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La mafia in Sicilia, la nuova mappa di Cosa Nostra (2016): le famiglie, i clan, i mandamenti per Provincia

 

3 agosto 2016

di Paolo Borrometi

Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene…”. (Paolo Borsellino)

In attesa di acciuffare il superlatitante Matteo Messina Denaro e con importantissimi colpi inferti alla sua (ampia) rete di fiancheggiatori, ecco la situazione siciliana di Cosa Nostra. Dopo un periodo di inabissamento, la strategia sembra cambiata.

Cosa nostra è ancora in grado di esercitare un forte condizionamento e sfruttamento del tessuto socio-economico ed amministrativo, con logiche parassitarie e corruttive funzionali all’acquisizione di risorse e di posizioni di privilegio, spesso favorite da condizioni di profondo disagio sociale”.

Inizia così la Relazione della Direzione Investigativa Antimafia (Dia) per il secondo semestre del 2015 al Parlamento.

Una Relazione che mette in rilievo tutti i territori inquinati dalle consorterie mafiose. Noi prenderemo in esame le nove Province siciliane.

Per la Dia rimarrebbe “ferma la tradizionale architettura unitaria e verticistica, articolata in famiglie e mandamenti”.

In questo scenario, se da una lato si conferma la tendenza da parte di cosa nostra ad esercitare la propria forza intimidatrice nelle aree d’elezione, dall’altro le politiche affaristiche nelle aree di proiezione potrebbero assumere connotazioni sempre più sofisticate e legate a business ancora inesplorati.

Provincia di Palermo

Mappa mafia Provincia Palermo (Dia
              2015)

Cosa nostra nel territorio palermitano permane in uno stato di costante ridefinizione degli assetti e delle zone di influenzai, dovuto anche alle scarcerazioni di esponenti di primo piano, dalla cui autorevolezza criminale sembrano spesso dipendere le vicende complessive delle consorterie.

Queste vicende non sembrerebbero, tuttavia, aver scalfito la tradizionale architettura unitaria e verticistica, articolata in famiglie e mandamenti. I rispettivi capi conserverebbero, infatti, la carica anche durante lo stato di detenzione, delegando l’ordinaria amministrazione a specifici reggenti che, sebbene investiti formalmente, risulterebbero affiancati, il più delle volte, da sodali anziani, anche appartenenti a famiglie e mandamenti diversi.

La flessibilità dei mandamenti mafiosi e la maggiore autonomia acquisita da alcune famiglie hanno trovato ulteriore, recente conferma, nell’ambito dell’indagine “Grande Passo 3”.

L’operazione ha accertato sia l’esistenza, all’interno del mandamento di CORLEONE, di fratture determinate da correnti contrapposte, riconducibili rispettivamente a Bernardo PROVENZANO e Salvatore RIINA, sia l’animosità delle famiglie dell’Alto Belice, al confine tra le province di Palermo ed Agrigento, ambiziose di costituirsi in un’autonoma articolazione territoriale.

L’indagine ha peraltro evidenziato l’affermazione della nuova famiglia di CHIUSA SCLAFANI. Questo stato di cose, con riflessi sulle consorterie gravitanti nel resto della Sicilia, conferisce a cosa nostra quella duttilità che le consente continuità ed efficacia nell’esercizio del potere criminale.

L’attuale mappatura geo-criminale vede ora il territorio suddiviso in 14 mandamenti (di cui 8 in città), nell’ambito dei quali sono incardinate 79 famiglie, compresa la neo costituita famiglia prima menzionata.

Mappa mafia Città Palermo (Dia 2015)

Il ricorso a strategie violente rimane confinato ai casi in cui è necessario riaffermare il controllo sulle aree d’influenza, in risposta ad iniziative, non autorizzate, di soggetti appartenenti alla medesima compagine mafiosa.

Cosa nostra continua, infatti, a prediligere una politica di mimetizzazione e silente infiltrazione del tessuto economico-sociale, anche attraverso il ricorso a pratiche corruttive, che rendono il sistema permeabile e disponibile al compromesso.

L’analisi dello scenario criminale della provincia evidenzia, inoltre, come le strategie operative di cosa nostra esprimano una particolare propensione verso il traffico di stupefacenti, gestito direttamente da sodali o personaggi contigui all’organizzazione mafiosa.

