Gli inquirenti ricostruiscono la struttura e la storia della ‘ndrina. Dagli agguati fatali ai boss Alfredo e Raffaele all’arresto dei figli
Pubblicato il: 09/11/2024 – 10:59
VIBO VALENTIA Dal “potere” su Maierato ad un “esilio” tra i territori lametini e il Piemonte. Nelle pagine dell’inchiesta Artemis, che ha portato all’arresto di 59 persone, si ricostruiscono l’ascesa e il declino della famiglia Cracolici, una delle ‘ndrine più antiche del Vibonese. “Spodestata” ad inizio anni 2000 dopo una violenta faida contro i Bonavota di Sant’Onofrio, il clan ha tentato di rinascere tramite i figli dei boss storici che ne avevano ereditato il potere criminale. I Cracolici avrebbero tentato di riaffermarsi nei territori lametini tra Cortale e Girifalco, sfruttando anche, come sottolineato dal procuratore Capomolla in conferenza stampa, «il vuoto di potere dopo gli arresti degli Anello».
La struttura della ‘ndrina
Gli inquirenti restituiscono la struttura della ‘ndrina, partendo dallo storico capocosca Raffaele Cracolici, alias “Lele Palermo”, ucciso nel 2004 proprio in agguato nella faida contro i Bonavota. Due anni prima la stessa sorte era toccata ad Alfredo Cracolici, fratello di “Lele Palermo” e referente della ‘ndrina su Filogaso, ucciso in un agguato a Vallelonga insieme a Giovanni Furlano. Per quest’ultimo duplice omicidio è stato condannato all’ergastolo nel troncone di Rinascita Scott Domenico Bonavota. A prendere le redini del clan, dopo i due omicidi, sarebbe stato Domenico Cracolici (cl.82), figlio di Raffaele, condannato a 9 anni nel primo grado di Rinascita Scott e ritenuto «attualmente elemento apicale della ‘ndrina di Maierato» e Francesco Cracolici, figlio di Alfredo. I loro arresti nell’operazione del 2019 avrebbero spalancato le porte all’ascesa criminale del cugino Domenico Cracolici (cl.71) alias “Mimmo”, arrestato con l’operazione di oggi.
La faida con i Bonavota e l’omicidio di Alfredo e Raffaele Cracolici
La svolta per la ‘ndrina arriva proprio con gli omicidi di Alfredo e Raffaele. Un momento che la Dda definisce «cruciale» per l’evoluzione storica dei Cracolici. Il brutale omicidio dei due fratelli, ritenuti reggenti della cosca, si inserisce nella faida contro i Bonavota, ‘ndrina della vicina Sant’Onofrio, scoppiata «per ragioni di mire espansionistiche sulle nascenti attività commerciali della zona industriale del comune di Maierato», fino a quel momento «sotto il controllo della famiglia Cracolici». Una sanguinosa faida dalla quale, però, «pur avendo dimostrato il suo spessore criminale – scrivono gli inquirenti – nell’organizzazione di diverse azioni di vendetta, la cosca Cracolici uscirà sconfitta». Dinamiche raccotante anche dal collaboratore di giustizia Francesco Costantino nell’inchiesta Conquista, autoaccusatosi di aver partecipato ad un agguato per conto dei Cracolici nei confronti di Nicola Tedesco. I progetti di “vendetta” prevedevano anche, racconta il collaboratore, l’
L’ascesa degli eredi di Alfredo e Raffaele
La violenza ‘ndranghetista dei Cracolici emerge anche dai racconti di Andrea Mantella, che attribuisce alla famiglia di Maierato alcune vicende cruenti del passato. Secondo il pentito, il defunto boss Alfredo Cracolici sarebbe stato responsabile della strage di contrada Cocari, avvenuta nel 1986, quando vennero uccise tre persone e fu ferito lo stesso Francesco Cracolici. Anche l’omicidio di Giuseppe Brizzi, una delle numerose vittime di lupara bianca nel Vibonese, ancora oggi caso impunito, secondo il pentito sarebbe riconducibile ai Cracolici, che lo avrebbero torturato e ucciso come punizione per un camion incendiato. Vicende che dimostrerebbero il dominio del clan sul territorio di Maierato e Filogaso, almeno fino all’omicidio dei due fratelli ritenuti al vertice del clan. Secondo gli inquirenti, sono proprio questi due episodi a sancire «l’assoggettamento della ‘ndrina Cracolici a quella dei Bonavota di Sant’Onofrio» e ad avere «inevitabilmente determinato un riassetto criminale sul territorio», prima con l’ascesa dei figli del boss, tra cui Domenico e Francesco Cracolici, poi con quella del cugino “Mimmo” che avrebbe «sfruttato lo stato di detenzione dei cugini» e il «vuoto di potere» sul territorio dopo gli arresti in Imponimento. (Ma.Ru.)