MISTERI,TANTI MISTERI SUI QUALI C’E’ L’ESIGENZA DI FARE LUCE.
IN ESSI APPAIONO SPESSO NELLA PROVINCIA DI LATINA GAETA ED IL SUO PORTO …………….
IL FATTO QUOTIDIANO.IT
Mafia capitale e la palude di Latina: tra omertà e minacce, indagare non si può
Minacce ai pm, fughe di notizie e decreti di intercettazione appena attivate in mano a chi non doveva averle. Il procuratore aggiunto di Roma: “Senza registrazioni telefoniche e ambientali non riusciamo a fare inchieste sulle organizzazioni mafiose”
di Andrea Palladino | 13 dicembre 2014
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Lo sguardo dei due poliziotti all’ingresso della prefettura diLatina improvvisamente si irrigidisce. Claudio Fazzone – il senatore divenuto famoso per aver difeso la sua città natale Fondi dallo scioglimento per mafia – entra senza guardarsi attorno. Questo è il palazzo da dove partì la commissione d’accesso che andò a verificare l’operato della giunta retta dal suo amico e socio Luigi Parisella, tra il 2008 e il 2009. E questo era l’ufficio dove sedeva Bruno Frattasi, il prefetto che chiese a Maroni di mandare a casa il consiglio comunale fondano, con il sospetto di essere stato troppo tenero con i clan di ‘ndrangheta e camorra. Oggi il senatore Fazzone varca la soglia con un ruolo inaspettato: componente della commissione parlamentare antimafia, arrivata a Latina per capire quanto forte sia il peso della criminalità organizzata a sud di Roma. Presenza, la sua, sorprendente, visto che fino a ieri a palazzo San Macuto non si era fatto mai vedere.
Latina è da decenni un pezzo dello scacchiere delle mafie, dove ‘ndrangheta, Cosa Nostra e camorra si spartiscono affari, pezzi di territorio, conquista del litorale, logistica: “Una presenza ormai radicata e strutturata” avevano spiegato il procuratore della Dda di Roma Giuseppe Pignatone e il suo aggiuntoMichele Prestipino, dopo aver a lungo raccontato l’inchiesta diMafia Capitale, basando le parole sui tanti fascicoli accumulati dall’antimafia da più di un decennio. Processi che hanno visto imputati – poi condannati – gente del calibro di Zagaria, o i fratelli Tripodo, figli del mammasantissima di Reggio Calabria don Mico, nome storico delle cosche del sud, ucciso nel carcere diPoggio Reale negli anni ’70.
Su una cosa Fazzone non ha dubbi: “Il consiglio comunale di Roma va sciolto per infiltrazione mafiosa”, racconta ai giornalisti a margine della audizioni che la commissione parlamentare ha tenuto oggi. In tanti si guardano negli occhi: “A Fondi era differente – aggiunge, intuendo il paradosso delle sue parole – lì non c’era un solo consigliere comunale condannato, solo un assessore finito nell’inchiesta per problemi personali. Qui le mafie non sono strutturate – spiega – la presenza è la conseguenza di qualche personaggio arrivato da fuori. Non generalizziamo, ne va di mezzo l’economia del territorio”. Una realtà ben lontana da quella disegnata dagli ufficiali che nel 2008 analizzarono le carte del comune del sud pontino, sottolineando in rosso gare d’appalto, procedure extra ordinem, amicizie sospette. Se Roma brucia, Latina per il momento sonnecchia.
Dietro l’aria di festa natalizia che già si respira nelle strade c’è ungiudice minacciato pesantemente, con due manifesti funebri appesi davanti alla scuola delle figlie. Si chiama Lucia Aielli, e fu lei a presiedere la sezione penale che giudicò i mafiosi di Fondi. La commissione parlamentare antimafia l’ha convocata per ascoltare il suo racconto, che viene definito “toccante e intenso”. Uscendo dalla sala della prefettura di Latina spiega di aver ricordato il clima pesante che viveva quando doveva giudicare i fratelli Tripodo di Fondi, poi condannati fino in Cassazione per mafia. Sensazioni che difficilmente può dimenticare, che si mescolano con l’immagine di quei due manifesti funebri che una mano ignota le ha dedicato poco meno di un mese fa. Poi tocca al procuratore Andrea De Gasperis, al presidente del Tribunale e ai comandanti delle forze dell’ordine. Cosa hanno raccontato? “Non chiediamo dettagli sulle indagini in corso, neanche in seduta segreta – spiega il capogruppo del M5s in commissione antimafia Francesco D’Uva – perché c’è sempre il rischio che tra i 50 parlamentari commissari vi possa essere qualcuno che poi riferisca le notizie riservate”. Insomma, non si sa mai, di questi tempi meglio non fidarsi. E a Latina certe prudenze assumono un certo peso.