Recenti indagini hanno confermato la propensione di Cosa Nostra “ad inserirsi nel settore delle opere pubbliche, facendo ricorso a società di comodo o ricercando e coltivando un rapporto diretto con imprenditori assoggettati o compiacenti, al fine di creare vere e proprie joint venture occulte”.

Ci si riferisce a quella tendenza, in più occasioni dimostrata giudiziariamente, di una certa imprenditoria spregiudicata che instaura con il mafioso forme di collaborazione finalizzate ad incrementare i propri interessi economici, facendo appunto leva sull’appoggio delle famiglie, in grado di escludere dal mercato eventuali competitor.

Provincia di Agrigento

Mappa mafia Provincia Agrigento (Dia 2015)

Cosa nostra agrigentina si presenta, nei profili essenziali, un’organizzazione unitaria, pienamente operativa ed inserita nel sistema mafioso della Sicilia occidentale, di cui riflette dinamiche e criticità. Quanto alle aree d’influenza, cosa nostra agrigentina risulta essere strutturata su 7 mandamenti e 42 famiglie.

Importante, per la Provincia di Agrigento, è il riassetto degli equilibri interni, determinato in buona parte dall’arresto dei capi dell’organizzazione e dalle scarcerazioni di importanti sodali. Questi ultimi, tornati in libertà, rivendicherebbero spesso le precedenti posizioni di comando, incidendo significativamente sugli organigrammi delle famiglie e conferendo duttilità all’organizzazione, che conserva tuttavia le proprie potenzialità criminali.

Una chiave di lettura degli andamenti criminali della provincia viene dall’operazione “Icaro”, che ha consentito, tra l’altro, di documentare il consolidamento dell’alleanza tra i sodalizi agrigentini e quelli palermitani e, in particolare, di fare luce sui contatti tra il capo della famiglia di SANTA MARGHERITA BELICE e gli emissari del supermandamento di SAN GIUSEPPE JATO e PARTINICO.

Le investigazioni hanno inoltre fornito un aggiornato quadro di situazione su vertici e organigrammi delle famiglie mafiose di SANTA MARGHERITA BELICE, RIBERA, CIANCIANA, MONTALLEGRO, CAMPOBELLO DI LICATA, AGRIGENTO e PORTO EMPEDOCLE, in grado peraltro di alterare gli assetti imprenditoriali e sociali del territorio, anche sotto il profilo del condizionamento della cosa pubblica”.

Un condizionamento che passa necessariamente, anche in questa Provincia, attraverso la corruzione di soggetti appartenenti alla Pubblica Amministrazione e al mondo economico-finanziario. L’attività estorsiva in danno di imprenditori, commercianti ed altri operatori economici rappresenta ancora la forma delittuosa più ricorrente e redditizia, fondamentale per la sussistenza dell’organizzazione stessa, in quanto garantisce una cospicua fonte di liquidità ed allo stesso tempo un capillare controllo del territorio”.

E’ noto, peraltro, come la realtà mafiosa agrigentina mantenga propaggini, storicamente trapiantate, nel continente nordamericano”, oltre che in Europa, le quali costituiscono presidi operativi per i maggiori traffici illeciti internazionali, fornendo peraltro supporto logistico a sodali che intendono sottrarsi a conflittualità interne o in caso di latitanza. È il caso dell’arresto”, avvenuto nel mese di settembre in Germania, di uno dei tre responsabili di un omicidio di chiara matrice mafiosa – commesso a Licata in data 1 gennaio 2015 – rintracciato a Colonia dove si era rifugiato dopo il delitto, trovando ospitalità tra esponenti criminali emigrati.

Provincia di Trapani

Cosa Nostra trapanese si suddivide in 4 mandamenti, che raggruppano 17 famiglie, come evidente nella cartina che segue.

Mappa mafia Provincia Trapani (Dia 2015)

Caratterizzate da una forte coesione determinata dalla presenza del superlatitante, Matteo Messina Denaro, le consorterie trapanesi operano in sinergia con le più potenti famiglie palermitane, con le quali condividono strategie di politica criminale, anche ultra provinciale, sia per la gestione di attività imprenditoriali che per quelle tipicamente illecite.

Il circuito relazionale che continua a proteggere Matteo Messina Denaro è costituito da parenti, affini, presunti “uomini d’onore”, affiliati e prestanome fidati.

Le attività investigative, svolte sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, puntano, infatti, ad eroderne le fonti di sostentamento, scardinando la complessa catena logistica che lo sostiene.

