Fedele Conti nove anni dopo : il silenzio e l’oblio
Queste considerazioni non vogliono affatto sostituirsi ai sentimenti familiari, al ricordo intimo e struggente che conservano nel cuore e nella mente gli amici che l’hanno conosciuto e le persone che hanno condiviso con il capitano Fedele Conti un pezzo della loro vita.
Noi oltre che rafforzare questo legame di stima e di amicizia con un uomo che, nel corso degli anni, si è messo al servizio dello Stato e del suo ordinamento giuridico, noi oltre che avvertire il dolore di questa ferita per una morte assurda, improvvisa e imprevedibile vogliamo anche allargare lo sguardo su un orizzonte cupo, oscuro e paludoso che ha fatto da sfondo alla vicenda umana e professionale di un giovane capitano della guardia di finanza.
Fedele Conti è morto nove anni fa, nella tarda notte di fine settembre, dopo essere stato nominato da alcuni mesi comandante della compagnia di Fondi.
Un mistero irrisolto, uno scenario locale che ha assunto contorni inquietanti e definiti dopo la sua scomparsa allorché sono stati accesi i riflettori sulle attività politico-affaristico-mafiose della città di Fondi.
Una città che cela dietro il lavoro onesto di tanti piccole imprenditori, le trame di un sistema clientelare e colluso che ha indotto su richiesta della prefettura di Latina , l’ex Ministro dell’Interno Maroni a richiedere, per ben due volte lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose.
Giochi politici, ricatti all’interno dei partiti, accordi in Parlamento, hanno impedito che il consiglio dei ministri approvasse questa misura estrema ma di certo viene fuori quel mondo inaffidabile, colluso e pericoloso che Fedele Conti avrebbe voluto combattere e vincere, invece l’indifferenza sociale e l’estraneità e forse la contrarietà di parte delle istituzioni lo hanno dapprima isolato e poi abbandonato al suo tragico destino.
Abbiamo insistente chiesto la verità su quella morte, abbiamo ricordato che se uno Stato non combatte la mafia inevitabilmente soccombe alle sue regole, abbiamo tentato di far capire che la morte di Fedele Conti è stata determinata da uno Stato immobile e compiacente, che la sua indignazione e rabbia è stata sommersa dalla complicità e dall’indifferenza di chi doveva assieme a lui mantenere fede al giuramento prestato.
Deriso e abbandonato, non certo dai solidi affetti familiari, lasciato solo in una città che dopo ha mostrato tutte le sue contraddizioni e soprattutto il suo forte legame con le mafie internazionali che hanno fatto del mof anche una sede di smistamento di armi e droga.
Fedele Conti aveva visto, prima di ogni altro cosa c’era dietro le quinte, aveva sentito l’odore nauseabondo che proveniva dal grande palcoscenico della vita pubblica, aveva capito cosa c’era nel mondo sommerso dei grandi affari e stava cercando di fare soltanto il suo dovere. E’ stato lasciato da solo e forse con l’ordine di non nuocere e di lasciare le cose al loro posto. Fedele Conti non poteva scendere a compromessi con il malaffare e aveva un solo desiderio: servire lo Stato ma non quello che altri offendevano e calpestavano.
27 settembre 2015 Arturo Gnesi