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Il giorno prima della missione e delle audizioni nella capitale pontina è stato il procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino a spiegare alla commissione come sia difficile fareindagini antimafia da queste parti. “Vi racconto un episodio significativo”, aveva esordito, chiedendo apertamente di non secretare il suo racconto. Una storia apparentemente strampalata di spioni e ricatti, ma che bene descrive la palude pontina in fondo mai bonificata del tutto. “Tempo fa un signore querela una persona per molestie. Un fatto banale – ha esordito il magistrato romano – che alla fine termina con una remissione di querela”. I due, però, continuano ad avere screzi e decidono di incontrarsi a Roma per risolvere la questione. La vittima della molestia si presenta con un giubbotto antiproiettile. L’altro si allarma, chiama i carabinieri che lo perquisiscono. E qui c’è una sorpresa degna di una spy story: “I carabinieri trovano addosso all’uomo alcuni decreti d’intercettazione appena attivate, proprio su Latina”, ha raccontato Prestipino davanti a commissari decisamente sorpresi.
Atti d’indagine della Dda di Roma coperti da segreto. La giustificazione è ancora più sorprendente: “Sono un collaboratore dei servizi di sicurezza – ha raccontato l’uomo, un romano, titolare di una società di security a Londra, ma ben noto nella capitale – e ho avuto un incarico da chi si occupa di intercettazioni a Latina”. Peccato che la Ddanon ne sapesse nulla. Alla fine alcuni titolari della ditta incaricata di eseguire quelle delicate attività tecniche d’indagine sono stati indagati. “Capite come è difficile fare indagini a Latina? – ha commentato il magistrato romano – Senza intercettazioni non riusciamo a fare indagini per mafia”. Non è chiaro al momento se questa storia – divenuta pubblica in questi giorni – sia ascrivibile ad una semplice leggerezza. E, soprattutto, non è chiaro il profilo di Molayem, che sosteneva di lavorare perfino per il Mossad. Se Mafia Capitale vuol dire politica, affari e metodo mafioso, la palude pontina aggiunge un altro elemento al quadro. E’ il silenzio. Tra i coloni veneti che qui arrivarono negli anni ’30 si dice spesso “magna e tasi”, mangia e stai zitto. Qui in fondo le mafie investono e a guadagnarci sono in tanti. Forse troppi.
Michele Prestipino, procuratore aggiunto a Roma e titolare dell’inchiesta “Mafia capitale”, ha raccontato in Commissione antimafia un episodio al limite dell’incredibile che riguarda Latina.
In seguito a una banale denuncia un uomo è stato perquisito a Roma. Il soggetto indossava un giubbotto antiproiettile, sotto al quale nascondeva una chiavetta usb contenente un decreto del Gip di autorizzazione per effettuare alcune intercettazioni nell’ambito di un’inchiesta sulla mafia.
L’uomo aveva addirittura i primi brogliacci di un’attività investigativa ancora in corso, iniziata da poco e affidata alla DDA di Roma. Aveva anche un finto tesserino del Mossad e di un’azienda inglese che si occupa di intercettazioni telefoniche. Dagli approfondimenti è emerso anche di peggio: questa persona lavorava per una ditta che si occupava di moltissime intercettazioni telefoniche nella zona di Latina. Una sorta di subappalto che coinvolge evidentemente persone non integre, né affidabili.
Un caso gravissimo che, secondo Prestipino, non è assolutamente isolato, tanto che è possibile ipotizzare che molte intercettazioni vengano – dopo alcuni giorni – in qualche modo sottoposte ai diretti interessati, vanificandone l’utilità.
INTERROGAZIONE ON.CRISTIAN IANNUZZI DEL 23.5.2016
ATTO CAMERA
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/13286
Dati di presentazione dell’atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 629 del 23/05/2016
Firmatari
Primo firmatario: IANNUZZI CRISTIAN
Gruppo: MISTO-ALTRE COMPONENTI DEL GRUPPO
Data firma: 23/05/2016
Destinatari
Ministero destinatario:
· PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
· MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
· MINISTERO DELL’INTERNO
· MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
Attuale delegato a rispondere: PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI delegato in data 23/05/2016
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera
Interrogazione a risposta scritta 4-13286
presentato da
IANNUZZI Cristian
testo di
Lunedì 23 maggio 2016, seduta n. 629
CRISTIAN IANNUZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell’interno, al Ministro dell’economia e delle finanze . — Per sapere – premesso che:
dagli anni ‘90 si parla di negoziato fra pezzi di Stato ed esponenti di primo piano della camorra; un negoziato che è stato messo bene in luce da Massimiliano Amato nel saggio, «L’altra trattativa», pubblicato nelle «Edizioni Cento Autori»;
alla trattativa tra Stato e camorra ci si riferisce anche nei documenti relativi all’inchiesta condotta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse la cui desecretazione è stata disposta in data 31 ottobre 2013 e, in particolare, nelle dichiarazioni rilasciate dal boss Carmine Schiavone nel lontano 1997;
la giornalista, e ora senatrice Rosaria Capacchione, rese noto su « Il Mattino» di Napoli un incontro che sarebbe avvenuto in una «villa» dei servizi segreti a Gaeta fra esponenti di questi e di altre istituzioni dello Stato con la criminalità. A seguito della pubblicazione di tale notizia, sembra che la DDA di Napoli abbia disposto, ai tempi in cui era coordinata dal Procuratore Cafiero de Rhao, un’indagine da parte dei ROS dei carabinieri;
