PASTENA : VENT’ANNI DOPO LA STRAGE DI CAPACI
Non è solo una ricorrenza, un mero esercizio formale per esporre bandiere e gonfaloni ed abbellire il tutto con discorsi celebrativi ridondanti di retorica e di rievocazioni storiche.
Quello che è accaduto vent’anni fa nell’attentato di Capaci e che ha elimnato il giudice Falcone con sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. va oltre il rituale di una commemorazione formale e di un appuntamento periodico.
Quel pomeriggio abbiamo avuto paura che qualcosa di grave potesse accadere allo Stato, farlo vacillare sotto i colpi di una strategia mafiosa perfetta nella sua esecuzione militare e sofisticata nella sua ideazione criminale.
L’assalto allo Stato, mentre una classe politica veniva sommersa dagli scandali di tangentopoli e inseguita dai mandati di cattura di varie procure italiane.
Lo squarcio immenso dell’asfalto con il fumo che si alzava da cumuli di macerie e dalle lamiere contorte delle auto esprimevano il profondo malessere del nostro animo, alla disperata ricerca di un perché, alla spasmodica lettura di notizie che potessero fornirci degli elementi validi per credere che lo Stato non avrebbe ceduto al ricatto dei mafiosi.
Un pomeriggio drammatico mentre l’opera pietosa dei soccorittori cercava di coprire quei corpi dilaniati da una potenza inusitata di tritolo, ore di angoscia in un paesaggio desolato, quasi incredulo di fronte ai segni di una malvagità umana senza limiti e senza vergogna.
Moriva un giudice che aveva intuito e capito l’evoluzione della mafia, non più malavita locale o italo-americana, ma al contrario un fenomeno in continua espansione su tutto il territorio nazionale e in grado di concludere affari su tutti i continenti.
Abbiamo assistito in questi anni come la piovra abbia infiltrato e colonizzato le istituzioni , condizionato la finanza, acquisito beni immobiliari sia mantenendo sotto controllo il mercato della droga, delle armi e sia entrando come partner concorrenziale e vincente nel giro miliardario degli appalti pubblici.
Noi quei giorni eravamo mentalmente e spiritualemente a Palermo, accanto alla bara dl giudice Falcone, seguito da un destino crudele e da una morte annunciata del giudice Paolo Borsellino. Eravamo a Palermo desiderando soltanto un riscatto delle istituzioni, la rivincita della politica, la liberazione della società civile, la rinascita di un’etica pubblica annegata nella palude della corruzione e del malaffare.
Noi abbiamo assistito a questi eventi e con gli anni abbiamo capito che il silenzio e l’omertà sono i migliori alleati della mafia che spesso non usa l’intimidazione delle armi o il ricatto delle estorsioni, ma adopera il linguaggio comune, si veste della mentalità imperante e collocandosi accanto a politici e faccendieri favorisce l’affidamento degli incarichi, agevola l’acquisizione degli appalti, distribuisce favori, facilita le carriere e alla fine si impadronisce di pezzi dello Stato.
Un’opera efficace ma subdola, manovre eseguite nei sottogoverni locali e nazionali, accordi, intrecci, patti e collusioni che rendono le istituzioni dominio e feudo degli interessi criminali.
Se ricordiamo quegli eventi, se raccontiamo ancora emozionati e impauriti quei giorni è per lasciare nella memoria dei giovani un’impronta indelebile di chi ha lottato per la legalità e ha servito con onore e orgoglio lo Stato al quale aveva giurato fedeltà, stando al suo posto e facendo solo il proprio dovere.
Il 23 maggio, a vent’anni dalla strage di Capaci anche a Pastena vogliamo testimoniare la nostra appartenenza a quella parte dell’Italia che non si rassegna alla logica mafiosa, che indignata vuole liberarsi dalle cricche che si annidano nei meandri dei palazzi istituzionali, che non vuol soccombere sotto il potere degli interessi clientelari e che vuol porre fine ad una politica irresponsabile che fa finta di non vedere e di non capire il pericolo che sta accanto o in mezzo a noi.
18 maggio 2012