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Le mafie a Foggia e dintorni: l’approfondimento

Le mafie a Foggia e dintorni: l’approfondimento

Antonio Nicola Pezzuto 12 Ottobre 2022

Nella Capitanata sono operative diverse mafie: la Società Foggiana, la Mafia Garganica, la Malavita Cerignolana e i Gruppi del Tavoliere

Le mafie foggiane, particolarmente violente e pervasive, sono ritenute le più pericolose tra le mafie pugliesi. Molto strutturate e compatte, hanno la capacità di fare rete e di creare interconnessioni non solo con le mafie storiche, campane e calabresi, ma anche con quelle trans-adriatiche e puntano ad espandere il loro raggio di azione oltre i confini regionali.

I clan della provincia di Foggia possono contare su giovani leve e sulla disponibilità di ingenti quantitativi di armi ed esplosivi. In un mix di tradizione e modernità hanno manifestato una spiccata vocazione affaristica ed una capacità di muoversi nella cosiddetta zona grigia per interagire con la borghesia mafiosa. Ed è qui che convergono gli interessi della criminalità e di una parte infedele dell’imprenditoria e della pubblica amministrazione come appurato dallo scioglimento del comune di Foggia il 5 agosto 2021 e dall’indagine “Omnia Nostra” che ha fatto luce sugli assetti organizzativi e sulle strategie operative della criminalità organizzata garganica, soprattutto sul sodalizio dei Romito-Lombardi-Ricucci. Un’ascesa del clan dei Montanari proiettato, in prospettiva, ad entrare nel novero delle organizzazioni mafiose più potenti su scala nazionale.

In seguito alla forte azione di contrasto dello Stato, i clan hanno riprogettato le loro strategie, “orientandole verso un modello imprenditoriale” che li porta a “stringere rapporti di collusione e complicità con le sfere della società civile e delle istituzioni”.

“La questione foggiana ha finalmente assunto, a tutti i livelli, l’attenzione che meritava, con un importante investimento di risorse per rendere più efficiente l’attività di contrasto”, afferma il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Giovanni Salvi, che ha sottolineato come la mafia foggiana si caratterizzi “per forme specifiche e per il ricorso ancora attuale alla violenza, sia per il controllo del territorio che nel rapporto con le attività produttive”.

L’intensificarsi di azioni criminali nei confronti di liberi professionisti, imprenditori e commercianti è segno non solo di chiari messaggi intimidatori ma anche del forte bisogno dei clan di rafforzare la propria immagine sul territorio, indebolita dalle pesanti perdite registrate in seguito all’azione di contrasto, dalle iniziative di antimafia sociale, dalle recenti sentenze di condanna e dai nuovi collaboratori di giustizia.

L’operazione “Radici”, eseguita dalla Guardia di Finanza, ha fatto emergere l’esistenza di un comitato di affari costituito da funzionari della Regione Puglia, da imprenditori agricoli e consulenti agronomi attivi nel settore della silvicoltura al fine illecito di accaparrarsi gli aiuti economici erogati dalle Istituzioni, comprese quelle comunitarie.

Molto significativa e dimostrativa del livello di infiltrazione e condizionamento della pubblica amministrazione, è l’inchiesta “Icaro”, svolta dalla Guardia di Finanza che ha acceso i riflettori su due gare di appalto bandite da Enti pubblici foggiani operanti nel settore della Sanità. Le indagini hanno evidenziato il ruolo di tre dirigenti degli Enti pubblici committenti che avrebbero costruito con i referenti di una società una “corsia parallela riservata” per consentire alla suddetta società l’aggiudicazione delle gare attraverso la preventiva predisposizione del capitolato speciale e del disciplinare di gara, mediante la selezione di componenti compiacenti delle commissioni di gara che poi sarebbero stati condizionati.