per essere più precisi sull’argomento, il 25 febbraio 2011 Rosaria Capacchione scriveva su Il Mattino di affari che, ruotano attorno alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti nel basso Lazio, e di una inquietante trattativa Stato-Casalesi, confermata dalle dichiarazioni dell’ex sub commissario all’emergenza rifiuti Giulio Facchi, che ha raccontato ai pubblici ministeri Federico Cafiero de Raho, Catello Maresca e Alessandro Milita l’incontro a Gaeta con tre agenti del Sisde che nel 2003 lo avrebbero individuato come loro interlocutore istituzionale e interrogato per informarsi dell’infiltrazione camorristica nella gestione della filiera dello smaltimento dei rifiuti;
prima di lui, altri funzionari, e referenti istituzionali della struttura commissariale si sarebbero incontrati con altri uomini dei servizi segreti. In un caso, ha riferito Facchi, anche con Antonio Bassolino: «Fu io a fissare quell’incontro visto che in altre occasioni mi ero incontrato con un altro funzionario, almeno tre quattro volte, l’agente A.C. Sono certo che i servizi, dopo il 2004, riuscirono alla fine a piazzare un loro uomo all’interno del commissariato, una persona che era già stata consulente di un consorzio casertano»;
a suo dire, dunque, nell’ufficio del commissario per l’emergenza rifiuti, in epoca Catenacci, avrebbe lavorato direttamente un agente degli apparati di sicurezza già impiegato in precedenza in uno dei consorzi di bacino del Casertano, probabilmente il Ce2 o il Ce4;
è in questo contesto che sarebbero avvenuti gli incontri (almeno due) con il capo del clan dei Casalesi Michele Zagaria, allora latitante. Incontri durante i quali, in cambio della « paxsociale» la camorra avrebbe chiesto e ottenuto una contropartita economica sotto forma di appalti e affidamenti di servizi;
tale sospetto è forte, anche alla luce delle affermazioni di Carmine Schiavone; il 13 dicembre 2014 il Fatto Quotidiano titolava «Mafia Capitale e la palude di Latina: tra omertà e minacce, indagare non si può», riportando il resoconto dell’audizione del magistrato Michele Prestipino, resa alla Commissione antimafia nella prefettura di Latina, che evidenzia, quanto, nel, circondario di Latina, siano difficoltose le indagini rispetto al fenomeno mafioso, anche per la presenza di oscuri personaggi in possesso di intercettazioni secretate che si vantano di appartenere ad organismi dei servizi segreti;
nella relazione di fine 2009 al procuratore Piero Grasso, la procura distrettuale antimafia di Roma affermava che la parcellizzazione delle indagini sui fatti criminosi che interessavano tutte le province del Basso Lazio, impedisce di cogliere i segnali della presenza della criminalità mafiosa e favorisce il suo progressivo radicamento; nel documento si può leggere inoltre che «appare utile realizzare un efficace coordinamento con le Procure circondariali, soprattutto Latina e Frosinone. Gravi episodi – gambizzazioni, incendi, attentati – si realizzano infatti quasi quotidianamente in quei territori, ma vengono rubricati, e trattati, come fitti di criminalità comune»;
in fatto di rubricazioni di reati di stampo mafioso avvenute presso la procura di Latina a proposito del caso Fondi e del mancato scioglimento del comune per infiltrazioni del clan di ‘ndrangheta dei Tripodo, all’epoca, sono stati molto duri i pubblici ministeri della direzione distrettuale antimafia di Roma Diana De Martino e Francesco Curcio che nella loro inchiesta hanno scritto a proposito della procura Pontina: nella stragrande maggioranza dei casi si è proceduto da parte delle diverse autorità giudiziarie di questo distretto, rubricando la massa dei reati fatti oggetto di indagine, in realtà di stampo mafioso, come fatti di criminalità comune;
secondo gli interroganti, senza entrare nel merito dell’inchiesta in corso presso la procura di Latina, denominato «sistema Sperlonga» riservata alla competenza dell’autorità giudiziaria, ma analizzando unicamente i documenti o gli articoli di stampa pubblicati sulla vicenda, si nota che le ipotesi di reato rilevate, come abusi edilizi, lottizzazione abusiva, abusi della pubblica amministrazione continuano ad essere perseguiti come reati comuni e singolarmente;
non appare immune dalla presenza di interessi malavitosi anche la zona turistica situata a nord di Sperlonga, denominato «Salto di Fondi» dove, da quanto si apprende da numerosi articoli di stampa e da dichiarazioni pubbliche di amministratori e politici locali, nel corso degli anni sono stati acquistati ingenti appezzamenti di terreni da parte di soggetti campani anche gravati da precedenti penali di natura mafiosa che hanno dato vita anche a lussuosi agriturismi, frequentati assiduamente anche da ex generali, politici nazionali e locali e da qualche magistrato anche esso locale;
frequentazioni che ingenerano negli interroganti forti perplessità dovute alla presenza di soggetti di cui si ipotizza l’appartenenza a clan camorristi, in particolare dei clan Gaglione – Moccia;
sarebbe opportuno disporre approfonditi accertamenti atti a verificare se sussistano intralci, ritardi, omissioni da parte dei funzionari e degli amministratori coinvolti e al fine di verificare sul territorio delle province di Latina e Frosinone la presunta esistenza di una lobby affaristico-istituzionale o politico-malavitosa atta a condizionare l’attività istituzionale –:
se siano a conoscenza dei fatti sopra riportati e se non si ritenga di disporre, per quanto di competenza, verifiche approfondite per appurarne la piena fondatezza, anche alla luce dell’asserito coinvolgimento di personale degli apparati di sicurezza;
se non si intenda valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari pontini ai fini dell’esercizio di tutti i poteri di competenza. (4-13286)
Andrea Palladino
Toxicleaks per Left, 22 febbraio 2014
Le navi di Ilaria Alpi, le armi, i Casalesi
Domenica 22 febbraio, alle ore 11.15, l’ex collaboratore di giustizia Carmine Schiavone è morto per infarto nell’ospedale di Viterbo. Il procuratore di Reggio Calabria Cafiero de Raho – a capo per anni della Dda di Napoli – ha dichiarato che “andranno svolti tutti gli accertamenti che il caso richiede”. La procura di Viterbo ha disposto l’autopsia, acquisendo le cartelle cliniche.
