«Ognuno prendeva soldi dove poteva», racconta il pentito che svela il piano dei “capi”: «Ci siamo accordati nel fare un unico gruppo»
Pubblicato il: 17/08/2023 – 14:32
di Fabio Benincasa
COSENZA La città dei bruzi è in fermento, dopo la morte di Luigi Palermo i gruppi Pino-Sena e Perna-Pranno si sfidano per ottenere la supremazia sul territorio, e intanto sul tirreno cosentino il clima è rovente. Sono gli anni ’70 e quasi in concomitanza con il delitto di “U Zorru” e lo scoppio della prima guerra di mafia a Cosenza, si consuma uno scontro sul tirreno cosentino tra la cosca Serpa di Paola e quella “Basile-Calvano” di San Lucido, «originariamente unitaria e sotto l’egemonia di Mario Serpa e Nelso Basile (assassinato a seguito di agguato mafioso a San Lucido il 22 febbraio 1983)». La faida sulla costa nell’agosto del 1979, porta l’11 settembre dello stesso anno all’omicidio di Giovanni Serpa, assassinato sulle montagne del comprensorio paolano. I lunghi racconti compiuti dai collaboratori di giustizia richiamati espressamente anche dai giudici nei passi della sentenza “Garden” forniscono una visione storica del fenomeno mafioso della città di Cosenza che, ha «sempre e strategicamente influito anche sugli assetti delinquenziali della costa tirrenica», come ha fatto la cosca “Perna-Pranno-Vitelli” su quella dei “Serpa”.
Dall’orgoglio criminale al pentitismo
Gli anni passano e l’orgoglio di appartenere ad un sodalizio criminale lascia il posto al “pentitismo”. Franco Pino diviene collaboratore di giustizia, a Cosenza i clan devono riorganizzarsi decimati dagli arresti e dai pentiti. Le cosche cambiano struttura e vertici ed emergono nuovi «personaggi di spicco della ’ndrangheta del capoluogo»: Ettore Lanzino diretta espressione di Gianfranco Rua’ e Domenico Cicero espressione di Franco Perna. Il nuovo asset produce effetti anche sui gruppi criminali del tirreno, sul tavolo l’idea e il progetto di costituzione di un «locale di ‘ndrangheta con “competenza provinciale” composto da ‘ndrine dominanti sia nel capoluogo che nella provincia». Nel codice d’onore alcune variabili non modificabili e imprescindibili per il corretto e sereno governo dei comuni affari illeciti: l’azzeramento delle “conflittualità”, la ripartizione dei territori tirrenici; l’individuazione delle rispettive cosche di aderenza, la scelta del “capo cosca”, l’eliminazione di chi non voleva sottostare agli ordini.
Gli omicidi dei dissidenti
A farne le spese i “dissidenti”: Giacomo Cara assassinato a Rende in contrada S. Agostino nel 1999, Marcello Calvano ucciso a San Lucido il 24 agosto 1999 ed ancora Vittorio Marchio assassinato a Cosenza il 26 novembre 1999 e Sergio Perri ucciso nella città dei bruzi nel novembre del 2000. Nel lungo elenco, finiscono anche i delitti di Francesco Bruni alias “bella bella” e Antonio Sena entrambi uccisi a Cosenza perché riluttanti ad accettare le nuove “regole”. Per l’omicidio di Calvano e Marchio, Ettore Lanzino e Domenico Cicero sono stati condannati dalla Corte d’Assise di Cosenza alla pena dell’ergastolo. Lo stesso Lanzino avrà modo di darsi alla macchia, salvo poi essere rintracciato ed arrestato. La sua cattura chiude l’era del processo “Garden”.
In quegli anni regna il caos, il pentito vibonese Vincenzo Dedato (in passato legato alla mala cosentina) avrà modo di definire Cosenza «una città allo sbando dal punto di vista criminale». «Ognuno prendeva soldi dove poteva e c’era un gruppo che cercava di emergere, il gruppo Bruni. Con Lanzino non andavano tanto d’accordo».
Il nuovo assetto sul Tirreno Cosentino
Sulla costa tirrenica, i territori vengono suddivisi. A Cetraro rimane «l’indiscussa e ormai consolidata cosca Muto», a Paola veniva ufficializzato Mario Scofano «vecchio elemento di spicco della cosca Serpa al quale, dopo l’eliminazione dei Calvano di San Lucido, veniva affidato il compito di ricompattare il proprio gruppo delinquenziale da riorganizzare con l’apporto di vecchi affiliati della cosca Serpa». Su Amantea, viene consolidata la leadership di Tommaso Gentile alias “Tomas” «legato storicamente alla cosca Africano di Amantea». Il progetto di Lanzino e Cicero va avanti e coinvolge anche Francesco Bevilacqua, «dominus pro tempore degli “Zingari“, meglio conosciuto come “Franchino i Mafalda” (poi divenuto collaboratore di giustizia). L’esigenza di legarsi al clan degli “Zingari” è dettata dalla necessità del gruppo Lanzino-Cicero di limitare le alleanze della cosca rivale, quella della famiglia Bruni alias “bella bella”.
Il ruolo del contabile nella mala
Sono considerate di estrema importanza le dichiarazioni rese dall’ex contabile della cosca
Ruà-Lanzino di Cosenza legata a quella Perna-Cicero. Vincenzo Dedato, decide di pentirsi e vuotare il sacco. Racconta alcuni importanti dettagli sulla “nuova” organizzazione dei clan all’allora pm Mario Spagnuolo, oggi procuratore di Cosenza. Il collaboratore, nel 2008, svela un accordo siglato dai capi cosca nel 1998. «Ci siamo messi d’accordo nel fare un unico gruppo (…) due capi società: Franco Perna e Gianfranco Ruà». I due sono capi formali perché detenuti e sul punto Dedato precisa «I rappresentanti…man mano che le persone si trovavano fuori, le persone diciamo di esperienza e più anziane, avrebbero fatto diciamo da…reggenti o da capi, da referenti». Dedato diviene protagonista del “grande” cambiamento ed è Ettore Lanzino ad affidargli il ruolo di fidato alleato. «Il ruolo di essere il contabile nella situazione. Nel senso di
contabilizzare, diciamo, e gestire tutte le varie estorsioni e tenere in piedi, diciamo, il gruppo che veniva man mano formato». L’interrogatorio prosegue ed arriva puntuale la domanda sulla istituzione della bacinella comune. «La bacinella… era unica fino ad un certo punto. Nel senso, io raccoglievo i proventi delle estorsioni sugli imprenditori edili, edilizi, e loro su quelli… le attività commerciali. Tiravamo le somme, nel senso, dice: “Io ho incassato tot cifra cinquantamilioni…”, “Io ho incassato ventimilioni…”, sommavamo questi due importi e poi li dividevamo per due, tolte le spese, le varie spese e dividevamo trentacinque noi e trentacinque il gruppo Cicero». Spagnuolo rivolge al collaboratore un’altra domanda e chiede lumi in merito alla figura del contabile all’interno della struttura criminale. La risposta di Dedato è semplice ma estremamente interessante. «E’ come se fosse un capo società, la stessa cosa. Diciamo, nella gerarchia ‘ndranghetistica riveste un ruolo di vertice». (redazione@corrierecal.it)