. 238 bis c.p.p. e, dunque, non possa costituire un elemento probatorio a supporto della decisione, il Tribunale ha, comunque, verificato l’idoneità della stessa a fornire un utile strumento per affrontare il copioso materiale istruttorio acquisito con riferimento alla ricostruzione della scansione temporale della preparazione ed aggiudicazione dell’appalto del PIP, proprio perché alla medesima facevano riferimento, in più occasioni ed anche nelle arringhe finali, le difese degli imputati, evidenziandone la puntualità e scrupolosità nella ricostruzione delle vicende amministrative sottoposte al suo esame”.

Quanto alla figura di Angelo Simeoli, precisano i giudici di Napoli nord (presidente Pacchiarini), egli è pienamente integrato nelle dinamiche camorristiche e il fatto che sia stato assolto di recente in primo grado, dall’accusa di concorso esterno con il clan Polverino, non può essere preso come riferimento assoluto, poiché trattasi di sentenza non ancora passata in giudicato. Per i giudici di Napoli nord, il racconto dei pentiti – di area maranese e casalese – è univoco, non contraddittorio e tutti sono concordi nell’indicarlo come un palazzinaro del clan. Secondo i giudici, l’accusa di concorso esterno è addirittura troppo lievi, anche se in questo procedimento Simeoli non era imputato per concorso o associazione mafiosa. Durante l’attuale dibattimento, spiegano ancora i giudici, è stata approfondita in modo esaustiva la figura di Simeoli Angelo e sul suo spessore criminale, in buona sostanza, non ci sono dubbi di sorta.

Anche le dichiarazioni rese dai fratelli Cesaro, in merito agli aspetti corruttivi, sono da ritenersi ampiamente fondati, così come le dichiarazioni rese dallo stesso Simeoli Angelo, che ha ammesso di aver pagato Bertini per la vicenda della Masseria Galeota.

Fonte:https://www.terranostranews.it/2025/01/08/arano-processo-bertini-simeoli-cesaro-santelia-ecco-le-motivazioni-della-sentenza-lex-sindaco-ampiamente-compromesso-con-la-camorra/