Ripubblichiamo un reportage di ToxicLeaks e un’intervista a Carmine Schiavone, realizzata un anno fa, dove l’ex boss dei casalesi racconta dettagli inediti sui traffici via nave dal porto di Napoli e Gaeta. Un capitolo ancora da approfondire.
By Redazione ToxicLeaks@toxicleaksFeb 23, 2015
Il collaboratore di giustizia Carmine Schiavone
GAETA (LATINA) – Bisogna salire su una collina per capirla questa città. Un golfo così grande è raro vederlo: sulla destra la base Usa – o quel che ne rimane – proprio a fianco alla scuola nautica della Guardia di finanza. E poi, sulla sinistra, verso Formia, il nuovo porto, con le navi cargo che caricano i rottami ferrosi arrivati dal sud, dalla Terra di lavoro, la provincia di Caserta che sfiora il sud pontino. È Gaeta, città antica, marinara per vocazione. Crocevia di tanti destini, interpretati da nomi di navi esotici e impronunziabili.
Se scendi verso la città trovi l’anima più antica. Dal vecchio porto le stradine salgono verso il Duomo, nel dedalo di vicoli e profumi della Tiella, la torta rustica tipica della zona. Carmine Schiavone da Casal di Principe saliva spesso da queste parti.
A Formia – appena quattro chilometri – fin dagli anni ’80 abitano i Bardellino, la famiglia del capostipite Antonio. Prima di essere ucciso in Brasile – nel maggio del 1988 – era lui il capo indiscusso del cartello dei Casalesi. «C’è una stradina proprio dove c’era il porto – racconta – e qui c’era un locale, lo chiamavamo “‘a chiavatoia”, tanto per essere chiari». Un bordello, per chi non frequenta quel dialetto.
«Era uno dei luoghi controllati dal nostro uomo nel sud pontino, Gennaro De Angelis, che ufficialmente aveva delle concessionarie, tra la provincia di Latina e quella di Frosinone», spiega stringendo gli occhi, cercando la precisione, arma di salvezza per ogni collaboratore di giustizia.
La motonave 21 Oktobar II della Shifco (veritaprivatadelmobyprince.com)
Un nome, quello di De Angelis, ben noto all’antimafia, fin dal marzo del 1996, quando Schiavone – collaboratore dal 1993 – aveva raccontato per ore la geografia criminale della provincia di Latina ai carabinieri guidati dall’allora capitano Vittorio Tomasone, poi passato negli anni scorsi ai vertici dell’arma. Aggiunge però qualcos’altro Schiavone: «Quel locale era frequentato dai somali e da gente dei servizi». Occorre un passo indietro.
TUTTE LE NAVI DI ILARIA
Gaeta era la base di partenza delle navi della compagnia somala Shifco, società creata negli anni ’80 con i soldi della cooperazione italiana. Nel 1993 aveva stretto un accordo con la Panapesca colosso del pesce congelato con sede operativa nel sud pontino; secondo alcune fonti consultate da Left, già da anni, però, esisteva un accordo di fatto: «I somali giravano a Gaeta con la borsa piena di timbri, pronti a firmare le autorizzazioni necessarie», racconta un operatore portuale che chiedono l’anonimato.
Di quella compagnia italo-somala si stava interessando Ilaria Alpi durante il suo ultimo viaggio in Somalia, qualche giorno prima dell’agguato del 20 marzo 1994, dove morì insieme a Miran Hrovatin. Molto probabilmente era questa l’inchiesta che l’aveva portata a Bosaso, nell’ex Migiurtina italiana. Il 4 marzo del 1994 – ovvero dieci giorni prima del suo arrivo nel nord della Somalia – uno dei pescherecci costruiti dalla cooperazione italiana e gestiti dalla Shifco, la Faraax Omar, era stato sequestrato dai pirati migiurtini.
