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L’artigiano rovinato dalla ‘ndrangheta e “tradito” dallo Stato. «Mi hanno tolto tutto»

La storia di Raffaele Fazio, partito negli anni ’90 per il Piemonte ma truffato da un amico e un malavitoso. La denuncia civile e la sentenza prescritta, la “svendita” della falegnameria e il ritor…

Pubblicato il: 01/06/2023 – 13:33

di Giorgio Curcio

LAMEZIA TERME Nessun luogo sperduto può salvare un uomo dai propri ricordi e dalle proprie sofferenze. E la solitudine, a volte panacea, altre volte terribile condanna, non assolve il peccatore ma non placa il dolore di chi si sente defraudato della propria esistenza. Raffaele Fazio non sfugge da questa considerazione. La sua è un’esistenza marcata vistosamente da un prima e un dopo; un passato che sembra lontanissimo e un presente lunghissimo. Una costante agonia con sprazzi di lotta, di speranza. Ci accoglie alla periferia di Serrastretta, ai piedi del Reventino, nel cuore che pulsa silenziosamente di una montagna che pare lontanissima eppure vicina. È qui che Raffale Fazio si apre e racconta al “Corriere della Calabria” la sua esistenza travagliata. I suoi occhi, spesso colmi di commozione, di rabbia e di rimpianti, ci scrutano con attenzione ma anche con gratitudine.

Dalla Calabria al Piemonte, l’origine della storia

La sua storia mette in guardia, ci invita a rialzare la testa e a non dimenticare. A Raffaele Fazio è stato tolto tutto, dopo anni di sacrifici e duro lavoro. Poco più di trent’anni fa, allettato da una nuova prospettiva di vita, si trasferisce in Piemonte. È il 1991 e a 40 anni, con la moglie e due figlie, Fazio ricomincia. «Quella è un’altra storia simile alla criminalità, c’entrano più i “colletti bianchi” ai quali non ho obbedito, facendomi terra bruciata attorno. Per questo la mia è stata quasi una partenza obbligata fuori dalla Calabria».  Il duro lavoro di artigiano in Piemonte non lo spaventa e nel giro di un anno apre la sua falegnameria ad Avigliana. Tutto sembra andare per il verso giusto, poi l’incontro che cambia il suo destino. «Si presenta a casa mia un vecchio amico con cui avevo a che fare qua in Calabria e quindi come tale l’ho accolto e come tale ho creduto alle sue parole. Mi diceva “ho un amico che ha bisogno di alcuni lavori” ma si era infilato in giri di mafia in quei pochi anni che io non l’avevo più frequentato. Quando eravamo qui non aveva quei giri lì. Insomma, quello è stato l’aggancio che hanno usato per fregarmi».

La conoscenza che stravolge la storia

L’artigiano ci spiega ancora: «Per 4 o 5 anni non ci siamo più sentiti e non sapevo in che giro si fosse messo. Poi, nonostante le tante cose che avevamo condiviso, ha ben deciso di farmi questo regalo». Fazio diventa presto suo malgrado vittima di continue vessazioni. E il responsabile non è un soggetto qualunque ma Cesare Polifroni, un uomo ben noto all’interno del panorama della criminalità organizzata, scomparso nel 2021. Sebbene si sia sempre definito lontano dai contesti della ‘ndrangheta, il procuratore della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri, qualche anno fa lo definì «un pezzo grosso della ‘ndrangheta torinese». Negli anni è stato accusato di truffa, associazione a delinquere di stampo mafioso, violenza carnale, lesioni, rapina e contraffazione di opere d’arte. Polifroni diventa un collaboratore di giustizia: in una lunghissima confessione al procuratore Vincenzo Macrì rivela i retroscena di alcuni omicidi di Cosa Nostra. 

Le vessazioni e i “no”

I pagamenti, ai ripetuti “no” di Fazio ai favori chiesti da Polifroni, verranno così ritardati e spingono l’azienda di Fazio alla bancarotta perché, ci spiega, «senza farla lunga, c’era il ricatto sui pagamenti sostanzialmente, del tipo “se fai quello che ti diciamo noi…”. Allora intestati la sim del telefono, e io dicevo “no”; “portami in giro questa roba con il tuo furgone pulito” e io dicevo no». «Ai miei “no” ha sempre risposto rimandando i pagamenti, fin quando ad un certo punto mi hanno fatto chiudere, la banca m’ha fatto chiudere perché qualche creditore che giustamente voleva che io pagassi più di qualche fattura è andato dal giudice, e il giudice giustamente m’ha condannato e io non ho potuto pagare e così hanno pensato bene di pignorare la mia attività, una falegnameria. Quella è stata la prima grande amarezza da parte dello Stato: la mia falegnameria venduta, o meglio regalata, per 3mila euro». «E parliamo della “civile Torino” – rincara amaramente Fazio – non del Vibonese del Crotonese note per essere città di ‘ndrangheta, parliamo della nobile Torino».


