Il Mattino, Venerdì 26 Maggio 2017
Le relazioni d’oro dei clan di provincia
di Isaia Sales
Le città e i territori sui quali le bande di camorra esercitano il loro potere (cioè il loro «recinto» criminale) non sono di molto cambiati rispetto all’800.
I vicoli di Napoli e quella fascia urbana di 40 chilometri attorno alle città capoluogo; quei comuni che, a raggiera, si distendono attorno a Napoli ( il cosiddetto «piano campano», l’area più densamente abitata dell’intera regione e, storicamente, una delle aree di agricoltura più ricca dell’intero Mezzogiorno). Negli anni ‘70 e ‘80 del Novecento a questi luoghi si sono aggiunte le periferie della città partenopea, dove si sono ammassate migliaia di napoletani spostatisi per vari motivi dal centro storico della città, e altre aree rurali-urbane al confine tra le province di Caserta, Salerno, Avellino e Napoli, quella specie di «città continuata» fatta di tanti paesoni intervallati dalla campagna.
Questi due distinti insediamenti hanno dato origine a due diverse forme criminali, che per comodità chiamiamo entrambe con il nome di camorra ma che però si distinguono nettamente. Per sommi capi si può dire che la prima è criminalità prettamente urbana- gangsteristica, l’altra è di mediazione di affari; la prima è più predatoria- trafficante, la seconda più criminale-imprenditoriale; la prima è più commerciale (di ogni genere legale e illegale) la seconda più manageriale. Dunque, si può parlare di un modello «napoletano» e di un modello «provinciale» di camorra.
Indubbiamente l’ambiente sociale ed economico in cui si sviluppa la camorra di provincia ne influenza le caratteristiche che, come abbiamo detto, l’avvicinano di più a quelle storiche della mafia siciliana. È indubbio che nella prima parte del Novecento (e poi con maggiore visibilità tra gli anni Cinquanta e Sessanta) emergono alcune figure significative di camorristi di provincia che si inseriscono, come mediatori, tra la produzione agricola e i mercati urbani all’ingrosso, tra il contadino e l’industria di trasformazione dei suoi prodotti. Camorristi che si presentano come regolatori dei mercati, vegliano sulle transazioni, stabiliscono i prezzi, indicono aste, danno garanzie sulla qualità, fanno rispettare i patti, prestano soldi per la semina e per gli acquisti, monopolizzano i raccolti e la compravendita di animali. I mercati all’ingrosso della provincia dove si effettuano le contrattazioni li vedranno protagonisti.
Quando comincerà la «grande trasformazione» urbana tra gli anni sessanta e ottanta del Novecento, che cambierà radicalmente cittadine dignitose vicine a Napoli nel suo squallido hinterland, basata sul principio che nessun spazio libero deve essere immune dalle costruzioni, quelle capacità manageriali delinquenziali di origine rurale li spingeranno a diventare imprenditori edili, fornitori delle amministrazioni pubbliche, operatori nel campo del terziario produttivo (trasporti, centri commerciali e altro). I clan Polverino di Marano e Moccia di Afragola forse ne sono l’esempio più riuscito. I Polverino rappresentano la continuazione-alleanza con i Nuvoletta di Marano che a loro volta erano imparentati con gli Orlando, una famiglia di commercianti agricoli che già nel secondo dopoguerra rifornivano gli Ospedali Riuniti di Napoli. I Moccia di Afragola rappresentano, invece, il modello di una famiglia camorristica che si è data agli affari nel campo edilizio decidendo di sostituire all’uso della violenza le relazioni permanenti con il mondo politico e amministrativo. Con quel mondo a cui apparteneva l’ex assessore ammazzato l’altro giorno ad Afragola. Nelle attività edilizie legate alla spesa pubblica e alle autorizzazioni amministrative, la corruzione e le relazioni possono essere più importanti e convincenti della stessa forza fisica, della stessa violenza omicida. In questa camorra-non camorra, in questa imprenditoria di origine criminale, la speculazione edilizia permanente può essere più redditizia e meno pericolosa dei traffici illegali. La forza di intimidazione è sostituita o accompagnata dalla forza di persuasione.
Il settore edile è emblematico per capire le ragioni di questa particolare imprenditoria, perché è in questa attività economica che sempre più le imprese legali si pongono quali interlocutori privilegiati di politici, criminali e apparati amministrativi. Tutte le inchieste che hanno riguardato la presenza criminale in edilizia (compresa l’ultima che ha riguardato la famiglia Cesaro) hanno lo stesso meccanismo alla base: sono gli imprenditori legali che considerano il rapporto con i camorristi come un costo d’impresa, che corrompono, pagano, non denunciano, convinti che potranno riassorbire anche i costi del rapporto con i clan. Essi pagano la camorra perché abituati a pagare la politica, essi si alleano con la camorra perché abituati a considerare l’aggiramento della legge come un fattore competitivo di mercato; e se sono imprenditori di famiglie politiche, non rifiutano le «relazioni pericolose» perché abituati ad averci rapporti stabili ai fini del consenso elettorale. I Moccia, a loro volta sono qualcosa di più e di diverso: hanno capito che c’è un confine labilissimo tra clientela, corruzione e camorra, tra imprese legali e illegali, e che si possono fare buoni affari in questo campo nel reciproco interesse senza lasciare una lunga scia di sangue. Ma non sempre ci riescono. E non è solo l’edilizia il loro esclusivo campo di investimenti.
La procura di Roma nel 2016 indagando sull’omicidio avvenuto a Nettuno di Modestino Pellino, ritenuto luogotenente di Luigi Moccia, ha svelato le mire espansionistiche della famiglia sulla città di Roma: edilizia, frutta, mozzarella, bar, ristoranti, alberghi. Un vero impero imprenditoriale, basato sulla mimetizzazione delle proprie attività economiche attraverso prestanomi. Così la procura descrive Luigi Moccia: «Una persona di fiducia, un amico fidato, o, meglio ancora, una persona di famiglia, con disponibilità economiche adeguate a giustificare il versamento di un corrispettivo in contanti ovvero il pagamento di una rata di mutuo significativa, dimostrando che quest’ultima modalità sarebbe stata addirittura più vantaggiosa per ripulire il denaro sporco». Un colletto bianco o un criminale? Ricordando che l’inventore della teoria dei colletti bianchi, Edwin Sutherland, ci ha dimostrato che la differenza tra le due figure è inesistente