L’ultima intervista di Ilaria Alpi al sultano di Bosaso, Abdullahi Mussa Bogor
Ilaria, nella sua intervista al Bogor di Bosaso, cercava di capire meglio il vero ruolo della Shifco, scontrandosi con risposte evasive. O allusive: «Lei è del Sismi?», chiede ad un certo punto, sorridendo, il Bogor. Una sigla citata non a caso: secondo la newsletter “Indian Ocean” i servizi italiani in quel momento si stavano occupando del caso. Una circostanza mai confermata dall’intelligence militare. Somali e servizi segreti, ricorda oggi Carmine Schiavone, parlando di Gaeta. Un’alleanza decisamente curiosa.
I PORTI, LE ARMI, I CASALESI
«Sono sicuro che anche da Gaeta partissero le armi e i rifiuti, proprio in quel periodo», prosegue nel racconto Carmine Schiavone. Nei locali vicino al porto – ricorda – i somali parlavano. E i suoi uomini ascoltavano. Per poi riferire a Casal di Principe, la capitale del cartello comandato da Francesco “Sandokan” Schiavone. «Così avveniva a Napoli – prosegue l’ex collaboratore di giustizia – dove le navi che portavano il cemento sfuso della nostra società Eurocem e ripartivano cariche di armi, verso i paesi del nord Africa e del Medio Oriente». Organizzate da chi? «Non da noi, ma dai servizi di sicurezza». Parole che dovranno essere confermate dalle inchieste della magistratura, se mai ve ne saranno, visto il tempo passato. In ogni caso fino ad oggi Schiavone è stato ritenuto un collaboratore «attendibile e di alto profilo», come hanno attestato nel 2010 i magistrati antimafia in un rapporto.
Il trafficante d’armi Monser Al Kassar
L’utilizzo delle navi gestite dalla Shifco per il trasporto delle armi trova un importante riscontro nei documenti delle Nazioni unite, che dal 1992 monitorano i commerci di armamenti verso la Somalia, paese otto embargo Onu. Nel rapporto divulgato il 25 marzo del 2003 gli analisti delle Nazioni unite riportano il caso di un trasporto clandestino di armi, avvenuto nel 1992, attraverso un trasbordo – avvenuto al largo delle coste somale – che sarebbe stato garantito «apparentemente da un peschereccio della compagnia Shifco», verso il porto di Adale. Il direttore della società italo-somala Farah Munye – sentito dagli esperti – aveva però negato ogni coinvolgimento. L’organizzatore del traffico – secondo il rapporto – era Monzer al-Kassar, noto broker di armi, arrestato nel 2008 dalla Dea. E proprio nel 1992 dalla comunità somala di Roma sarebbe partito un bonifico di 500 mila dollari diretto ad al-Kassar, come documenta un documento declassifica del Sismi, depositato nei fascicoli di un’inchiesta della procura di Torre Annunziata.
I porti da dove partivano le armi – e i rifiuti, sottolinea Carmine Schiavone – non erano solo Gaeta e Napoli. «A Trapani c’era una collaborazione tra Cosa nostra e i servizi – racconta l’ex cassiere dei Casalesi – come mi raccontava in carcere un boss di Mazara del Vallo». Anche in questo caso il suo racconto è “de relato”, ma probabilmente attendibile, visto lo stretto rapporto esistente tra il clan casertano e Cosa Nostra. Un rapporto non solo di fiducia, ma di scambio di informazioni. Il caso Alpi è oggi sostanzialmente fermo dal punto di vista giudiziario. L’unico approfondimento su Gaeta e il traffico d’armi risale al 1995-1996. Tutto, allora, venne archiviato e nessuno chiese a Carmine Schiavone chi fossero i veri padroni del porto. E cosa finisse in quelle navi spedite verso la Somalia.