La Società Foggiana
A Foggia, nonostante qualche timido tentativo scissionista, continuano a convivere le tre storiche batterie dei Sinesi-Francavilla, dei Moretti-Pellegrino-Lanza e dei Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese. Questi tre sodalizi, pur provati dall’azione investigativa e giudiziaria e dalle conseguenti condanne che hanno colpito le loro figure decisionali ed operative, hanno dimostrato di sapersi ricompattare. È questa la caratteristica della Società Foggiana che, come mafia “camaleontica” al passo con la modernità, “tende costantemente a rimodularsi secondo l’assetto operativo più idoneo al superamento delle difficoltà contingenti fra cui l’esigenza di liquidità”.

cartina dia foggia

La crisi economica che attanaglia il territorio agevola l’azione di reclutamento di nuove leve nelle batterie, in un processo continuo di osmosi tra criminalità comune e criminalità organizzata. Questa realtà è emersa anche dalle indagini portate a termine dalla Polizia di Stato il 17 e il 30 novembre 2021 nei confronti di giovanissimi appartenenti a baby gang e protagonisti di azioni criminali che avevano suscitato un forte allarme sociale. Nell’ultima indagine è emerso il ruolo di un pregiudicato, autore di reati di natura predatoria, “punto di riferimento nell’ambito della micro-criminalità locale”, unito da legami di sangue ad un esponente di spicco della batteria Sinesi-Francavilla. Questa batteria della Società Foggiana è operativa in provincia mediante proprie cellule e alleanze con il clan Li Bergolis della Mafia Garganica e il gruppo Nardino della Mafia Sanseverese e, al di fuori dei confini regionali, attraverso legami con i siciliani e i calabresi.
I nuovi equilibri di potere hanno penalizzato il clan Sinesi-Francavilla, ma la decisione di accordare i domiciliari a importanti esponenti di questo sodalizio potrebbe rinvigorirne le ambizioni. La recentissima scarcerazione del 28 marzo 2022 di un elemento di spicco di questo clan mafioso unita alla detenzione ai domiciliari del fratello possono costituire fattori importanti per la criminalità della provincia di Foggia.

Nel panorama della mafia foggiana e della provincia, il ruolo centrale è occupato dalla batteria Moretti-Pellegrino-Lanza che ha allargato il suo raggio d’azione nelle aree contermini (Gargano, Alto e Basso Tavoliere) e in alcune aree del Molise e dell’Abruzzo. Con l’operazione del 22 novembre 2021, la DIA ha smascherato “le tipiche modalità di azione mafiosa del clan consistenti nella vessazione e nel ricorso alla violenza fisica e psicologica” attuate “in una ripetuta e costante attività di usura ed estorsione a danno di un imprenditore agricolo della provincia”. Nell’ambito dell’operazione, ai fini della successiva confisca, sono stati eseguiti anche sequestri di beni mobili, immobili e di disponibilità liquide per un valore complessivo stimato in oltre 300mila euro.

La batteria Moretti-Pellegrino-Lanza è sostenuta dalla batteria Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese che, con la complicità di esponenti mafiosi del gruppo ex Romito di Manfredonia e con elementi della criminalità di Orta Nova, risulta operativa soprattutto nel settore del traffico delle sostanze stupefacenti, delle estorsioni e del riciclaggio di denaro in attività commerciali.

La Mafia Garganica
Per quanto riguarda gli assetti e le strategie operative della criminalità organizzata garganica, l’indagine “Omnia Nostra” ha consentito di far luce sugli equilibri e sugli assetti strutturali della macro-area del Gargano da sempre crocevia delle strategie operative dei sodalizi di tutta la provincia di Foggia. Dalle notevoli risultanze dell’inchiesta emerge una chiave di lettura dei gruppi criminali riconducibili in principio al clan Romito, ora Romito-Lombardi-Ricucci, considerato in grado di riorganizzarsi attraverso “nuove strutture dettate dalle figure più carismatiche che si sono succedute a seguito della strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017”.

Il clan ex Romito, nonostante sia stato indebolito dall’eliminazione di esponenti apicali e dalla detenzione dei più qualificati luogotenenti, è rimasto attivo mediante una rete relazionale caratteristica dei modelli familistici e la collaborazione di una serie di elementi di secondo piano che hanno dato vita a un sottobosco funzionale che ha  alimentato le attività illecite, affrontando una faida mafiosa durata 15 anni “contro uno dei sodalizi più feroci e radicati nel territorio come quello dei Li Bergolis (Montanari) radicandosi, peraltro, nel tessuto economico dell’intera area geografica”.