Un duro colpo alla rete relazionale del latitante di Castelvetrano è stato dato con l’Operazione “Hermes”, a seguito della quale sono stati arrestati 11 soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso e favoreggiamento personale aggravato. Le investigazioni sono state orientate, in una prima fase, verso una serie di soggetti che, per caratura criminale e ruolo all’interno delle consorterie mafiose trapanesi, erano stati individuati quali possibili favoreggiatori. Successivamente, è stata ricostruita la rete di distribuzione dei “pizzini” diretti al latitante o da questo prodotti per comunicare con i familiari.

Nel complesso, l’azione svolta dalla Magistratura e dalla polizia giudiziaria negli ultimi anni ha fortemente inciso su una larga parte della cerchia familiare del latitante, appartenenti alla quale sono tutt’ora detenuti per reati di particolare gravità, come l’associazione per delinquere di tipo mafioso, l’estorsione aggravata e il trasferimento fraudolento di valori.

Sul piano generale, cosa nostra trapanese continua a caratterizzarsi per la spiccata propensione ad infiltrare, anche attraverso interposizioni fittizie, i centri di potere e di controllo amministrativo-finanziario, per ottenere il monopolio dei settori maggiormente remunerativi, primo fra tutti quello degli appalti pubblici.

A questa strategia imprenditoriale si affianca, poi, il ricorso alle estorsioni, quale strumento di controllo del territorio. Anche in quest’area lo spaccio di sostanze stupefacenti, assieme ai reati predatori, costituisce la principale attività della manovalanza straniera, che si colloca, comunque, in posizione subalterna alle consorterie mafiose.

Provincia di Caltanissetta

Mappa mafia Provincia Caltanissetta (Dia 2015)

Gli attuali equilibri di cosa nostra, caratterizzata nella provincia nissena dalla storica convivenza con la stidda, non sfuggono alla generalizzata opera di ristrutturazione in atto all’interno dell’intera organizzazione criminale siciliana.

In questo processo di autorigenerazione, si delineano nuove leadership, condizionate dalle scarcerazioni di importanti “uomini d’onore” e dalle conseguenti rivisitazioni di assetti e di alleanze.

La principale novità, verificabile dagli esiti dell’operazione “Redivivi”, riguarda un tentativo di superamento di vecchi conflitti attraverso politiche d’inclusione, attuato della famiglia RINZIVILLO, per potenziare la propria supremazia nell’area gelese.

Ci si riferisce, in particolare, al progetto strategico avviato dal reggente della famiglia dei Rinzivillo, finalizzato a coinvolgere nelle attività della consorteria anche lo schieramento antagonista degli EMMANUELLO (da tempo in declino) nonché a stringere alleanze, per la gestione del traffico di stupefacenti, con il clan stiddaro DOMINANTE — CARBONARO, operante nel ragusano.

Nell’ultimo periodo, l’unico omicidio di mafia registrato sarebbe, peraltro, da ricondurre ad un regolamento di conti interno alla famiglia RINZIVILLO, cui la vittima risultava affiliato.

Sul territorio, cosa nostra conserva la tradizionale suddivisione in quattro mandamenti, sui quali insistono complessivamente tredici famiglie, mentre i clan stiddari (CAVALLO e FIORISI di Gela e SANFILIPPO di Mazzarino) manterrebbero la propria influenza nell’area compresa tra i Comuni di Gela, Niscemi e Mazzarino.

Infine, proprio nel territorio gelese, il “gruppo ALFERI”, recentemente riconosciuto quale autonoma associazione a delinquere di tipo mafioso, invisa sia a cosa nostra che alla stidda, risulta fortemente ridimensionato, anche sotto il profilo patrimoniale.

Sul piano generale, le attività illecite delle consorterie nissene appaiono connotate da condotte estorsive e indirizzate all’infiltrazione dell’economia legale della provincia, con particolare riferimento ai settori dell’agricoltura, dell’industria, del commercio, delle opere pubbliche e dei servizi.

L’operazione “Redivivi” ha avuto il merito di svelare, oltre alle possibili rimodulazioni strutturali interne ai clan, anche l’ingerenza di cosa nostra nella gestione del ciclo dei rifiuti, grazie alle dichiarazioni di alcuni imprenditori gelesi, risultati vittime di intimidazioni da parte del sodalizio mafioso, che intendeva estrometterli dalla raccolta del materiale plastico dismesso dai serricoltori.