Andrea Palladino
Toxicleaks per Left, 22 febbraio 2014
INTERROGAZIONE SENATORI SIMEOMI ,FACCIANO E FUCKSIA
Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-05832
Atto n. 4-05832
Pubblicato il 18 maggio 2016, nella seduta n. 629
SIMEONI , VACCIANO , FUCKSIA – Ai Ministri dell’interno e della giustizia. –
Premesso che:
il tema di un presunto negoziato tra apparati dello Stato ed esponenti di primo piano della mafia viene periodicamente ripreso a partire dagli anni ’90, ed ampiamente illustrato nel saggio “L’altra trattativa” di Massimiliano Amato. Invero, tale trattativa sarebbe emersa anche nei verbali recentemente desecretati dalla Camera dei deputati, il 31 ottobre 2015, in merito alle rivelazioni rilasciate dal boss Carmine Schiavone nel 1997;
anche la giornalista, ed ora senatrice, Rosaria Capacchione, in un articolo apparso su “Il Mattino”, avrebbe riportato la notizia dell’avvenuto incontro in una “villa” nelle disponibilità dei servizi segreti a Gaeta (Latina), tra questi ultimi, esponenti di altre istituzioni dello Stato ed appartenenti alla criminalità organizzata. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli, all’epoca coordinata dal procuratore Cafiero De Raho, avrebbe disposto, a seguito della pubblicazione dell’articolo, l’avvio di un’indagine in merito da parte del Ros dei Carabinieri;
invero, nel suo articolo, la Capacchione, il 25 febbraio 2011, denunciava un possibile giro di affari incentrato sulla gestione e smaltimento dei rifiuti nei territori del basso Lazio, nonché di un’inquietante accordo tra Stato e Casalesi, sulla base delle dichiarazioni rese dall’ex sub commissario all’emergenza rifiuti Giulio Facchi. Questi avrebbe, inoltre, confermato ai pm Federico Cafiero De Raho, Catello Maresca ed Alessandro Milita l’incontro a Gaeta con 3 agenti in forza al Sisde che, nel 2003, lo avrebbero individuato quale loro interlocutore istituzionale per informarsi, altresì, dell’eventuale infiltrazione criminale all’interno della gestione dello smaltimento dei rifiuti;
Facchi avrebbe inoltre riferito che prima di lui altri funzionari e referenti istituzionali della struttura commissariale si sarebbero incontrati con diversi uomini dei servizi segreti, in una circostanza, sembrerebbe anche con Antonio Bassolino: “Fu io a fissare quell’incontro visto che in altre occasioni mi ero incontrato con un altro funzionario, almeno tre quattro volte, l’agente A.C. Sono certo che i servizi, dopo il 2004, riuscirono alla fine a piazzare un loro uomo all’interno del commissariato, una persona che era già stata consulente di un consorzio casertano”, come riportato da un articolo de “il Fatto Quotidiano” del 5 febbraio 2011;
pertanto, stando alle dichiarazioni rese da Facchi, un agente degli apparati di sicurezza, già impiegato in precedenza in uno dei consorzi di bacino del casertano, probabilmente il Ce2 o il Ce4, avrebbe lavorato direttamente nell’ufficio del commissario per l’emergenza rifiuti, durante la gestione Catenacci;
in tale contesto, sarebbero dunque avvenuti almeno 2 incontri tra il reggente del clan dei Casalesi, Michele Zagaria, all’epoca ancora latitante. Incontri durante i quali, in cambio della pax sociale, la camorra avrebbe chiesto ed ottenuto una contropartita economica sotto forma di appalti, nonché di affidamento di servizi;
ad avvalorare ulteriormente le tesi esposte dall’ex subcommissario, anche alla luce delle dichiarazioni del pentito Schiavone, vi sarebbe un articolo apparso su “il Fatto Quotidiano” del 13 dicembre 2014, ove, sotto il titolo “Mafia Capitale e la palude di Latina: tra omertà e minacce, indagare non si può”, veniva riportata l’audizione del magistrato Michele Prestipino presso la Commissione di inchiesta sul fenomeno delle mafie, nella quale egli evidenzia le difficoltà riscontrate nel prosieguo di indagini rispetto al fenomeno mafioso locale, anche in virtù della presenza di taluni oscuri personaggi che sarebbero stati in possesso di intercettazioni secretate, millantando, forse, una presunta appartenenza ad organismi dei servizi segreti;
ancora, la Procura distrettuale antimafia di Roma, nella relazione del 2009, sottolineava la parcellizzazione delle indagini afferenti ai fatti criminosi che interessavano tutte le province del basso Lazio, impedendo, in tal modo, di fatto, l’acquisizione di elementi che indicassero incontrovertibilmente la presenza della criminalità organizzata sul territorio, favorendone, contestualmente, il progressivo radicamento. Ed invero, come si legge nel documento, la Procura distrettuale sottolinea come “appare utile realizzare un efficace coordinamento con le Procure circondariali, soprattutto Latina e Frosinone. Gravi episodi – gambizzazioni, incendi, attentati – si realizzano infatti quasi quotidianamente in quei territori, ma vengono rubricati, e trattati, come fatti di criminalità comune”;
in merito alla sistematica derubricazione presso la Procura di Latina dei reati associativi di stampo mafioso, in ordine, specialmente, al mancato scioglimento del Comune di Fondi per infiltrazioni del clan ‘ndranghetista dei Tripodo, i pm della Direzione distrettuale antimafia di Roma, Diana De Martino e Francesco Curcio, si sarebbero espressi, secondo quanto risulta agli interroganti, nell’ambito dell’inchiesta da loro condotta a proposito della Procura di Latina, in termini molto duri, arrivando a sostenere che nella maggioranza dei casi le diverse autorità giudiziarie di detto distretto avrebbero proceduto alla derubricazione dei reati oggetto di indagine, da delitti connotati dallo stampo mafioso a fatti di comune criminalità;
