A Soriano l’iniziativa promossa da Libera e dalla Fondazione Interesse Uomo contro racket e usura. «Una rete protegga chi si ribella ai clan»
Pubblicato il: 23/09/2023 – 11:18
di Marco Russo
SORIANO CALABRO Costruire una controcultura che incentivi la denuncia e crei una rete sociale intorno a chi si ribella alla ‘ndrangheta. È il messaggio lanciato ieri sera a Soriano Calabro durante l’incontro “La libertà non ha pizzo”, organizzato da Libera e dalla Fondazione Nazionale Antiusura Interesse Uomo. Un fenomeno, quello delle estorsioni, che il Prefetto di Vibo Valentia Paolo Giovanni Grieco, intervenuto in apertura dell’evento, ritiene «ancora vivo e forte, come dimostrano le varie denunce di danneggiamenti e intimidazioni». Preoccupazioni condivise anche dal Procuratore di Vibo, Camillo Falvo, che ha parlato di «poche denunce e tante difficoltà nell’avvicinare la vittima», ma anche di un territorio che lentamente sta cambiando.
«Cominciano ad aver paura di chi denuncia»
Secondo il Procuratore la carenza di querele deriva da una «questione culturale». Per affrontarla bisogna «inculcare una controcultura, quella della denuncia, che equivale a riappropriarsi della propria libertà». Effetto che si aspettavano di vedere all’indomani di Rinascita Scott, ma che ancora tarda ad arrivare. «È difficile, ma le cose stanno cambiando. I criminali cominciano ad avere paura di chi denuncia, ne stanno lontano, come dimostrano le intercettazioni». Lo stesso Luigi Mancuso, il boss di Limbadi, in un passaggio di Maestrale Carthago si mostra preoccupato per il cambio di animus degli imprenditori. «La sua paura conferma quanto sia importante per loro il consenso sociale, noi glielo dobbiamo togliere. È importante tutelare chi denuncia, stare vicino alle vittime e non ai carnefici».
Le parole di Borrello e don Cozzi
«Non parliamo solo di numeri o leggi, ma di umanità e di persone. Chi denuncia affida a noi la sua vita e quella dei famigliari». Giuseppe Borrello, referente regionale di Libera, invoca l’attenzione sul lato umano e richiama all’impegno le associazioni di categoria e la società civile. Lo fa citando i casi di Carmine Zappia, Tiberio Bentivoglio e Giuseppe Orrico, i tre imprenditori presenti in sala che si sono opposti alle pratiche di racket e usura. «Abbiamo il dovere di decidere da che parte stare. Serve supportare chi denuncia con il nostro consumo critico e responsabile». Oggi questo è possibile, secondo Borrello, «grazie allo straordinario lavoro delle forze dell’ordine e al coraggio di chi ha denunciato. Ma c’è ancora un diffuso senso di sfiducia e impunità». La questione sociale è centrale anche per don Marcello Cozzi, presidente della Fondazione Nazionale Antiusura Interesse Uomo. «Parliamo di corresponsabilità. Oltre alle forze dell’ordine, è fondamentale non isolare chi denuncia». Don Marcello Cozzi racconta la storia di Paolo, giovane imprenditore calabrese. «Lo abbiamo seguito passo per passo, ha denunciato con coraggio e fatto arrestare 80 persone in un paesino di 2000 abitanti. Ma dal giorno dopo nel suo ristorante non andava nessuno». Per questo «occorre mandare un altro messaggio. È una battaglia culturale che coinvolge tutti».
La ‘ndrangheta come «imitazione demoniaca»
È una rivoluzione che secondo il Vescovo Attilio Nostro parte dall’ascolto, perché il problema è «la mentalità fatalista e rassegnata, non creativa e coraggiosa». Serve, dunque, «tornare a incoraggiare le persone» e opporsi alla narrazione della ‘ndrangheta. «La malavita non è guasconeria o ribellione romantica. La criminalità è vigliacca e parassita. È distruttiva, ma anche debole. Perché chi costringe un altro a dargli soldi non è forte. Questa terra non appartiene a loro, ma a chi grida giustizia e vuole vivere in modo libero». La ‘ndrangheta, al contrario, «non è libertà, ma un’imitazione demoniaca, che usa simboli religiosi storpiando la bellezza di Dio». Ha invece ricordato Libero Grassi il commissario nazionale per il governo per le iniziative antiracket e usura Maria Grazia Nicolò nel concludere l’incontro. «Dopo il suo esempio, c’è stata una svolta nella lotta contro le estorsioni. Lo Stato è intervenuto con norme e risorse, ma serve il sostegno di tutti. Oggi chi non denuncia non lo fa per paura delle mafie, ma per paura dell’isolamento».