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Lo scandalo delle case abusive nella Capitale. Dai calciatori, alle star, ai politici, ai vip, la lista segreta degli abusi edilizi. E gli uffici del Comune stanno a dormire. Arrestate i responsabili

ROMA – Preti, costruttori, calciatori, avvocati. E poi circoli canottieri, associazioni culturali, malavitosi vari, e persino ristoranti e discoteche. Due cd insabbiati in un ufficio del Campidoglio per mesi, con dentro tutta “la Roma che conta”. Eccolo il libro nero dell’abusivismo edilizio, l’indice dei “furbetti del terrazzino”, e della verandina, del garage, della villetta, dell’appartamento extra lusso, dell’intero condominio. Una colata di cemento frazionata in 12.315 abusi che Repubblica è in grado di documentare.

LA CASTA DEL CEMENTO

Nomi, cognomi, indirizzi, inequivocabili foto aeree da quattro prospettive diverse, scattate prima e dopo l’abuso. Costruzioni fuorilegge in centro, a due passi dal Colosseo, in periferia, nei parchi protetti, in zone con vincoli paesaggistici così stretti che anche tirare su una cuccia per cani è un crimine. Strutture illegali tenute in piedi dalla pretesa di ottenere prima o poi l’assoluzione definitiva, che in edilizia si chiama appunto condono. L’hanno chiesto tutti. Anche di fronte a situazioni palesemente non sanabili. Come l’appartamento con terrazza e tendoni sbocciato all’improvviso su un tetto a ridosso di Piazza Navona, o la villa in marmo con piscina stile “Scarface” eretta di nascosto spianando trecento metri quadrati di bosco nel parco di Veio.
Il bello è che il comune di Roma sa tutto. Ha sempre saputo tutto. Perché sono stati gli stessi proprietari, certi dell’impunità, ad “autodenunciarsi”. Hanno inoltrato la domanda di condono e così si sono iscritti nella lista degli abusivi, sulla base della quale l’amministrazione avrebbe dovuto “ripulire” la città dagli scempi, o quanto meno trarne qualche vantaggio economico, acquisendoli.

E invece il più immobile di tutti è stato ed è tutt’oggi il sindaco Alemanno. La lista fa la muffa da marzo dello scorso anno. Nemmeno un atto è stato notificato. Ruspe in deposito, vigili urbani ai semafori, abbattimenti zero. L’elenco contenuto in quei due cd si riferisce al terzo condono edilizio concesso dallo stato italiano, quello del 2003 (governo Berlusconi), intervenuto dopo le sanatorie del 1985 e 1994. Al comune di Roma arrivarono in tutto 85 mila richieste. Gemma Spa è la società privata che ha avuto l’incarico di valutarle, con l’ausilio di un sistema a fotografia aerea che ha mappato dall’alto, metro per metro, tutto il territorio romano tra il 2003 e il 2005. Un lasso di tempo non casuale: la normativa sul condono (L. 326/2003) concedeva la possibilità di sanare soltanto gli abusi ultimati tassativamente prima del 31 marzo del 2003.

Nel giugno scorso, poco prima che le venisse ritirato il mandato apparentemente perché incapace di smaltire il monte dei fascicoli ai ritmi concordati, Gemma consegna ad Alemanno il frutto del proprio lavoro, la lista dettagliata delle “reiezioni”, le domande da respingere perché – a vario titolo – violano i termini della legge 326. 12mila manufatti (e Gemma non era arrivata a lavorare nemmeno la metà delle 85 mila domande). Perché così tanti romani hanno chiesto il condono per abusi evidentemente insanabili? Da chi avevano avuto la garanzia dell’impunità?

