L’ultimo schiaffo al boss di Torre Annunziata, tolta la patria potestà Aldo Gionta
Giovanna Salvati
Aldo Gionta non avrebbe mai immaginato che l’ergastolo sarebbe stato con molta probabilità, la pena più leggera rispetto a quella a cui è stato condannato dai giudici, ovvero perdere la potestà genitoriale sui figli. E’ quanto emerge da un estratto della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli ed inviata al Comune di Napoli per la pubblicazione ufficiale, come previsto dalla legge, all’albo pretorio. Il boss poeta ha perso anche altri diritti ma quello di essere genitore, di rivendicare la sua natura e posizione di padre resta quella più grave. Quella sua quale l’uomo, ha già preannunciato, che avrebbe presentato ricorso. Intanto Aldo Gionta, alias Alduk il ribelle, primogenito di don Valentino che sta scontando l’ergastolo per l’omicidio Scarpa da oggi non sarà più genitore. Una decisione scaturita dal fatto che quando il genitore «viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio ne perde ogni responsabilità» e vista la condotta dell’uomo e il suo curriculum, la decisione è avvenuta in modo naturale. Aldo Gionta ha due figli, Gemma e Valentino (quest’ultimo anch’egli in carcere) ed è il marito di Nunziata Caso ora libera dopo un periodo di detenzione. Libera anche la madre di Aldo, Gemma Donnarumma che ha terminato proprio qualche mese fa di scontare la sua pena. Per Aldo Gionta invece le porte del carcere restano chiuse e proprio nelle settimane scorse la condanna all’ergastolo per l’omicidio di Natalino Scarpa. E’ stato lui infatti, seocndo i giudici,, l’erede della dinastia criminale di Torre Annunziata, il mandante dell’omicidio che il giorno di Ferragosto del 2006 costò la vita a Natale Scarpa, soldato del clan Gallo-Cavalieri. E’ quanto sostengono i giudici della Corte d’Appello di Napoli prima e confermato poi in Cassazione che ha portato alla condanna all’ergastolo per il padrino di Palazzo Fienga. Gionta, assolto in primo grado per questo delitto, ha incassato il carcere a vita nel processo innescato dal ricorso dell’Antimafia. Decisive, ai fini della condanna, le dichiarazioni inedite rese sul massacro di Scarpa da alcuni “nuovi” collaboratori di giustizia. Uno su tutti Michele Palumbo, alias “munnezza”, sicario e componente di punta del commando armato di Palazzo Fienga negli anni della cruenta guerra di camorra. Secondo quanto ricostruito dal processo, Gionta avrebbe armato la mano dei sicari per vendicare uno sfregio. Lo schiaffo che Scarpa avrebbe rifilato qualche tempo prima a suo figlio, Valentino Gionta junior.