considerato che:
a parere degli interroganti, ferma restando l’intenzione di non entrare nel merito di procedimenti in corso presso la Procura di Latina nell’ambito del “sistema Sperlonga”, desta preoccupazione, sulla base di quanto si è avuto modo di apprendere in particolare dalla stampa locale, la constatazione che plurime ipotesi di reato quali abusi edilizi, lottizzazioni abusive, illeciti della pubblica amministrazione continuino ad essere perseguiti quali reati comuni ed analizzati singolarmente, invece di essere inquadrati in un più ampio sistema criminale, ormai organico sul territorio;
l’estensione di tale sistema criminale, peraltro, starebbe drammaticamente interessando l’intera regione del basso Lazio, comprendendo anche la zona turistica a nord di Sperlonga nota come “Salto di Fondi”, tanto è vero che, nel corso degli anni, si assisterebbe sempre più frequentemente, come puntualmente riportato da numerosi articoli di stampa, avvalorati dalle ripetute dichiarazioni pubbliche di amministratori e politici locali, all’acquisto di ingenti appezzamenti di terreno da parte di cittadini campani non di rado aggravati da precedenti penali, anche di natura mafiosa, ove sorgerebbero, tra l’altro, lussuosi agriturismi, assiduamente frequentati sia da politici locali e nazionali sia da ex generali e magistrati. Tali frequentazioni ingenerano negli interroganti forti perplessità, in particolare stante la presenza di soggetti di cui si ipotizza l’appartenenza a clan camorristi, nello specifico dei clanGaglione-Moccia,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti esposti e se non intendano, nell’ambito delle rispettive competenze, intraprendere idonee iniziative, affinché siano condotte indagini approfondite al fine di verificarne la veridicità;
se non intendano disporre l’invio di commissari ministeriali, al fine di verificare la presunta esistenza, sul territorio delle province di Latina e Frosinone, di una lobby affaristico-istituzionale o politico-malavitosa atta a condizionare l’attività istituzionale;
se, in virtù delle dichiarazioni rese dal magistrato Prestipino, dall’ex subcommissario Facchi e dal pentito Schiavone, nonché sulla base della relazione della Procura distrettuale antimafia di Roma, il Ministro della giustizia non ritenga necessario attivare procedure ispettive o di verifica, nonché, qualora sussistessero gli estremi e nei limiti delle proprie competenze, proposte disciplinari a carico della Procura di Latina, con particolare riguardo alle presunte e indebite derubricazioni o parcellizzazioni di reati di competenza della Direzione distrettuale antimafia verificatesi presso gli uffici giudiziari pontini.
Latitanza e incontri istituzionali
Zagaria, una latitanza sotto il segno dei rifiuti
INCHIESTA. Le prime rivelazioni del Mattino. E le conferme raccolte da Terra. Sarebbero stati almeno due gli incontri tra il capo dei Casalesi e uomini delle istituzioni. Ma il riserbo è massimo.
Di Giorgio Mottola
Sull’emergenza rifiuti cala l’ombra di una possibile trattativa tra rappresentati dello Stato e criminalità organizzata. Tra il 2006 e il 2008, esponenti dei servizi segreti e delle istituzioni avrebbero incontrato in più occasioni il capo dei capi del clan dei Casalesi, Michele Zagaria, latitante dal 1994. E avrebbero contrattato con il boss una sorta di via libera all’azione del commissariato per l’emergenza rifiuti nelle province di Napoli e Caserta, in cambio di appalti, ristori e garanzie di varia natura, libertà compresa. La Dda di Napoli avrebbe aperto sulla vicenda un fascicolo, secondo quanto riportato da Rosaria Capacchione, che quattro giorni fa sul Mattino ha dato per prima (e finora da sola) la notizia dell’inchiesta. Il coordinatore dell’antimafia napoletana, Federico Cafiero De Raho, non conferma ma neppure smentisce. Fonti ufficiose interne alla Dda ammettono però che un’indagine è realmente partita, ma fino a questo momento è coperta dalla massima segretezza.
L’incontro cui fa riferimento la giornalista del Mattino risalirebbe alla fine del 2006, quando la crisi del ciclo dei rifiuti in Campania comincia ad aggravarsi tanto da sembrare irreversibile. Probabilmente non è stato l’unico. Agli inquirenti, con cui Terra ha parlato, risulta infatti almeno un altro faccia a faccia tra Michele Zagaria, uomini dei servizi e delle istituzioni, avvenuto qualche mese dopo, nel 2007, in un Comune della provincia di Napoli. Stando alla ricostruzione di Rosaria Capacchione, il boss dei Casalesi avrebbe dato ai rappresentanti dello Stato il suo benestare alla costruzione del termovalorizzatore di Santa Maria la Fossa in un’area dove sono presenti numerose aziende zootecniche legate ai clan. Come contropartita, la camorra avrebbe avuto libero accesso agli appalti, avrebbe partecipato alla spartizione della ricca torta dei ristori e soprattutto la latitanza di Zagaria sarebbe stata coperta direttamente da settori “para-istituzionali”.