I protagonisti
Alemanno scorre con gli occhi l’elenco e suda freddo. Sa bene quello che prevede la legge, abbattere o acquisire. E sa altrettanto bene cosa ciò può comportare in termini politici: l’addio a migliaia di voti, alla simpatia dei grandi elettori, alle sintonia con gli ambienti che contano. Tra chi ha provato a fare il furbo chiedendo il condono per una struttura costruita ampiamente dopo il 31 marzo 2003 – i cosiddetti “fuori termine”, circa 3.712 pratiche – spunta il nome di Luigi Cremonini, l’imprenditore modenese leader nel commercio della carne e proprietario di tre catene di ristoranti, che dal giorno alla notte si è costruito una terrazza modello villaggio vacanze in uno dei punti più pregiati di Roma, di fronte alla fontana di Trevi. O come Federica Bonifaci, figlia del costruttore Bonifaci (anche editore del Tempo) che ha dato un’”aggiustatina” alla sua casa ai Parioli.

Di vip o anche solo di personaggi e istituzioni in vista nell’elenco ce ne sono a volontà. Si va da Maria Carmela d’Urso, alias Barbara d’Urso al calciatore nerazzurro ed ex laziale Dejan Stankovic, da Luciana Rita Angeletti, moglie del rettore della Sapienza Luigi Frati, all’Istituto figlie del Sacro Cuore di Gesù. Le congregazioni religiose hanno una certa dimestichezza col cemento. Nella lista nera figurano le Suore Ospedaliere della Misericordia, la Procura Generalizia delle Suore del Sacro Cuore, quella delle missionarie di Madre Teresa di Calcutta e la Famiglia dei Discepoli della diocesi romana. Non mancano i templi dove la Roma bene ama riunirsi per celebrare i suoi riti di socialità. Il Parco dè Medici sporting club, il country club Gianicolo, il Tennis Club Castel di Decima, la discoteca Chalet Europa nel parco di Monte Mario. E nemmeno le ville mono e bifamiliari con piscina dell’alta borghesia, cresciute come gramigna nel parco di Veio, ai lati di via della Giustiniana, la strada più abusata di Roma. Ancora, scorrendo la lista balzano agli occhi decine di società immobiliari, alcuni distributori di carburante della Esso e la sede centrale della “Fonte Capannelle Acque Minerali” nel parco dell’Appia Antica. L’aspetto più buffo o forse drammatico è che nell’elenco dei più furbi tra i furbi compaiono anche molte aziende comunali di servizio, come l’Ama, l’Acea e addirittura Risorse per Roma, la municipalizzata che da gennaio ha il compito di occuparsi proprio delle pratiche di condono.

L’abuso del comune
Ma il top lo si raggiunge con la pratica numero 577264 contenuta nel faldone riservato alle richieste di sanatoria nei parchi. Bene, a guardare sotto la voce “proprietario” dell’abuso si scorge l’incredibile dizione “Comune di Roma” (ovviamente residente in “via del Campidoglio 1″). In sostanza: il Comune è contravvenuto alle proprie regole e poi si è chiesto da solo il condono sapendo benissimo di non poterselo dare. La manovra serviva a “legalizzare” un’opera abusiva in via del Fontanile di Mezzaluna, in pieno parco del Litorale romano dove i limiti all’edificazione sono strettissimi. Come del resto negli altri undici parchi di Roma. Che, ciononostante, sono probabilmente l’obbiettivo preferito dagli speculatori. E forse proprio per questo la Regione Lazio, con la legge 12 del 2004 aveva messo dei paletti all’ultimo condono: “Gli abusi realizzati nei parchi e nelle aree naturali protette – dice la norma – non sono sanabili”.

Parole vane. Il comune oggi si ritrova, nero su bianco, 2099 domande (compresa la sua e quelle delle sue aziende) di condono per porzioni di villette, garage, interi fabbricati. Veio, Decima Malafede, Marcigliana, Appia Antica, Bracciano Martignano, Tenuta di Acquafredda. Non uno dei parchi di Roma è rimasto immacolato.
Chi c’è dietro? Ancora una volta l’occhio scorre sugli elenchi e individua i nomi grossi della città. Come Tosinvest spa, la finanziaria della potentissima famiglia Angelucci, i signori delle cliniche private nonché editori di Libero e il Riformista. A nome di Tosinvest spa ci sono tre domande di condono per una struttura aziendale nel parco dell’Appia Antica. In quello di Veio c’è un abuso a nome di Acea Spa, il colosso dell’energia e dell’acqua per metà pubblico (proprietà appunto del comune di Roma), in parte nelle mani del costruttore Francesco Caltagirone. Siccome il giochino era molto semplice, in molti hanno esagerato. Fanno impressione ad esempio le 28 domande di condono chieste per lo stesso indirizzo, via Cristoforo Sabbatino 126: un intero complesso di case in pieno Litorale Romano, a nome di Abitare Srl.

