Giuseppe Cirillo 11 Novembre 2024
Dalla Colombia all’Europa: l’indagine di Escolhas sui metalli preziosi illegali che finiscono nel mercato europeo
È altamente liquido, cioè facile da convertire in denaro, molto richiesto sul mercato e facilmente trasferibile, il che permette di spostarlo e venderlo rapidamente e in grandi quantità. Stiamo parlando dell’oro, un metallo prezioso da sempre ritenuto uno dei principali beni rifugio. A quanto pare, negli ultimi anni, lo è diventato anche per molte organizzazioni criminali che si occupano di narcotraffico. Potrebbe sembrare un binomio inconciliabile, quello tra il commercio dell’oro e quello della droga. Ciononostante, le organizzazioni criminali, in particolare quelle brasiliane, colombiane e la ‘Ndrangheta calabrese, sono riuscite a trovare in questa combinazione un punto di forza per i loro affari illeciti. Ma cosa ha portato negli ultimi anni l’oro al centro dell’attenzione dei cartelli della droga sudamericani e della criminalità organizzata calabrese? Innanzitutto, l’oro, a differenza delle droghe, è perfettamente legale, il che lo rende facilmente integrabile nel sistema finanziario globale. Inoltre, può essere scambiato e trasferito tramite transazioni internazionali senza destare sospetti. Un altro aspetto significativo, che le organizzazioni criminali hanno evidentemente considerato, è che il mercato dell’oro si basa in gran parte sull’uso di denaro contante, un vantaggio notevole per incentivare il riciclaggio, incluso quello proveniente dal narcotraffico. Il meccanismo è semplice e funziona così: i proventi della vendita di droga vengono reinvestiti nell’acquisto di oro. Successivamente, l’oro viene venduto sui mercati internazionali, facendo “perdere le tracce” dell’origine illecita del denaro. In pratica, il denaro sporco viene “ripulito” attraverso il passaggio tra un bene legale di valore e un altro.
L’oro e le attività di estrazione illegale in Colombia
Come se non bastasse, a rendere l’oro un investimento particolarmente attraente per la criminalità organizzata, oltre alla sua efficacia come mezzo per riciclare ingenti somme di denaro, vi è anche il suo costante e considerevole aumento di valore sul mercato. La questione è stata trattata anche all’interno di un reportage di “Radio 24”, a cura del giornalista Mario Magarò, e ha attirato l’attenzione del GFI (Global Financial Integrity), l’organizzazione con sede a Washington che si occupa di monitorare i flussi finanziari illeciti a livello globale. Secondo l’organizzazione statunitense, proprio l’estrazione illegale dell’oro sembra essere diventata una delle attività criminali più redditizie per le organizzazioni in Colombia, che la sfruttano sia per finanziare varie attività illecite, sia per la tratta di esseri umani. Un fenomeno preoccupante, che si è sviluppato in maniera considerevole negli ultimi anni, al punto da destare non poca preoccupazione tra le autorità colombiane, sia per le gravi implicazioni ambientali sia per quelle sociali. Con l’aumento del valore dell’oro a livello globale, soprattutto durante la pandemia di COVID-19, molte bande criminali hanno iniziato a concentrarsi su questa risorsa, considerandola quasi una “nuova cocaina” per il livello di guadagni che consente di ottenere. Ovviamente, come per molte altre pratiche illecite su larga scala, anche l’estrazione illegale dell’oro ha comportato una serie di effetti negativi, sfociati soprattutto nella corruzione e nell’inquinamento delle aree interessate dalle estrazioni. Le organizzazioni criminali, oltre a estrarre illegalmente oro, corrompono funzionari, si impadroniscono di miniere legali e riciclano i profitti illeciti attraverso numerose attività di copertura. I casi che confermano questa tendenza non sono pochi, anche se uno in particolare sembra descrivere molto chiaramente le dinamiche criminali e corruttive che si celano dietro questa realtà, gestita da veri e propri cartelli. Uno di questi è il caso Gutiérrez: l’inchiesta che nel 2019 ha rivelato come una delle società di commercio d’oro più importanti di Medellín, nella parte occidentale della Colombia, abbia riciclato enormi somme di denaro attraverso una rete di società di comodo. Circa 2,4 trilioni di pesos tra il 2006 e il 2016 – più di 100 miliardi di euro – sono stati nascosti alle autorità finanziarie, riciclando il denaro attraverso società di copertura e fornitori del tutto inesistenti. Il danno provocato dall’estrazione illegale non è solo economico: questa attività sta distruggendo anche l’ambiente, soprattutto nelle aree dell’Amazzonia e del Chocó. La contaminazione da mercurio, utilizzato per estrarre l’oro, danneggia fiumi e foreste, minacciando la salute delle comunità locali. Si stima – ha reso noto il Global Financial Integrity – che le operazioni minerarie illegali in Colombia interessino oltre 500 ettari di foresta al giorno, soprattutto nei dipartimenti dell’Amazzonia e del Chocó. Nel 2020, è stato stimato che circa il 69% della produzione di oro del paese provenisse da attività minerarie illegali. Nel 2022, la quota sarebbe aumentata fino a toccare l’85%; di questa, il 66% si svolge nei parchi naturali e nelle riserve forestali.