«Mi hanno tolto tutto»

Insomma, la situazione presto degenera fino all’impossibilità di coprire le spese e il fallimento. E, dopo la svendita della sua falegnameria, l’artigiano calabrese accusa il colpo, anche in famiglia. «È stato un po’ come avermi tolto tutto – riconosce – anche perché mia moglie, vista la situazione, ha ben deciso sul consiglio del suo avvocato e dei parenti di andarsene. E quindi sono rimasto quasi in mezzo alla strada. Mi sono barcamenato a far qualcosa di qua e di là, per fortuna ho trovato qualcuno che mi ha dato una mano, poi 10-12 anni fa ho pensato di ritornare giù perché speravo di andare in pensione. Poi la storia della Fornero (la riforma pensionistica ndr) e per 4 mesi non sono riuscito ad andare in pensione, la cosa si è allungata. Insomma, qui è stato sempre un sopravvivere, un cercare aiuto di qua e di là. E tutto questo in estrema solitudine. Polifroni lì in Piemonte era tutelato perché pentito, quindi a Torino io ho visto delle scene in tribunale che mia hanno fatto capire che questo soggetto poteva fare il bello e il cattivo tempo come voleva e quando voleva. Alla fine dei conti hanno dato dei benefit al mafioso e ha detto sempre dei no nei miei riguardi».

L’iter giudiziario

Il castello crolla, e crollano anche le certezze dell’artigiano calabrese che denuncia tutto. Ma la macchina della giustizia si ingolfa e Fazio, così, diventa vittima due volte. «C’è stata un’udienza per la mia denuncia contro il mafioso ma l’avvocato probabilmente deve aver sbagliato strategia e ha fatto una denuncia semplicemente civile, dicendo che con l’esito della civile avrebbe fatto poi una denuncia penale. Ma la nobile Torino si è tenuta la sentenza cinque anni nel cassetto».

Arriva la prima sentenza nel processo civile che cita il 416bis, rimandando tutto al procedimento penale. La denuncia, però rimane nel cassetto 5 anni, fino all’archiviazione. «Ho poi cambiato avvocato perché il mio mi diceva sempre di aspettare, poi però è arrivata l’archiviazione per prescrizione come è accaduto il 23 dicembre 2019, pochi mesi prima del Covid». «Allora io voglio capire da uomo ignorante ma che usa il buon senso: come mai un giudice del civile ipotizza 416 bis e questi qua se ne fottono? Qualcuno mi dice “perché non hai fatto opposizione” e con cosa? Io faccio fatica ad arrivare a fine mese, campo si fa per dire con una pensione minima di 600 euro oggi, e mi devo pagare pure casa in affitto e l’unico lusso che mi permetto sono i cani». Poi la considerazione amara di Fazio: «Io non sono stato in silenzio, avete visto quel manifesto, io mi sono anche incatenato a “Trame”, quindi non sono stato zitto per vergogna o per altro, anzi ho gridato in tutti posti possibili e immaginabili, ma le “antimafie” famose tutte zitte». La lettera al Tribunale di Torino

La disperazione di Fazio è un grido inascoltato trascritto in una lettera inviata il 31 marzo 2023 al Tribunale di Torino. Tra le frasi più incisive, l’artigiano riscostruisce il suo percorso giudiziario e spiega: «Sono stato anche deriso, lo sapete che qui in paese mi prendono in giro? Mi hanno detto che io ho avuto la fortuna di aver incontrato il mafioso e che avrei dovuto mettermi d’accordo con lui, che mi sarei fatto la carriera». Tra le righe della lettera, poi, inviata al Tribunale di Torino, lo sfogo amarissimo di Fazio: «Dite “denunciate che lo Stato c’è” ma me lo dite con me dove e quando c’è stato?».


Una vicenda tanto drammatica quanto assurda. E a Raffaele Fazio, commosso, non resta che l’amara considerazione di un’esistenza lontana da quelle che lui aveva sempre immaginato. «Questo inverno, a onore del vero, lo Stato mi ha concesso una “libertà”, scegliere se rinunciare al riscaldamento e all’acqua calda o al mangiare o a curarmi. Voi, quando tornate a casa, trovate le comodità di una famiglia, io non trovo nessuno, è una casa fredda. Qualcuno di questo Stato ce lo fa a provare un po’ di vergogna?» «A me tante volte mi ripetono “lì è morto il figlio, a te no” ma scusate, io per questa vicenda ho una figlia che non mi parla da 7 anni, non è aver ucciso una famiglia? O no?». (g.curcio@corrierecal.it)

fonte:https://www.corrieredellacalabria.it/2023/06/01/lartigiano-rovinato-dalla-ndrangheta-e-tradito-dallo-stato-mi-hanno-tolto-tutto-video/