Gang, droga e machete: Ferrara capitale della mafia nigeriana
27 GENNAIO 2021
Città di frontiera tra Emilia e Veneto, è stata scelta dai clan africani come snodo di spaccio: tante morti per overdose mentre gli affiliati si sfidano e si uccidono tra loro. Ma un’indagine ha ora decapitato l’organizzazione
DI FEDERICO VARESE
Per me Ferrara è la stazione dove si prendeva il treno che, attraversando la pianura padana, portava gli studenti universitari a Bologna ogni mattina, è la distesa dei campi dove era sempre forte l’odore del fieno, è il luogo dove d’estate non succedeva mai niente, insomma Ferrara è la città dove sono nato e ho vissuto molti anni fa. Nel frattempo è anche diventata un importante snodo operativo dei Vikings nigeriani, un cult nato nelle aule dell’Università di Port Hancourt nel 1984. Lo ha svelato l’indagine Signal, firmata da Roberto Ceroni, che ha portato all’arresto di 31 persone il 19 ottobre 2020.
Qualche giorno fa, come riporta La Nuova Ferrara, il tribunale del riesame di Bologna ha confermato le misure di custodia cautelare per gli imputati, riconoscendo l’associazione mafiosa. Da questi importanti risultati investigativi, che arrivano dopo anni di indagini, si devono trarre le giuste lezioni per il futuro. Nel frattempo, a Ferrara i casi di overdose sono tornati ai livelli degli anni Novanta.
A Ferrara abitava – fino al suo arresto nel 2020 – Emmanuel detto Boogie, all’apparenza DJ afro beat ma in realtà coordinatore del traffico di droga in Emilia e Veneto, colui che ricopriva la terza carica più importante dei Vikings in Italia, dopo quella del “Presidente” (di base a Torino) e dell'”Anziano”. Le “belle” di Boogie facevano la spola tra Ferrara e l’Olanda per rifornirsi da un trafficante ghanese e ingoiavano più di sessanta ovuli a viaggio. Le strategie di marketing dei nigeriani (offrire dosi regalo e eroina potentissima) sono riuscite a far abbassare l’età media dei consumatori. Boogie era responsabile di piazze di spaccio importanti come Parma, Padova, Vicenza e Venezia.
Nel 2019 Eddy, il rappresentante di Padova, decise di scappare con la cassa del gruppo. Boogie andò su tutte le furie. “Gli taglio la mano con il machete”, urlò. Il machete è anche l’arma che gli investigatori trovarono nel frigo del suo appartamento nel quartiere Giardino a Ferrara. Quel machete fu usato da un comando dei Vikings per tentare di uccidere il boss del cult rivale, quello degli Eiye, nel luglio 2018. L’omicidio venne sventato, ma le foto del torso della vittima coperto di sangue hanno fatto il giro del mondo. Eppure, dice Dario Virgili, il dirigente della polizia di Ferrara che ha seguito le ultime fasi dell’indagine, “quando Boogie si presentava in questura era un modello di buone maniere. Voleva dissimulare il suo ruolo ai nostri occhi”. L’indagine mostra come le vittime di questa mafia siano soprattutto i nigeriani stessi. La storia di Paul Frankphat è emblematica e simile a tante altre. Paul entrò in Italia nel giugno del 2015 e venne spedito al Centro di Accoglienza (Cara) di Mineo, un microcosmo che ospitava più di 4 mila residenti, lontano da centri abitati, dove il controllo dei migranti era di fatto lasciato agli stessi gruppi etnici. Come dice Sara Prestianni, esperta di migrazione che lavora a Bruxelles, “questa mega struttura generava forme negative di autogoverno e illegalità”. Al Cara di Mineo comandavano proprio i Vikings che picchiarono a sangue Paul perché si rifiutò di diventare un affiliato. Dopo il ricovero in ospedale, Paul venne spedito a Ferrara a spacciare. Ma qui decise di ribellarsi di nuovo e, nel 2016, denunciò le vessazioni alla polizia. Le indagini confermarono che le minacce provenivano proprio dal clan di Boogie. Altri migranti nigeriani come Paul, che non vive più in Italia, furono vittime di aggressioni e stupri al Cara di Mineo, che è stato chiuso nel 2019, ma si levano oggi voci per riaprirlo. Continua invece ad operare il Cara di Isola Capo Rizzuto, epicentro di una rivolta di nigeriani nel 2015.
Perché Ferrara è diventata una base importante della mafia nigeriana? Secondo il dirigente Virgili è una città di frontiera, ponte tra Bologna e il Veneto, dove nei primi anni duemila gli episodi di spaccio non venivano collegati ad una organizzazione unica. Col tentato omicidio del boss degli Eiye il sostituto procuratore di Ferrara Isabella Cavallari si rende conto della gravità del fenomeno e coinvolge i colleghi di Torino, la Dda di Bologna e lo Sco di Roma in una indagine imponente. Forse c’è anche dell’altro: dagli anni Novanta ad oggi gli studenti universitari sono passati da circa novemila a più di ventimila. L’espansione massiccia dell’ateneo, che per molti versi ha arricchito la città, crea un mercato significativo per droghe leggere e pesanti. Non è un caso che lo spaccio sia oggi fiorente anche nella zona quasi periferica dove sono sorti nuovi studentati, come mi conferma Daniele Predieri de La Nuova Ferrara. La politica della giunta leghista ferrarese di togliere le panchine per rendere la vita più difficile agli spacciatori nei pressi della stazione è futile.
Oltre all’offerta c’è la domanda. Molti clienti dei nigeriani sono consumatori abituali, con consegne quasi giornaliere. Luca (nome di fantasia) viene intercettato mentre chiama il pusher alle cinque di mattina in preda ad una crisi di astinenza, ma ha finito i soldi e la consegna non avviene. Prima del Covid, si vedevano a Ferrara scene aperte di consumo. Nel 2019 nove persone sono decedute per overdose. In Emilia-Romagna i decessi – in maggioranza di maschi che vivono da soli – sono aumentati del 55%. “Sembrano i livelli degli anni ’90”, dice il segretario di Forum Droghe, Leonardo Fiorentini.
Mentre si recintano i parchi e si tolgono le panchine, sono scomparse le Unità di Strada che aiutano a conoscere e modificare le abitudini dei consumatori per ridurre il danno. I Vikings forse sono stati eliminati, ma potranno venir sostituiti da altre mafie. La lezione di Ferrara, che vale per tutto il paese, è chiara: serve uno diverso modello di accoglienza e non bisogna confondere le vittime con i carnefici. Gli inquirenti fanno la loro parte, ma la politica sembra appiattire la complessità del mondo ai like su Facebook e invoca non-soluzioni. Un “pasticcio di piccole idee” ebbe a dire un ferrarese del secolo scorso, Giorgio Bassani, che descrisse per noi questa città di pianura.
Fonte:https://rep.repubblica.it/