Le indagini avrebbero inoltre appurato l’evoluzione del modus operandi degli affiliati al clan da un modello di mafia militare protetto da una diffusa sensazione di impunità e da una condizione di assoggettamento ed omertà ad un modello più evoluto di mafia degli affari con una spiccata capacità di infiltrarsi nei settori economici più importanti, soprattutto pesca e agricoltura. Ed è proprio nel settore agro-pastorale che si riscontrano reati di natura estorsiva come la consumazione di truffe ai danni dell’INPS attraverso “l’indebita percezione di provvidenze”. L’infiltrazione si concretizzava mediante l’acquisizione di terreni con titoli di possesso grazie ai quali poter richiedere i sussidi all’Unione Europea e le attività estorsive portate a termine attraverso l’imposizione di assunzioni lavorative di persone vicine o assoggettate all’organizzazione mafiosa. Facendo leva sulla fama criminale acquisita nel tempo per aver ricoperto un ruolo di primo piano nella storia della Mafia Garganica, i componenti dell’associazione esercitavano la loro egemonia sul territorio grazie ai legami stretti con esponenti dei più importanti clan del Gargano e grazie alle “lungimiranti sinergie con la batteria foggiana dei Moretti-Pellegrino-Lanza al fine di acquisire il controllo delle attività illecite ed ampliare la propria influenza verso le aree di Vieste, San Marco in Lamis, Apricena e Torremaggiore”.

Il clan ex Romito, oltre ad avere capacità imprenditoriali, ha sviluppato sul territorio un progetto di espansione ai danni del clan rivale dei Li Bergolis, attuando un forte controllo mediante i tradizionali settori illeciti delle estorsioni, delle rapine ai portavalori e, sicuramente non ultimo, del traffico di sostanze stupefacenti nel cui ambito la cittadina rivierasca di Vieste era diventata il principale obiettivo del gruppo criminale. Il narcotraffico costituiva una fonte di finanziamento del clan sagacemente curato “attraverso l’imposizione di una metodologia mafiosa, secondo schemi operativi paralleli a quelli riguardanti gli inserimenti della medesima associazione nel tessuto economico locale”. Il rispetto del “codice di regolamentazione delle attività di spaccio” permetteva ai pusher di muoversi nello svolgimento della loro attività illecita, secondo una suddivisione delle aree di competenza indicata dai capi del sodalizio, finalizzata anche a selezionare i fornitori e a impedire la “concorrenza sleale” fissando una soglia minima del prezzo dello stupefacente.
L’indagine “Omnia nostra” ha consentito di far emergere nella zona di Vieste l’indiscussa influenza di un elemento vicino al clan Romito-Lombardi- Ricucci “in grado di determinare l’andamento del traffico illecito di stupefacenti sul territorio in questione”.
A Vieste si riscontra un tessuto criminale destrutturato, esposto a possibili fibrillazioni causate dal sostanziale annientamento della famiglia Notarangelo, dovuto alla sanguinosa faida scissionistica risalente al periodo 2015-2019, scoppiata in seguito all’epurazione dei suoi vertici, che ha provocato omicidi, ferimenti, lupare bianche e cambi di schieramento tra i due gruppi rivali dei Raduano e degli Iannoli-Perna. Queste vicende sono state documentate dall’indagine “Bohemian Rapsody” del 9 agosto 2021, eseguita dalla Polizia di Stato e dai Carabinieri, che ha consentito di individuare uno dei responsabili di omicidio e tentato omicidio, fatti avvenuti il 25 aprile 2018 ai danni, rispettivamente, di un soggetto riconducibile al clan Raduano e di un altro esponente di spicco dello stesso sodalizio criminale. Gli inquirenti hanno descritto un panorama criminale in cui è centrale l’azione dei gruppi criminali, focalizzando l’attenzione sul particolare momento di fibrillazione “conseguente al tentativo delle fazioni di acquisire il controllo delle attività illecite gestite sul territorio, che è alla base dell’omicidio attuato quale risposta ad altri precedenti agguati a partire da quello, fallito, in danno del boss dei Raduano”.

Nella costa viestana sono state riscontrate infiltrazioni criminali nell’economia che hanno portato al sequestro di beni mobili e immobili, società e rapporti finanziari per un valore di 1 milione e 400mila euro a carico di un pregiudicato ritenuto vicino al boss Notarangelo assassinato in un agguato mafioso nel 2015.

La Mafia Garganica sembra aver acquisito nuova linfa con il clan Tarantino di San Nicandro Garganico, dove si è raggiunto un nuovo equilibrio dovuto sia al sopraggiungere di nuove saldature e legami familiari soprattutto con i Montanari, sia al superamento degli attriti derivanti dalla storica faida con il clan rivale dei Ciavarrella. Questa situazione potrebbe diventare critica, considerato che il territorio sannicandrese costituisce una “cerniera” per le varie consorterie criminali, così come appurato dagli sviluppi dell’operazione “Levante” del 10 settembre 2021 che ha permesso di smantellare un gruppo attivo nello spaccio di marijuana, hashish e cocaina nei territori di Cagnano Varano, San Nicandro Garganico e Rodi Garganico.