Le investigazioni hanno inoltre dimostrato come la famiglia RINZIVILLO avesse ulteriormente rafforzato il proprio controllo del territorio, con l’imposizione di un servizio di “guardiania” presso le aziende agricole ubicate nella campagna gelese.

Per altri aspetti, la silente contaminazione delle attività imprenditoriali si realizzerebbe attraverso una fitta trama di relazioni con figure della c.d. zona grigia, creando una saldatura con il mondo politico-amministrativo e del professionismo. Non a caso, anche per quest’area, il settore degli appalti, pubblici e privati, si conferma particolarmente esposto, con pratiche che vanno dall’intestazione fittizia di beni, al condizionamento della Pubblica Amministrazione.

Sono stati registrati, inoltre, episodi intimidatori indicativi dell’interesse delle famiglie alla coartazione e al condizionamento delle scelte politiche ed amministrative degli Enti anche in questa Provincia si è assistito ad una progressiva metamorfosi del rapporto affaristico tra imprenditori collusi e mafiosi.

Gli accertamenti hanno consentito di rilevare l’acquisizione, tramite l’interposizione fittizia di familiari, di un’attività di commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi. Ulteriore, importante fonte di guadagno è costituita dallo spaccio e dal traffico delle sostanze stupefacenti”, generalmente provenienti da altre aree o per il tramite di personaggi non necessariamente riconducibili alle famiglie mafiose presenti sul territorio.


Provincia di Enna

Mappa mafia Provincia Enna (Dia 2015)

La provincia di Enna costituisce una storica retroguardia strategica per l’organizzazione di cosa nostra nissena e catanese ed è caratterizzata dalle tipiche espressioni mafiose finalizzate al controllo del territorio, in primis sotto forma di estorsioni, nonché da una fase riorganizzativa dei propri assetti e interessi illeciti.

Ormai da tempo, vecchi e nuovi boss locali, per imporsi sul territorio ricorrerebbero ad alleanze con le vicine organizzazioni delle provincie di Catania, di Caltanissetta e anche di Messina, non senza l’insorgenza di conflitti quando quest’ultime manifestano la tendenza ad assumere posizioni di egemonia.

La criminalità organizzata ennese, allo stato priva di personaggi carismatici in libertà, continua, pertanto, a risentire dell’influsso dei limitrofi sodalizi mafiosi, che spingono sul capoluogo colmandone i vuoti di potere.

In questa fase di transizione, in cui si denota l’assenza di una guida unanimemente riconosciuta, personaggi provenienti dall’area catanese, – in particolare soggetti della famiglia mafiosa dei “CAPPELLO”, interessata al controllo della provincia – eserciterebbero da tempo una particolare pressione sui comuni confinanti.

Provincia di Catania

Mappa mafia Provincia Catania (Dia 2015)

Il panorama criminale catanese condiziona l’intera parte orientale dell’Isola, alcuni centri dell’ennese e della zona peloritana — nebroidea (messinese), risultando organizzato su tre livelli: il primo, più strutturato, è contrassegnato principalmente da componenti delle famiglie di cosa nostra di Catania e provincia (SANTAPAOLA e MAZZEI) e di Caltagirone (LA ROCCA);

il secondo, meno evoluto ma non meno pericoloso, è costituito da clan, in ogni modo fortemente organizzati e storicamente presenti sul territorio, quali i CAPPELLO-BONACCORSI e i LAUDANI, quest’ultimo sempre particolarmente in fermento;

il terzo è costituito da pochi elementi, facenti parte dei disarticolati clan PILLERA, SCIUTO, CURSOTI, PIACENTI, NICOTRA, di fatto quasi completamente assorbiti dal clan CAPPELLO-BONACCORSI.

Sebbene la struttura organizzativa dei clan del territorio sia soggetta a continue riorganizzazioni, dovute alla conflittualità insita ai vari gruppi ed all’azione di contrasto, permangono condizioni di non belligeranza tra i principali schieramenti, frutto di condivise politiche di spartizione del territorio, di accordi affaristici e di alleanze prodromiche a disegni criminali convergenti.

Nell’ambito di tali dinamiche, non di rado si registra, per mero calcolo opportunistico, il passaggio di alcuni affiliati da determinate consorterie ad altre, rendendo fluida la composizione delle organizzazioni.