I sospetti sull’origine dell’oro importato in Europa
Uno studio condotto dall’istituto di ricerca brasiliano “Escolhas” ha analizzato i dati governativi per tracciare la provenienza dell’oro esportato dal Brasile e ha scoperto che la quantità importata dalla Germania e il 71% di quella destinata all’Italia provengono da regioni brasiliane in cui l’estrazione dell’oro avviene in circostanze poco chiare, se non addirittura illegali. L’oro in questione, estratto soprattutto nelle aree dell’Amazzonia, dove la pratica del “garimpo” (estrazione illegale dell’oro) è molto diffusa, arriva infatti anche in Europa. Reuters ha spiegato che, nel 2023, la Germania ha importato 1,3 tonnellate di oro brasiliano, interamente proveniente dallo stato di Amazonas, dove l’estrazione illegale è particolarmente intensa. Stando ai dati presi in esame, anche l’Italia ha importato una quantità significativa di oro brasiliano, pari a 356 kg, di cui la maggior parte (254 kg) proveniente dagli stati di Pará e San Paolo. Vale la pena notare che proprio lo stato di San Paolo non produce oro, ma rappresenta un importante centro di vendita di questo tipo di metallo, sebbene la sua provenienza legale sia decisamente poco chiara. Tornando al Vecchio Continente, l’Unione Europea dispone di normative abbastanza rigorose pensate per contrastare l’importazione di minerali provenienti da fonti illecite o dubbie. Tuttavia, i processi di verifica presentano ancora molte lacune. Secondo Larissa Rodrigues, direttrice della ricerca presso l’Instituto Escolhas, le aziende europee che acquistano oro non possono realmente sapere da dove provenga e chi lo abbia venduto inizialmente. Per questa ragione, non si può parlare di una vera politica di acquisto responsabile. Stando all’analisi condotta da Rodrigues, circa il 94% dell’oro brasiliano importato da Germania e Italia ha un’origine dubbia, frutto di una complessa catena di intermediari che rende difficile, se non impossibile, tracciarne la provenienza. Addirittura, l’istituto di ricerca brasiliano ha evidenziato che più della metà delle 68 tonnellate di oro esportate dal Brasile l’anno scorso non avrebbe nemmeno una provenienza certa e tracciabile. Tra i principali acquirenti di oro brasiliano, oltre a Germania e Italia, vi è anche il Canada, che si approvvigiona da miniere autorizzate e regolamentate. Anche il Regno Unito, un altro grande importatore, sembra ricevere oro di origine prevalentemente legale. Tuttavia, la Svizzera, il secondo maggior importatore di oro brasiliano, acquista anche da miniere illegali, oro che spesso finisce sul mercato europeo. Infatti, circa il 70% dell’oro importato nell’Unione Europea proviene proprio dalla Svizzera, ponendo così un ulteriore rischio di importazione di oro di dubbia provenienza.
Consultando il sito dell’Unione Europea, è emerso che, a settembre 2024, la Commissione Europea ha pubblicato una relazione relativa al regolamento del 2017, con cui l’Unione ha stabilito obblighi in materia di approvvigionamento di stagno, tantalio, tungsteno, oro e altri materiali simili che provengono da zone di conflitto, oppure ad alto rischio per la resenza della criminalità organizzata. In effetti, la relazione della Commissione europea sembra confermare i timori della direttrice dell’Instituto Escolhas, Larissa Rodrigues. All’interno della relazione sono emerse, infatti, la necessità di ottimizzare i vari strumenti messi a disposizione, come l’elenco delle fonderie ritenute “responsabili” e l’EPRM (European Partnership for Responsible Minerals), un’iniziativa avviata nel 2016 dall’Unione Europea per promuovere l’approvvigionamento responsabile di minerali provenienti da zone di conflitto o ad alto rischio. Inoltre, la relazione raccomanda anche di rafforzare l’impegno dell’UE nei paesi produttori per promuovere pratiche di estrazione responsabile, garantendo che le risorse minerarie non finanzino conflitti, violazioni dei diritti umani, oppure interessi illeciti legati alle attività dei cartelli sudamericani o delle mafie europee, come la ‘Ndrangheta, che proprio nell’oro ha trovato nuove opportunità di riciclaggio di denaro.
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