In un quadro macro-criminale molto complesso ed eterogeneo come quello garganico, i territori di San Marco in Lamis-Rignano Garganico, San Nicandro Garganico-Cagnano Varano assumono grande importanza. La prima area sarebbe egemonizzata dai gruppi dei Martino e dei Di Claudio-Mancini, in passato avversari. A loro si sarebbero aggiunte altre figure criminali non riconducibili alle vecchie gerarchie in quanto probabilmente divenute nel tempo punti di riferimento locali dei clan di Foggia, di San Severo e del Gargano. Nella seconda area, invece, convergono, gli interessi della criminalità garganica, foggiana e sanseverese. In questo comprensorio i Montanari controllano il traffico di droga e occupano una posizione di rilievo anche nella coltivazione di marijuana.

I Li Bergolis hanno il predominio a San Giovanni Rotondo e la loro forza non accenna a indebolirsi in questo territorio che rappresenta “una zona di raccordo di fondamentale interesse strategico soprattutto nell’illecito settore degli stupefacenti”.

dia bat

Il Tavoliere

La mafia di San Severo
I clan mafiosi di San Severo sono molto attivi nell’intera provincia dauna. Si registra ancora il vecchio legame mafioso tra il boss dei Moretti-Pellegrino-Lanza e il clan La Piccirella. Molto importanti, al riguardo, sono le motivazioni delle sentenze del processo “Ares” del 2019 depositate nel semestre in esame che, oltre a comminare due secoli di carcere agli imputati, confermano “per la prima volta l’esistenza di un’associazione mafiosa nella città di San Severo.

In un panorama criminale già caratterizzato da faide sanguinose (2015-2019), le contrapposizioni intestine ai clan e i vuoti di potere all’interno degli stessi, derivanti dalle attività di contrasto condotte dalle autorità, hanno influito sugli equilibri tra i diversi clan. Tutto questo potrebbe tradursi in una trasformazione dell’assetto strutturale dei sodalizi da orizzontale a unitario e verticistico.

La criminalità organizzata sanseverese, decapitata di quasi tutti i suoi leader storici, avrebbe lasciato ampio terreno ai tentativi delle nuove leve criminali desiderose di imporsi.

Il culmine dell’instabilità negli equilibri locali è stato raggiunto con i due eclatanti omicidi avvenuti a distanza di un mese l’uno dall’altro. I due episodi hanno suscitato un forte allarme in quanto sono stati feriti due minori. In questo contesto sembrano ricoprire un ruolo non marginale le nuove leve, decise ad assumere il controllo del ricco mercato degli stupefacenti che rende la città snodo nevralgico della provincia e non solo.

L’Alto Tavoliere
Ad Apricena si registrano segnali di slancio del sodalizio Padula-Cursio avverso ai Di Summa-Ferrelli, attraverso alcuni esponenti criminali dal forte carisma, in grado di interagire con tutto il territorio della provincia foggiana.

A Lucera, invece, Magistratura e Forze dell’Ordine hanno decapitato le storiche famiglie, cambiandone gli equilibri, tanto che alcune di esse sono scomparse dal panorama malavitoso locale. Il tessuto mafioso nel tempo si è evoluto generando nuovi gruppi di “qualificato spessore criminale come i Cenicola, i Barbetti ed i Papa-Ricci”. Tra i ranghi di quest’ultimo clan ci sarebbero figure legate ai Li Bergolis in grado di rapportarsi con i sodalizi camorristici e con le cosche calabresi.

Il Basso Tavoliere

L’area dei cinque reali siti (Orta Nova, Ordona, Carapelle, Stornara e Stornarella)
Il tessuto criminale di quest’area è fortemente egemonizzato dal gruppo Gaeta di Orta Nova, strettamente legato anche da vincoli parentali alla famiglia foggiana dei Moretti così come dimostrato dall’indagine “Fortino”, condotta dai Carabinieri il 20 dicembre 2021, “che trova la sua genesi nelle operazioni investigative espletate nell’ambito del procedimento penale…” correlato all’operazione denominata “Jolly” del 2020. L’inchiesta ha accertato l’operatività del clan Gaeta nel settore degli stupefacenti, facendo emergere “un circuito criminale dedito allo spaccio in San Severo che aveva nella città di Orta Nova il proprio canale di approvvigionamento”. Tra gli indagati figurano anche due soggetti vicini per vincoli di parentela ad un boss assassinato in un agguato mafioso a San Severo il 24 maggio 2017 e altri due esponenti della criminalità del Basso Tavoliere.