Proseguendo nella descrizione delle dinamiche della provincia, rispetto alla generale situazione di “calma apparente”, l’area compresa tra i Comuni di Adrano, Paternò e Biancavilla esprime una maggiore turbolenza, dovuta alle storiche frizioni interne al clan TOSCANO-MAZZAGLIA, alleato della famiglia mafiosa SANTAPAOLA-ERCOLANO, di recente confermate dalle risultanze di un’operazione antidroga. In tale contesto potrebbe collocarsi il tentato omicidio, verificatosi a Biancavilla il 15 luglio 2015, ai danni di un soggetto ritenuto affiliato, tramite un clan locale, alla famiglia dei SANTAPAOLA—ERCOLANO.

Passando alla descrizione delle strategie affaristico-mafiose delle organizzazioni criminali etnee, si profila la tendenza a mantenere una condotta di “inabissamento”, certamente funzionale ad evitare situazioni di allarme sociale che potrebbero aumentare il livello di attenzione delle Istituzioni e delle Forze dell’ordine. Tale atteggiamento si traduce, non a caso, in una “politica” di presenza sul territorio che privilegia innanzitutto il reinvestimento e il riciclaggio dei capitali illeciti, attraverso una “mimesi” imprenditoriale e la conseguente infiltrazione nell’economia legale.

La propensione è quella di colonizzare qualsiasi aspetto della vita economica e sociale, per ricavarne profitti, prestigio e il riconoscimento pubblico di cui, soprattutto gli elementi di spicco, non accennano a rinunciare per affermarsi sul territorio.

In linea generale, in Sicilia orientale cosa nostra si sarebbe spogliata del monopolio delle attività criminali di basso profilo, limitandosi a gestire interessi di portata strategica, tendendo così ad assumere la connotazione di una impresa criminale “elitaria”.

In particolare, riserverebbe per sé la manipolazione degli appalti pubblici, la gestione delle sale scommesse e il controllo della catena logistica nel settore dei trasporti (soprattutto su gomma), delle reti di vendita, delle energie alternative e dell’edilizia.

Al pari delle altre province, cosa nostra catanese sta facendo registrare una forte propensione nella gestione del traffico degli stupefacenti, anche attraverso nuove forme di collaborazione.

In proposito, recenti investigazioni hanno fatto emergere come i sodali di clan e famiglie mafiose diverse, pur ripartendosi le piazze di spaccio, avrebbero talvolta fatto confluire i proventi delle illecite attività in una stessa “cassa comune”.

Ulteriori operazioni antidroga, condotte sempre nel semestre, hanno messo in luce lo stretto rapporto esistente tra un gruppo criminale catanese, riconducibile al clan PILLERA, ed albanesi, finalizzato all’approvvigionamento di marijuana.

Si conferma, inoltre, la piena operatività nel mercato della droga del clan CAPPELLO-BONACCORSI, attivo con numerosi affiliati in fiorenti piazze di spaccio di Catania, che in alcune occasioni si sarebbero addirittura avvalsi, per il trasporto dello stupefacente, delle ambulanze di una onlus del posto.

Per quanto riguarda l’approvvigionamento di cocaina, le consorterie continuano a mantenere solidi rapporti con i clan calabresi e campani.

Mappa mafia Città Catania (Dia 2015)

Quanto all’interesse di cosa nostra nell’influenzare la gestione e l’amministrazione dei vari Enti locali, vale la pena di richiamare la relazione dal titolo “li Comune di Catania e la presenza di amministratori con rapporti di parentela con soggetti condannati per mafia”, predisposta dalla “Commissione d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia in Sicilia” dell’Assemblea Regionale Siciliana”.

La Commissione, che ha valutato, in ragione dei poteri attribuiti, le posizioni dei singoli consiglieri da un punto di vista esclusivamente politico, ha evidenziato, nelle parti conclusive del documento — comunque partecipato alla “Commissione Parlamentare Antimafia” — che “ciò che l’odierna indagine ha disvelato è altresì la debolezza con cui la politica riesce a formare anticorpi rispetto alla possibilità che soggetti di dubbia moralità possano incunearsi nei partiti e, quindi, nelle assemblee rappresentative”.

Non sono infine mancati episodi di danneggiamento” ai danni di amministratori locali, che potrebbero essere interpretati come tentativi, da parte della criminalità organizzata, di condizionare l’operato della Pubblica Amministrazione.