Nessuno ne parla, ma, al di là di quali saranno gli esiti delle indagini sulla trattativa, il ruolo che i servizi segreti hanno avuto nell’emergenza rifiuti campana è stato tutt’altro che secondario. «Tutti i livelli istituzionali ne erano perfettamente consapevoli. Uomini dei servizi segreti entravano e uscivano dal Commissariato per l’emergenza rifiuti a Napoli come se fossero stati a casa loro. Ogni volta che parlavo con Bertolaso, lui dava sempre per scontata questa cosa», spiega Tommaso Sodano, che all’epoca dei fatti era presidente della Commissione Ambiente al Senato. Non ne fa mistero nemmeno Giulio Facchi, subcommissario tra il 2000 e il 2004 e rinviato a giudizio insieme a Bassolino per vicende relative all’emergenza rifiuti. Il ruolo che ricopriva lo ha portato in quegli anni ad avere rapporti motlo frequenti con i servizi segreti.
«Ricordo che una volta mi portarono a in un villa a Gaeta, che era una loro centrale operativa, e lì per undici ore mi fecero domande sulla situazione in Campania e soprattutto su Impregilo e sulla Fibe (la società che ha costruito il temrovalorizzatore di Acerra, ndr), che io avversavo apertamente», racconta Giulio Facchi. Si tratta di una presenza che a partire dal 2004 diviene sempre più forte sul territorio. In questo periodo c’è anche un avvicendamento al vertice dei servizi segreti regionali: il reponsabile dell’Agenzia in Liguria ai tempi del G8, uomo fedelissimo di Gianni De Gennaro, viene spedito a guidare i servizi in Campania. Nel 2008, il clima però comincia a farsi più pesante. Walter Ganapini, assessore regionale all’Ambiente, denuncia un’eccesiva ingerenza dei servizi.
In un audio finito sul sito di Wikileaks, l’ex assessore all’Ambiente denuncia di aver subito forti pressioni contro l’apertura di Parco Saurino. Si tratta di una discarica da quasi 800 mila tonnellate, situata in Provincia di Caserta, che avrebbe risolto l’emergenza per qualche mese. Con una pesante controindicazione però: si rischiava in questo modo di rallentare la corsa verso la costruzione dei termovalorizzatori, che i Casalesi consideravano un loro business (almeno per quanto riguarda quello di Santa Maria La Fossa, bloccato dalla Dda per infiltrazioni camorristiche). Dopo le pressioni e le «intimadazioni,» che Ganapini ancora oggi conferma, Parco Saurino è definitivamente scomparso dal novero delle possibili soluzioni.
Se la presenza dei servizi segreti può essere per alcuni una scoperta, non lo è affatto il ruolo assunto dalla camorra nell’emergenza rifiuti e soprattutto la sua capacità di condizionare le scelte della politica L’inchiesta sulla Eco4, la società dei fratelli Orsi ma controllata, secondo gli inquirenti, dall’ala bidognettiana dei Casalesi, ne è una delle tante dimostrazioni. Quella società, a testimonianza di «un patto scellerato tra politica e camorra, garanti a vicenda della loro sopravvivenza, che si autoalimentava con il business dei rifiuti», hanno scritto i magistrati. L’inchiesta sulla trattativa, qualora fosse dimostrata, potrebbe forse fornire una spiegazione anche al lungo elenco di aziende, che hanno lavorato grazie ad affidamenti diretti del Commissariato per l’emergenza rifiuti, ma che sono state colpite da interdittive antimafia nel giro di pochi mesi. I casi più eclatanti sono stati quelli della Veca Sud di Caturano e Ventrone, che trasportava il percolato delle discariche, ma aveva rapporti con i clan; la Simont, che un paio di commissari hanno additato come azienda modello, consentendogli di lavorare tantissimo, ma che vedeva il titolare socio di un parente del boss Michele Zazza; la Fontana Costruzioni, che secondo una prima interdittiva (annullata però lo scorso febbraio dal Tar) faceva riferimento al boss Zagaria.
In questa vicenda contano moltissimo le date. Nella gestione dell’emergenza rifiuti qualcosa è sicuramente cambiato a partire dal 2004, quando Antonio Bassolino rassegnò le dimissioni da commissario. «In una cena risalente alla fine del 2003, in cui erano presenti anche Paolucci e Vanoli (rispettivamente subcommissario e vicecommissario, ndr), Bassolino ci disse che non poteva andare avanti altrimenti ci saremmo messi nei pasticci. Era necessario che arrivasse un prefetto o un militare», ricorda Giulio Facchi. E infatti di lì a poco fu nominato commissario l’ex prefetto Corrado Catenacci, che, su indicazione del Consiglio dei ministri, riempì la struttura di uomini appartenenti alle forze dell’ordine e all’esercito Tra questi anche «un collaboratore dei servizi che aveva rapporti con il consorzio di Caserta», come sostiene sempre l’ex subcommisario.
(07/01/2011) fonte: Zagaria, una latitanza sotto il segno dei rifiuti | Terra – Quotidiano di informazione pulita
L’audio di Ganapini
Su l’Espresso si possono ascoltare spezzoni rilevanti, in un articolo dell’anno scorso: Dai rifiuti spunta lo 007 – L’espresso
Qui invece si può scaricare l’audio integrale. Ganapini lo si ascolta