I traffici di droga caratterizzano gli interessi criminali del gruppo che ricicla gli introiti derivanti da questa attività illecita. A tal proposito la DIA, il 27 settembre 2021, ha eseguito un decreto di sequestro di un conto corrente bancario con saldo attivo di oltre 24mila e 500 euro nei confronti di un pregiudicato vicino al gruppo Gaeta.

In quest’area geografica, il sodalizio dei Masciavè di Stornara “risentirebbe dell’influenza della criminalità organizzata cerignolana che utilizzerebbe quel territorio come base logistica per le proprie attività illecite”.

La Malavita Cerignolana
Nel Basso Tavoliere il ruolo egemone e indiscusso sul territorio appartiene sicuramente alla Malavita Cerignolana che, attraverso il “suo modus operandi sempre più complesso e sofisticato si è subdolamente infiltrata e mimetizzata nei più importanti segmenti economico-finanziari”. La criminalità cerignolana dimostra una “straordinaria capacità di mutare e di rigenerarsi in modo strutturato dando così continuità alle attività e ai traffici illeciti”. Questo le ha permesso di “affermarsi non solo nel quadro provinciale ma su tutto il territorio nazionale e in alcune occasioni persino di superare i confini italiani”.
La Malavita Cerignolana si è ormai affermata come “mafia degli affari” ed è l’unica formazione criminale che non subisce ripercussioni nei propri equilibri interni.

Le cospicue risorse economiche hanno permesso al “gotha” di questo sodalizio mafioso, i cui esponenti di vertice sono individuabili nel clan Piarulli, di intraprendere una progressiva opera di espansione economica “occupando” zone della provincia di Foggia e della BAT, mediante l’infiltrazione nel tessuto economico, resa possibile “da un efficace sistema di reimpiego e schermatura dei proventi illeciti”.

L’area di Cerignola rappresenta l’epicentro di quella parte di criminalità comune responsabile di azioni predatorie costituite dalle rapine ai tir e ai furti di autovetture e mezzi pesanti. Questo tipo di criminalità si contraddistingue per specifiche caratteristiche che la qualificano anche su scala nazionale e che si possono sintetizzare “nel pendolarismo, in una spiccata efferatezza, nonché nella specializzazione e mutevolezza degli assetti con riferimento alla capacità di integrarsi secondo le contingenti esigenze operative”.

La Mafia Cerignolana è molto attiva anche nel settore delle armi e degli stupefacenti con la città di Cerignola che si conferma uno snodo cruciale per tutta la Regione anche grazie alla possibilità di far leva su diversi canali di approvvigionamento.

Da evidenziare che in tutta la provincia è forte l’incidenza del fenomeno del caporalato così come risulta dall’indagine “Terra rossa” del 10 dicembre 2021 eseguita dai Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro. Gli indagati, attraverso l’intermediazione illecita di due cittadini stranieri, sfruttavano manodopera costituita da decine di extracomunitari irregolari in violazione dei contratti collettivi nazionali con retribuzione bassa e lunghi orari di lavoro, in un panorama organizzativo aziendale molto carente per quanto riguarda la sicurezza igienico-sanitaria. L’inchiesta ha anche consentito di individuare il “ghetto” di Borgo Mezzanone, frazione di Manfredonia, serbatoio per reclutare manodopera “attraverso un sistema condiviso da imprenditori e caporali”.

La presenza della criminalità straniera in provincia di Foggia è circoscritta ma non si può trascurare. I cittadini dell’Est, soprattutto albanesi, rumeni e bulgari, vengono a volte impiegati dalla criminalità organizzata per azioni predatorie come furti e rapine o per svolgere singole attività illecite.
I gruppi africani, molto presenti sul territorio, sono attivi nell’induzione e nello sfruttamento della prostituzione, nel settore dell’immigrazione clandestina, nel narcotraffico e nel caporalato.

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fonte:https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/261-cronaca/91954-le-mafie-a-foggia-e-dintorni-l-approfondimento.html