Provincia di Siracusa

Mappa mafia Provincia Siracusa (Dia 2015)

In Provincia di Siracusa l’operatività dei clan rimane sempre attiva. Il territorio risulta caratterizzato dalla presenza di due macro gruppi di riferimento che si fronteggiano, senza tuttavia scontrarsi apertamente, e che fanno sentire la loro influenza in ambiti geografici definiti.

Nel contesto urbano di Siracusa sono attivi: il gruppo BOTTARO-ATTANASIO, presente soprattutto nella zona sud della città, compresa l’isola di Ortigia, legato da tradizionali buoni rapporti con il clan CAPPELLO di Catania;

recentemente, la frangia riconducibile al clan URSO, in seguito alla scarcerazione dell’attuale reggente, si sarebbe resa autonoma senza apparenti conflittualità;

il gruppo SANTA PANAGIA, operante nel quadrante nord, che costituisce una frangia cittadina del più consistente e ramificato gruppo NARDO- APARO-TRIGILA. Quest’ultimo gruppo, legato a cosa nostra catanese, sarebbe attivo nella provincia aretusea.

In particolare: la zona nord (Lentini, Carlentini ed Augusta) ricadrebbe sotto l’influenza del clan NARDO.

la zona sud (Noto, Pachino, Avola e Rosolini) vede l’operatività del clan TRIGILA (nel comune di Pachino si è regi-strato il tentativo di riorganizzazione del clan GIULIANO, dedito principalmente al traffico di stupefacenti).

la zona pedemontana (Floridia, Solarino e Sortino) risente dell’influenza del clan NARDO.

Il territorio di Cassibile è influenzato dall’operatività del clan LINGUANTI, filiazione di quello dei TRIGILA.

La penetrante azione di contrasto della Magistratura e della Polizia Giudiziaria ha fatto sì che i capi dei gruppi criminali NARDO-APARO-TRIGILA siano, ad oggi, tutti ristretti in regime di c.d. “41 bis”.

Come accennato, tra le formazioni criminali si starebbe registrando uno stato di convivenza pacifica, da ritenersi funzionale ad un più efficace svolgimento delle attività criminali, sia nei tradizionali settori del traffico di stupefacenti e dell’estorsione, sia in quelli che collegano gli interessi dei clan ad apparati delle pubbliche amministrazioni, quali l’ottenimento di finanziamenti pubblici.

Provincia di Ragusa

mappa mafia ragusa (dia 2' semestre 2015)

La droga in Sicilia arriva dal porto di Gioia Tauro, grazie all’accordo tra cosa nostra, stidda e ‘ndrangheta.

Lo scriviamo da tempo, lo abbiamo sostenuto qualche giorno prima dell’omicidio del boss della ‘ndrangheta Michele Brandimarte a Vittoria (LEGGI ARTICOLO).

La Direzione Investigativa Antimafia, nella Relazione semestrale presentata al Parlamento, lo ha sottolineato con forza, precisando come “la ‘ndrangheta avesse potuto contare su due canali per il traffico di stupefacenti verso la Sicilia: uno gestito dalla cosca COLUCCIO e dalla famiglia palermitana TAGLIAVIA — LO NIGRO, l’altro gestito dalla cosca COMMISSO in sinergia con il clan ragusano DOMINANTE-CARBONARO”.

Facendo un passo indietro, per la Dia nel ragusano continuano ad esserci “due organizzazioni mafiose contrapposte: stidda e cosa nostra”.

LA STIDDA

La più pericolosa continua ad essere la stidda, con il clan Carbonaro – Dominante, “attivo prevalentemente nei territori di Vittoria, Comiso, Acate e Scicli” (LEGGI ARTICOLO CON TUTTI I NOMI DEL CLAN).

A reggere il clan sono i “Marmarari”, cioè la famiglia Ventura. Il capoclan è detenuto, Filippo Ventura. Il reggente è da poco detenuto ed era Gionbattista Ventura. Così come detenuti sono i figli di Filippo, Angelo Elvis e Jerry, ed il genero di Filippo, Marco Di Martino (LEGGI ARTICOLO).

Uscito da galera appena un anno fa, libero (fino a questo momento), è il figlio di Gionbattista, Angelo Ventura (detto u checco). Con Angelo Ventura (u checco), libero rimane anche il fratello di Filippo e Gionbattista, Gino Ventura e Francesco Giliberto(cognato di Angelo u checco, oltre che proprietario della Linea Pack, azienda del quale – secondo i pentiti – sarebbe il prestanome dei Ventura)

Angelo u checco starebbe cercando di riorganizzare il clan, grazie all’aiuto di persone di assoluta fiducia, come Gianni Giacchi ed i fratelli Refano, Ivan e Salvatore (soggetti non intranei ma, grazie ai quali, Angelo aveva aperto una agenzia funebre, insieme ad Andrea Teresi).

