Sono terribili le parole del presidente del Senato Pietro Grasso quando dice che la Calabria è arretrata di 50 anni rispetto alla Sicilia, che qui le stragi Falcone e Borsellino «hanno costretto la politica a fare qualcosa e la società civile a intervenire, mentre in Calabria deve ancora avvenire». Quando dice, soprattutto, che «è triste ammettere che c’è bisogno di stragi per spingere politica e società a muoversi». Terribile perchè in quell’arretratezza di mezzo secolo c’è tutto quello che Annachiara Valle redattrice di Famiglia Cristiana e direttrice di Madre ha scritto nel suo libro «Santa malavita organizzata», vale a dire una connivenza tra Chiesa e ‘drangheta, mafia, camorra durata almeno fino al pontificato di Giovanni Paolo II.
E non si pensi che sia soltanto questione calabrese (o siciliana o campana). Se l’omertà della paura è difficile da vincere, «ancora più difficile è sconfiggere l’omertà della convenienza», avverte la presidente della commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi. E questa è una faccenda soprattutto del Nord, dove gli ‘ndranghetisti vengono a cercare i soldi che non ci sono in Calabria, e dove le aziende credono di poter gestire (salvo capire poi quanto sia fatale l’errore) quei soldi. C’è tuttavia qualche spiraglio di ottimismo. Ed è lo stesso Grasso a dirlo quando saluta il processo di beatificazione del magistrato Livatino, altra vittima della mafia. «È importante – dice il presidente del Senato – attribuire a magistrati che lottano contro il fenomeno mafioso il valore del martirio per il bene comune».
Grasso e Bindi ieri sera erano a Castenedolo, con il direttore di Famiglia Cristiana don Antonio Sciortino, l’onorevole Rita Borsellino e il senatore Paolo Corsini per la presentazione del libro di Valle, presente l’autrice. E insieme hanno descritto un fenomeno che deve far drizzare bene le antenne anche qui. Se è vero, come vero è, quel che dice don Sciortino, e cioè che ormai la Chiesa ha fatto il grande salto, ha decretato che la cultura mafiosa è incompatibile con il Vangelo, se ci sono stati gli anatemi di papa Wojtyla nella Valle dei Templi, le condanne di papa Ratzinger, se c’è papa Francesco che prende per mano don Ciotti… è pur vero che gli strumenti della Chiesa stanno nell’educazione e nella formazione alla legalità, come dice Corsini, e hanno tempi lunghi.
E il messaggio dei pontefici deve passare tra i preti, perchè solo se non vanno più a dir messa nei bunker dei boss, se stroncano l’ostentata partecipazione di ‘ndranghetisti alle processioni, insomma “se cominciano a fare i preti davvero – ammonisce don Sciortino –, solo allora possono sconfiggere la criminalità organizzata”. E forse anche per questo ci vuole tempo.
Da storico, Corsini ricorda che le radici della «connivenza» sono antiche, risalgono alle dominazioni spagnole e al sanfedismo dei tempi dell’Unità. Dice che la Chiesa ha subito una «sfida neopagana» e la tolleranza verso i mafiosi ha inciso «sulla sua stessa credibilità come istituzione di tolleranza e profezia». Ma anche lui, come Grasso, Borsellino e Bindi, sottolinea che c’è una dimensione politica del problema, che la ‘ndrangheta «era entrata persino nella Giunta regionale lombarda. E allora la prima cosa da fare per il Governo – sottolinea Bindi – è il «decreto sul 416 ter per disciplinare il voto di stampo mafioso, in caso contrario manderebbe un altro segnale alla mafia».
Se la Chiesa cerca la forza di reagire al suo passato, la crisi rafforza i poteri della malavita organizzata, che ha i soldi e cerca legittimazione al Nord tra il sistema delle imprese – dice Bindi -, e per i magistrati la battaglia diventa più difficile. «Quando il potere criminale è forte – avverte – le sentinelle devono essere più sveglie, lo devono capire la politica, le banche, gli imprenditori, i professori, i giornalisti, e prima di tutti la Chiesa». Quella che – aggiunge Borsellino – ha permesso all’ex presidente della Regione Sicilia Cuffaro di chiudere nel 2006 la sua campagna elettorale in un santuario, e con il cardinale Ruffini rispondeva a Paolo VI che la mafia è sotto controllo e il vero pericolo è il comunismo”.
Non sono atti d’accusa ma la constatazione di una realtà che deve cambiare più alla svelta possibile. Poichè «il popolo siciliano ha vissuto tragedie più estese e ha trovato una capacità di reazione più forte – aggiunge Rita Borsellino in sintonia con Grasso -, in Calabria ci sono solo reazioni isolate, frammentate e non adeguate, che non fanno sistema e per questo non funzionano». Lì c’è la vera emergenza per la società civile e la politica. E c’è, ancora, la situazione più difficile per la Chiesa.COPYRIGH
Mimmo Varone (brescia oggi)