Maresca: troppi giovani uccisi, la guerra alle mafia non si vince solo con la repressione
Maresca analizza la nuova esplosione di violenza e sangue a Napoli. E ricorda a tutti che la lotta alla mafia, come diceva Borsellino “deve essere un movimento culturale e morale che coinvolga tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità, quindi complicità”.
12 Luglio 2020
Di redazione
Catello Maresca è uno di quei magistrati che non indugia mai in facili sociologismi, non crede che la lotta alla criminalità mafiosa o predatoria sia compito esclusivo della magistratura o delle forze dell’ordine. Anzi, sottolinea Maresca, “l’omicidio di Antimo Giarnieri è una sconfitta dell’intera società. Sa che cosa le dico? Che non riesco nemmeno ad immaginare il dolore che provano in questo momento i genitori di questo ragazzo. Ed è un ragionamento che faccio a prescindere dall’esito delle investigazioni su questo omicidio”.
Che messaggio legge lei in questo omicidio?
Non ho elementi per parlare dell’omicidio ed ho rispetto per il lavoro eccellente che fanno i colleghi inquirenti. Certo, la dinamica dell’omicidio, così come la leggo dai giornali, appare essere connotata da una sproporzione evidente tra la violenza del raid e le persone prese di mira, tutti giovanissimi”.
Sembra un omicidio eseguito da killer di camorra.
Non lo so, ma so che i magistrati che ci lavorano presto ci diranno quello che è accaduto. A me lasci dire che questo sangue versato, a prescindere dagli esiti delle indagini, ricade su tutti noi”.
Perchè ricadrebbe su tutti noi?
Perchè la morte di un ragazzo di appena 18 anni è una sconfitta per l’intera società. La lotta alle mafie, alla violenza mafiosa, in qualsiasi forma essa si manifesti, non è solo repressione. Mi viene in mente un ragionamento di Paolo Borsellino che ho stampato nel mio cuore. ‘La lotta alla mafia – diceva Borsellino – deve essere un movimento culturale e morale che coinvolga tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità, quindi complicità’. Sono parole pronunciate dal dottor Borsellino 20 anni fa ma sembrano di straordinaria attualità.
Come l’immagina lei la lotta alla mafia?
Così come la immaginava Paolo Borsellino. Ho sempre creduto che la vera battaglia contro la criminalità si fa nelle scuole e per strada. La mafia si combatte parlando ai ragazzi ma soprattutto dimostrando loro che esiste una alternativa credibile alla criminalità organizzata. Bisogna mettere in pratica gli insegnamenti di Falcone e Borsellino.
Detto da lei che per più di dieci anni da magistrato della procura antimafia ha decapitato, con l’arma della repressione, la struttura militare del clan dei casalesi sembra un paradosso.
Non è un paradosso. Dico solo che arrestare, intervenire col bisturi là dove c’è il cancro mafioso e rimuoverlo, è necessario ma non basta. Vede, io sono orgoglioso della toga che indosso, ma sono altrettanto orgoglioso delle opere buone che faccio con l’associazione Arti e Mestieri che è stata fondata assieme agli amici Rosario Bianco e Danilo Iervolino due anni e mezzo fa. Da allora ho iniziato a comprendere davvero cosa significa fare antimafia sociale, tra la gente. Purtroppo si continua a commettere un grave errore di metodo: non si può delegare solo alla magistratura ed alle forze dell’ordine la lotta alle mafie. Così facendo si tralascia tutto il percorso di prevenzione. Da anni denunciamo l’assenza di una seria ed efficace strategia politica di eradicamento della criminalità organizzata.
Insomma, lei dice che non bastano i magistrati contro le mafie?
Dico che la magistratura fa un lavoro straordinario assieme alle forze di polizia ma non basta se è vero, come è vero, che la mafia continua ad esistere, continua a fare affari, continua ad assoldare giovani che spesso finiscono uccisi in tenerissima età,. Nella mia carriera di magistrato alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli ho contributo ad arrestare e condannare migliaia di mafiosi. Insieme ai colleghi magistrati abbiamo combattuto la piaga del clan dei casalesi. Ma nonostante tutto ciò non ho ancora oggi la consapevolezza di aver vinto la guerra.
La guerra alla mafia non è vinta?
Non ancora. Perchè le mafie si inseriscono nei vuoti lasciati dallo Stato, nei servizi efficienti che offre, nell’offerta di lavoro ai giovani, nelle condizioni di assistenza agli indigenti, negli aiuti alle imprese in difficoltà e così via. E quando su un territorio funziona solo l’apparato repressivo la situazione si aggrava ulteriormente. Ragazzi sempre più giovani maturano un profondo senso di ostilità, un malanimo quasi congenito nei confronti delle Istituzioni. Lo Stato è visto come lontano e cattivo, a volte addirittura persecutorio. Sa che cosa dicono i giovani che spesso incontro nelle scuole dove vado a spiegare il senso di parole come giustizia o legalità?
Che cosa le dicono?
Mi dicono: dottore, ma qua fuori lo Stato dov’è? Proprio per cercare di dare una risposta a questa e altre domande da tempo ho provato ad abbinare l’impegno professionale con quello nelle scuole. Per informare, per fare cultura, ma soprattutto per portare una concreta e reale testimonianza di un uomo delle istituzioni, quale orgogliosamente sono. E da quando abbiamo promosso l’associazione Arti e Mestieri posso anche portare la concreta prospettiva di un percorso di apprendistato e di successivo impiego lavorativo. Abbiamo incontrato nel nostro percorso tanti ragazzi che troppo rapidamente si liquidano come “difficili”. Ognuno di loro ha la sua storia, le sue ragioni di disagio che portano alla devianza. Ognuno meriterebbe una attenzione che la nostra struttura “artigianale” non riesce a dare come vorremmo. Siamo riusciti a recuperarne alcuni, altri li abbiamo persi per strada.
Che cosa cercano questi ragazzi cosiddetti “difficili”?
Chiedono attenzione, considerazione. Vogliono e devono conoscere altre strade che non siano le scorciatoie che portano al crimine, organizzato o comune. Noi spesso cerchiamo solo di tendere loro una mano. E loro la afferrano forte. Nonostante le difficoltà e qualche delusione, siamo però convinti che questa sia la strada da percorrere.
Perché crede molto in questa strada?
Perché gli episodi di cronaca recenti ed il tragico coinvolgimento di ragazzi sempre più giovani in attività criminali dimostrano che questo percorso è ancora lungo. Ci vorrebbe però una seria programmazione da parte delle Istituzioni, una vera prevenzione antimafia che preveda percorsi di recupero e risocializzazione dei ragazzi a rischio. Le associazioni da sole non ce la possono fare. Lo Stato deve fare lo Stato e solo così potrà puntare a vincere la battaglia alle mafie.
Fonte:https://www.juorno.it/