Grande impulso alle indagini hanno dato le dichiarazioni del collaboratore di Giustizia, Rosario Avilache, grazie alla sua coraggiosa decisione di pentirsi ed al rapporto sentimentale con la figlia di Giombattista Ventura, Maria Concetta, ha avuto la possibilità di spiegare agli inquirenti ed alla Distrettuale di Catania gli affari dei Ventura.

Non va dimenticato l’affare della Plastica, con il gruppo Donzelli (Giovanni, il padre di Raffaele, già condannato per mafia) che gestisce numerose società, fra tutte la Sidi Srls, già sotto inchiesta della Guardia di Finanza, per delega della Procura di Ragusa.

E, infine, il ritorno a Vittoria, sempre nel campo della plastica (e non solo!), del mafioso Claudio Carbonaro, prima pentitosi poi, terminata la collaborazione con lo Stato, rientrato nella città luogo di (suoi) numerosi delitti.

IL GRUPPO DI COSA NOSTRA

In antitesi al gruppo della Stidda, nel territorio ibleo opera l’organizzazione che prende il nome dai fratelli PISCOPO, legati alla famiglia mafiosa nissena di cosa nostra degli  EMMANUELLO.

Il clan PISCOPO nell’ultimo periodo “risulta fortemente depotenziato, in ragione del fatto che gli elementi di vertice sono diventati collaboratori di giustizia”. Tale circostanza ha portato addirittura alla reggenza del clan, secondo la Dia (A BREVE UN NOSTRO APPROFONDIMENTO SULLA REALTA’ DI COSA NOSTRA A VITTORIA), “ad un soggetto esterno al gruppo”.

IL MERCATO ED I CONSALVO

Particolare attenzione anche per la Dia risulta ricoprire il Mercato Ortofrutticolo e la filiera.

Una vulnerabilità della filiera agroalimentare dell’area vittoriese – scrive la Dia – che è stata sottolineata anche in uno specifico studio”, nell’ambito del quale i ricercatori, dopo aver incrociato una serie di indicatori ritenuti significativi per individuare l’indice di infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia di una determinata area geografica,hanno collocato la provincia di Ragusa al primo posto in Italia quanto a pressione criminale sul territorio.

Per la Dia “le diverse espressioni criminali iblee sono dedite (oltre al traffico di stupefacenti) alle attività estorsive, pratica che non risparmia il comparto agricolo, settore trainante della zona insieme a quello della pastorizia”.

Per quanto riguarda le estorsioni, nel Mercato ma soprattutto nella filiera agricola, va precisato come non siano quelle universalmente conosciute e riconosciute (al netto di quelle fatte dai Ventura), ma si siano concretizzate attraverso imposizioni di forniture e servizi nella filiera ortofrutticola.

In questo comparto troviamo il gruppo dei CONSALVO, Giacomo è il padre, mentre Michael eGiovanni sono i figli – essi stessi titolari di una ditta per il confezionamento dei prodotti ortofrutticoli —  che avevano, infatti, ottenuto il controllo di tutta la merce che transitava nel mercato, imponendo tangenti ad altri imprenditori agricoli per la commercializzazione dei prodotti”.

Proprio sui Consalvo, ricorda la Dia, “In data 21 settembre 2015, la Polizia di Stato di Ragusa e Catania, nell’ambito dell’Operazione “Box” ha dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare a carico di tre componenti della famiglia CONSALVO, affiliati al clan stiddaro DOMINANTE ritenuti responsabili del reato di estorsione, ai danni di imprenditori attivi nell’indotto ortofrutticolo”.

Sempre a carico dei Consalvo è stato emesso, su proposta del Direttore della D.I.A., “un provvedimento di sequestro di beni, tra cui ville, appartamenti e terreni agricoli, autoveicoli e disponibilità bancarie e finanziare per un valore di oltre 7 milioni di euro”.

DROGA

La provincia di Ragusa è fra le province in Italia dove si commercia e consuma la parte maggiore di sostanze stupefacenti.

