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Il racket della manodopera in Calabria, il ruolo dei caporali e il reclutamento. «Si deve avere il nulla osta della ‘ndrangheta»

Nei periodi più intensi il via vai di pulmini guidati da caporali. Le minacce per accettare le paghe. Per spostarsi i «permessi speciali»

Pubblicato il: 10/12/2024 – 19:01

di Mariateresa Ripolo

ROMA Potenziali lavoratori reclutati spesso fuori dai centri di accoglienza, stipati su pullman e portati nei campi a lavorare per intere giornate di lavoro con paghe da fame. In Calabria la più alta concentrazione di lavoratori agricoli è sulle tre piane: Sibari, Sant’Eufemia e Gioia Tauro.  Il compito di espletare tutti gli aspetti relativi alla gestione dei rapporti di lavoro viene delegato ai “caporali”, e – come emerge spesso dalle indagini e dalle testimonianze – dietro il sistema messo in piedi per sfruttare chi non ha altra scelta per guadagnarsi da vivere, ci sono le organizzazioni criminali. «Tutti i giri di sfruttamento della manodopera devono avere il nulla osta da parte della ‘ndrangheta». L’evidenza emerge dalle testimonianze raccolte nel Rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, giunto alla sua settima edizione e presentato a Roma al Centro Congressi Frentani. 

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Il reclutamento

Lo studio ha preso in esame in particolare il territorio crotonese in cui si stima che un numero oscillante tra le 11mila e le 12mila unità sia impiegato in modo non standard (lavoro nero o grigio). E proprio a Crotone, dove c’è il Cara di Sant’Anna di Isola di Capo Rizzuto – come raccontato nel Rapporto – si registrano episodi di reclutamento di donne e uomini che vengono trasportati sui luoghi di lavoro. «In molti casi – si legge nel documento – il reclutamento, sia ad opera dei caporali che dei proprietari, avviene nei CAS e in altre strutture di accoglienza. Ogni mattina davanti al Cara di Sant’Anna, nel comune di Isola di Capo Rizzuto, si creano lunghe fila di ospiti che attendono l’arrivo dei caporali per un ingaggio giornaliero. Chi non riesce ad ottenerlo è costretto a tornare al centro”. Un fenomeno che è stato oggetto anche di denunce alla Procura della Repubblica da parte della Flai-Cgil locale. «Nei contesti dei piccoli centri cittadini, le modalità di reclutamento ricordano lo storico mercato di piazza. I lavoratori vengono prelevati nelle piazze nelle prime ore del mattino da caporali stranieri alla guida di pulmini e accompagnati presso le aziende. Durante i periodi di maggiore intensità lavorativa il litorale ionico è un via vai di pulmini guidati da caporali». 

Il ruolo dei caporali

Il “sistema” funziona grazie all’intermediazione dei caporali a cui viene affidato il compito di portare gestire tutti gli aspetti che riguardano i rapporti di lavoro: in molti casi le aziende non comunicano direttamente con i lavoratori, ma sono i caporali che attraverso lo strumento dei gruppi whatsapp impartiscono ordini e direttive. «Sempre i caporali – viene spiegato il Rapporto – consegnano i contratti e le paghe, che solitamente sono divise in due parti. La prima viene trasferita dall’azienda tramite bonifico per soddisfare i criteri di tracciabilità del pagamento e corrisponde alla paga per le giornate lavorative che vengono dichiarate all’INPS, mentre la seconda, che corrisponde alla paga per la parte di lavoro non dichiarata, viene corrisposta in nero, tramite il caporale, che solitamente ne trattiene una quota in modo abbastanza discrezionale, anche grazie al potere di ricatto che gli deriva dalla possibilità di scegliere chi far lavorare e chi no».
Dalle indagini condotte tra il 2018 e il 2021, che hanno portato all’arresto di 15 persone, emerge un ruolo centrale dei caporali nel costringere i lavoratori, anche mediante il ricorso reiterato a minacce, ad accettare paghe comprese tra 15 e 30 euro per oltre 12 ore di lavoro e a restituire parte dello stipendio ottenuto tramite bonifico. Sempre i caporali istruiscono i lavoratori sui comportamenti da assumere in caso di controlli per evitare che forniscano alle forze dell’ordine elementi che possano comprovare la presenza di pratiche di sfruttamento e caporalato.

Il racket della manodopera e gli interessi dei clan

Gli attori sociali e sindacali del territorio concordano nel ritenere che «la presenza pervasiva della criminalità organizzata condiziona anche le attività dei caporali, assoggettandole a forme di controllo». Dinamiche che potrebbe leggersi come una «riproposizione dello storico interessamento della ‘ndrangheta al racket della manodopera». «Quello calabrese è, infatti, il territorio del Mezzogiorno dove prima e in modo più capillare si verifica un interessamento di natura economica della mafia al business del reclutamento e del trasporto dei braccianti agricoli. I documenti della Commissione parlamentare di indagine sul fenomeno del «cosiddetto caporalato» rivelano come sin a partire dagli anni Settanta le cosche ne assumano direttamente il controllo, affidando il ruolo di caporali a giovanissimi affiliati o a boss in disarmo, oppure esercitino un controllo indiretto».

«Tutti i giri di sfruttamento della manodopera devono avere il nulla osta da parte della ‘ndrangheta»

«Tutti i giri di sfruttamento della manodopera devono avere il nulla osta da parte della ‘ndrangheta», «non è possibile far circolare liberamente i lavoratori, o meglio la criminalità organizzata non lo permette… se ad esempio dei lavoratori da Corigliano vogliono venire nel Marchesato crotonese hanno bisogno di permessi speciali (…) è una forma di rispetto della piazza», raccontano gli intervistati. Con l’espressione «permessi speciali» si intende il fatto che le organizzazioni criminali pretendono dei pagamenti. «Di fatto, tale sistema, se da un lato è funzionale ai meccanismi di controllo del territorio delle cosche, presentati anche come difesa del territorio stesso – difendere la piazza locale dai caporali che provengono da altre aree -, dall’altro moltiplica i passaggi di carattere speculativo assottigliando la quota di paga che viene corrisposta ai lavoratori».

Fonte:https://www.corrieredellacalabria.it/2024/12/10/il-racket-della-manodopera-in-calabria-il-ruolo-dei-caporali-e-il-reclutamento-si-deve-avere-il-nulla-osta-della-ndrangheta/