Il business del condono
La procura di Roma si è accorta che qualcosa non va. Pochi giorni fa ha sequestrato, negli archivi di Gemma, 5000 pratiche fuori termine. Vuole capire perché non sono state notificate ai proprietari. La verità è che impostate così, con le domande presentate e automaticamente insabbiate dal comune, senza ruspe né multe, senza procedimenti né scandali, le sanatorie edilizie sono uno dei business più redditizi e politicamente più convenienti. Fanno girare soldi, ingrassano le casse delle amministrazioni quel tanto che basta e non scontentano nessuno. Dal 1994 al 2000 (giunta Rutelli) il comune di Roma ha incamerato 383 milioni di euro grazie alle 251 mila concessioni rilasciate per i precedenti condoni. Il successore di Rutelli, Veltroni, è stato anche più fortunato: dal 2001 al 2005 le concessioni, circa 84 mila, hanno fruttato mezzo miliardo di euro. Una montagna di soldi, spalmata in oneri di urbanizzazione e costi di costruzione, sborsata dai proprietari per “perdonare” il mattone nato illegale. Il segreto è non arrivare mai alle demolizioni. Che spezzerebbero la catena di interessi che tiene in piedi tutto. Ma cosa muove la macchina del mattone selvaggio nella capitale? Chi ha voluto che prosperasse indisturbata per anni? Dove si inceppava il sistema dei controlli?

Il porto delle nebbie
Prima partecipata dal Comune, poi vincitrice dell’appalto esclusivo per il condono nel 2006 come società privata, Gemma a fine anni Novanta viaggia a una media di 24 mila pratiche, o meglio concessioni, all’anno. Nell’ultimo decennio la media scende a 12 mila, fino alle misere 1103 del 2007. Risultati al di sotto degli standard del contratto di servizio, per i quali comune e Gemma si accusano reciprocamente. “Fino all’agosto del 2009 (quando viene stipulato un nuovo contratto di servizio, ndr) non abbiamo mai avuto accesso libero alle pratiche – sostiene Renzo Rubeo, presidente di Gemma – quelle da lavorare le sceglieva l’Ufficio Condono”. Fatto sta che, nonostante la lentezza, Gemma negli anni viene regolarmente pagata fior di milioni, e questo insospettisce i pm romani che mettono sotto indagine tutti i vertici dell’azienda, a cominciare da Rubeo, e gli ultimi due assessori romani all’Urbanistica, Roberto Morassut del Partito Democratico e Marco Corsini, della giunta Alemanno. Il sospetto/certezza degli investigatori è che Gemma fosse un carrozzone, una sorta di Bancomat della politica. E che tutti sapessero delle concessioni troppo facili. Sospetti pesanti, messi nero su bianco da uno degli ultimi direttori dell’Ufficio Condono nominato da Veltroni, l’avvocato Roberto Murra, in un documento confidenziale a uso interno. “Dietro tali procedure – scrive Murra al sindaco nel 2007 – spesso si è nascosta la tentazione di poter agire al limite della norma se non, addirittura, in esse si è annidato il malaffare”.
Pure il sistema informatico “Sices” della Unisys, utilizzato per la lavorazione dei fascicoli, è sotto accusa: la Guardia di Finanza ha dimostrato che i dipendenti dell’Ufficio Condono avevano la possibilità di accedervi e modificare i fascicoli senza lasciare traccia. Un porto delle nebbie, appunto, dove ancora giacciono 250 mila pratiche. Secondo Gemma almeno la metà sono da rigettare. Per ora però non si muove una ruspa. E i furbetti dormono sogni tranquilli. Sotto un tetto abusivo.

(Tratto da InfoSannio)