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Il clan Mazzaferro e gli affari nel settore dei prodotti petroliferi a Roma: le società “cantiere”, le frodi e il riciclaggio

Centrale la figura di Nicolò Sfara, insieme a quelle di Vincenzo e Salvatore Mazzaferro. I rapporti con gli imprenditori e le alleanze nella Capitale

Pubblicato il: 18/11/2024 – 14:59

di Mariateresa Ripolo

ROMA Un giro di affari nel settore della commercializzazione all’ingrosso di prodotti petroliferi con vere e proprie alleanze tra soggetti appartenenti alla criminalità organizzata e operativi a Roma e in altre regioni. Fatture per operazioni inesistenti, occultamento e distruzione di documenti contabili, riciclaggio, autoriciclaggio, indebita percezione di erogazioni pubbliche e trasferimento fraudolento di valori. Azioni volte ad agevole e favorire l’espansione a Roma della cosca di ‘ndrangheta reggina Mazzaferro, di Marina di Gioiosa Ionica. Sono queste le accuse mosse dalla Procura di Roma, che questa mattina, a seguito delle indagini coordinate dalla Dda ed eseguite dagli specialisti del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria (Gico), ha disposto l’applicazione di misure cautelari per 25 persone – sono 35 gli indagati in totale – e il sequestro di beni per circa 7 milioni di euro, nei confronti di 5 società di capitali e 17 persone fisiche. 

Gli interessi del clan Mazzaferro nella Capitale

Un clan, quello dei Mazzaferro, con ramificazioni al nord Italia e all’estero. Tra le principali attività illecite svolte risultano, fin dalle origini, il contrabbando delle sigarette, i furti, le truffe, la fabbricazione e lo spaccio di banconote false, le rapine, le estorsioni, il traffico di sostanze stupefacenti ed il traffica di armi.
Figura centrale nell’inchiesta romana è quella di Nicolò Sfara (classe ’94), detto “Leone-Francesco-Silvio-Bruno”, nipote del defunto boss Giuseppe Mazzaferro e dell’attuale reggente, il boss Rocco Mazzaferro (cl. ’64). Sfara, secondo gli investigatori, oltre a gestire ed essere titolare d’importanti iniziative economico-imprenditoriali, è «deputato a riciclare i proventi illeciti della cosca e, più in particolare, quelli derivanti dalla frode all’Iva, attraverso la complicità di una pluralità di soggetti, avendo altresì il compito di favorire e mantenere i contatti tra la cosca Mazzaferro e la subordinata struttura criminale milanese attiva nella zona di Rho, a Milano». Con questo ruolo il 30enne avrebbe siglato accordi affaristico-criminali anche con esponenti di altri contesti criminali particolarmente attivi nel settore del narcotraffico, essendogli affidati compiti e incarichi che sono «appannaggio esclusivo di quei soggetti cui è stata attribuita una “carica” di rilievo all’interno della ‘ndrangheta». E grazie ai consistenti profitti ricavati dalle operazioni delittuose, Sfara, coadiuvato da Vincenzo e Salvatore Mazzaferro (padre e figlio – rispettivamente classe ’71 e ’97), «sfruttando la rete di relazioni intessuta sul territorio dal gruppo criminale, è riuscito ad ampliare, a fini di riciclaggio e di reimpiego dei proventi, il giro degli affari nel settore della commercializzazione all’ingrosso di prodotti petroliferi», stringendo una serie di alleanze anche con soggetti contigui ad altri contesti di criminalità organizzata operativi nella Capitale e in altre regioni. 

La genesi dell’inchiesta

Le indagini hanno preso le mosse dai rapporti di affari intessuti dal clan con un imprenditore romano, Alessandro Toppi, attraverso una società che opera nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi. L’imprenditore è stato oggetto di una prolungata attività intercettiva che – scrive il gip – «ha lasciato emergere le fitte trame di relazioni nel comparto petrolifero con i Mazzaferro e Sfara», tutti da tempo operativi nella Capitale sul mercato dei prodotti petroliferi grazie alla complicità di più soggetti e l’utilizzo di società cartiere e di comodo. Secondo quanto emerso dalle indagini, la società di cui è formalmente titolare l’imprenditore Toppi con la moglie, è di fatto riconducibile a Sfara e di conseguenza al gruppo Mazzaferro, almeno fino alla data del 20 marzo 2019, quando Toppi ha ceduto l’intero capitale sociale a un soggetto contiguo a un clan di camorra, lasciando peraltro all’oscuro della cessione Sfara, il quale appena venuto a conoscenza dell’operazione, «evidentemente vissuta come un vero e proprio affronto» – scrive il gip, si è mostrato determinato a risolvere la questione ricorrendo alla logica mafiosa della violenza, portando l’imprenditore a fuggire in Albania. Il clan, dunque, secondo quanto emerso avrebbe operato attraverso una pluralità di imprese affidate a soggetti prestanome, strumentali proprio alla realizzazione di frodi: «società “serventi” la commercializzazione di prodotti petroliferi con le conseguenti frodi fiscali»(m.ripolo@corrierecal.it)

fonte:https://www.corrieredellacalabria.it/2024/11/18/il-clan-mazzaferro-e-gli-affari-nel-settore-dei-prodotti-petroliferi-a-roma-le-societa-cantiere-le-frodi-e-il-riciclaggio/