Oltre al già citato gruppo Carbonaro-Dominante, con l’accordo con la ‘ndrangheta, “si segnala un forte dinamismo della criminalità organizzata – scrive la Dia – nella fase della commercializzazione, che vede peraltro il sistematico coinvolgimento di soggetti di origine nordafricana. Particolarmente intraprendenti in questo settore risultano i cittadini tunisini”, alcuni dei quali, pienamente inseriti nel tessuto delinquenziale84, hanno spinto la loro attività criminale anche oltre la Provincia di Catania, dove si sono maggiormente insediati, estendendosi anche nel ragusano; piantagioni di cannabis sono state individuate a Vittoria”.

LA MAFIA A SCICLI, DAI RUGGERI AI MORMINA (CON LA PRESENZA DEI GESSO)

Nel territorio di Scicli – scrive la Dia -, al forte ridimensionamento del gruppo storico stiddaro dei RUGGERI, dovuto alla condanna all’ergastolo dei due fratelli che ne erano a capo, è corrisposto l’emergere di un gruppo criminale riconducibile a cosa nostra catanese (famiglia MAZZEI), operante nel settore della droga, delle estorsioni e che si distingue per la propensione ad infiltrarsi nella Pubblica Amministrazione.

Nel recente passato, è stata infatti accertata l’indebita influenza che la famiglia MAZZEI, capeggiata da soggetti riconducibili al gruppo dei MORMINA, aveva esercitato – si legge nella Relazione della Dia – nei confronti degli amministratori del Comune di Scicli, per ottenere il controllo sulla gestione e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. In esito a quanto riscontrato, è stato disposto il commissariamento dell’Ente”.

Va precisato che, poche settimane fa, è stata emessa la sentenza di assoluzione (in primo grado) del già Sindaco di Scicli, Franco Susino, accusato di concorso esterno.

A Scicli rimangono attivi anche i Gesso.

Il padre e capo famiglia, Alfonso Palmiro Gesso, in passato è stato più volte in galera e condannato per mafia ed associazione mafiosa. Tre sono i suoi figli: Roberto, Massimiliano e Mauro.

Provincia di Messina

Mappa mafia Provincia Messina (Dia 2015)

Il territorio della provincia di Messina risulta crocevia di fenomeni criminali di diversa estrazione mafiosa – cosa nostra palermitana, cosa nostra catanese e ‘ndrangheta – che, con la loro influenza, hanno contribuito a determinare una realtà assai eterogenea.

Nel tempo, questo sincretismo criminale ha permesso, da un lato, alla mafia barcellonese ed a quella operante nell’area nebroidea di assumere una strutturazione e metodi operativi del tutto omologhi a quelli di cosa nostra palermitana; dall’altro, alla mafia messinese di emanciparsi dalle tipiche attività delinquenziali per assumere la connotazione di una imprenditoria mafiosa.

La ripartizione delle aree di influenza dei gruppi criminali è rimasta sostanzialmente invariata, sia nella città che nella provincia, così come le alleanze con gli schieramenti mafiosi dei territori confinanti. La sussistenza dei legami tra la criminalità organizzata della provincia e quella catanese è stata confermata.

Il versante tirrenico è stato scenario di un ulteriore filone dell’indagine “GOTHA V”, grazie alla quale sono state colpite le nuove leve della famiglia barcellonese che, nel periodo di vacanza seguita agli arresti dei principali esponenti del sodalizio, avevano comunque perpetrato attività estorsive.

La fascia jonica, che va dalla periferia sud della citta’ di Messina fino al confine con la provincia di Catania, rimane area di influenza delle famiglie catanesi SANTAPAOLA, LAUDANI e CAPPELLO, per il tramite di responsabili locali.

Nella zona nebroidea, compresa tra i Monti Nebrodi e l’estrema periferia ovest del territorio messinese, confinante con quello di Palermo, sono attive le consorterie mafiose dei batanesi e dei tortoriciani.

Nel territorio compreso tra i comuni di Mistretta, Reitano, Santo Stefano di Camastra e Caronia, si registra l’influenza del mandamento mafioso di San Mauro Castelverde, della provincia di Palermo.

Mappa mafia Città Messina (Dia 2015)

Con specifico riferimento al Comune di Messina operano, con influenza su distinte aree rionali, i clan SPARTA e GALLI, ed i gruppi LO DUCA, VENTURA, MANGIALUPI, ASPRI, TRISCHITTA e CUTE.

fonte:http://www.laspia.it/